ciao Elisa, credo che non si possa proprio porre un paragone in termine assoluto: credo siano autori , per un certo verso, completamente diversi.
Corona scrive prevalentemente sulla montagna, su una certa atomosfera, su uno stile di vita ben preciso, mentre di De Luca non posso dirlo con altrettanta certezza, avendo letto solo la fiabetta sul camoscio e il cacciatore.
Se - comunque - mi attengo a questo, beh', ripeto che non esiste un confronto che regga: il primo e' un rustico nell'accezione buona della parola, il secondo e' uno che ha svolto un compitino nemmeno riuscito bene a dire il vero: un po' moralista, un po' predicatore, un po' commerciale, un qualcosa - insomma - che non assomiglia nemmeno lontanamente alle atmosfere di Corona.
Perche'? L'atmosfera della montagna, la concezione di un'esistenza vissuta autenticamente vicino alla natura - senza volerla stavolgere nel suo significato piu' profondo- sono cose che non si possono mettere in iscritto come fossero una tesina universitaria e tanto meno possono essere vissute come cose intime se non le si sente.
La montagna non e' solo un luogo, e' di piu': e' un sentimento di vita. E' una vita che non conosce le regole sociali canoniche; ha un suo ritmo, un suo tempo, un suo spazio, una sua crudelta', una sua ferocia, un suo " carattere": e' una vita che non si puo' modificare su modelli umani. Sarebbe come a dire che si volese dipingere la sua intima natura con colori piu' morbidi, piu' consolatori, piu' "buoni" per dilra fino in fondo.
Nei romanzi di Corona non salta fuori il Corona scrittore ( e chi se ne frega di sta ***** di scrittura?): salta fuori un'"appartenenza" quasi atavica, quasi trascendentale, a un mondo che profondamente vuole essere rispettato, vuole essere amato per per quello che e'; l'uomo e la natura non sono due entita' diverse. Si suole dire che l'uomo " e" la natura debbano convivere. Ma che razza di discorso e', questo? L'uomo e' " nella natura", e' parte integrante a cui e' concesso solamente quella capacita' di adattamento a situazioni piu' convenienti, piu' morbide, piu' comode. Ma quando ritorna in se medesimo, quando si ri-avvicina al cuore stesso dell'esistenza ( aspra e dura , senza morale , senza regole, senza compromessi) non puo' permettersi l'arroganza e la presunzione di solamente pensare di esserne l'artefice mentore.
Deve, piuttosto prenderne il ritmo, assimilarne il contenuto, integrarsi nel suo significato.
La montagna e i montanari: luogo duro par execellence, uomini che per una morra sbagliata prendono l'ascia e mirano alla mano dell'altro. Gente che tira fuori il fucile, gente che al sedere di una donna pensa possedendolo con le buone e con le cattive senza troppe menate, senza troppi pensieri; montagna e montanari spazio ed essere che si manifestano in modo onticamente piu' vero.
E piu' si va' in alto e piu' viene meno la " compassione " questo ultimo peccato umano: non c'e' tempo per la ragione o per la ratio. Qui tutto diventa puro istinto.
Everest, per fare un esempio: dopo il famoso passo Hillary, all'alpinista uomo che si " avvicina" all'estremo viene concesso una manciata di minuti per rimanere in cima lassu', non uno di piu' pena la morte.
Questa e' la regola ferrea della natura: non si adegua ma mantiene intatta la propria essenza che vive sempre a spese di altra vita.
Vi e' qualcosa nella natura che forse non sia cosi? Non si vede un solo fenomeno naturale che non compendi nella sua manifestazione piu' intima la vita che vive a spese di altra vita: vivere e' sopravvivere ad onor del vero.
In montagna non esistono diritti ( e meno male dico io): la vita del montanaro e' resistenza, e' aggressione reciproca, e' durezza diamantina.
Non c'e' spazio, non c'e' tempo per altro: ecco il semplice motivo per cui un Corona non e' uno scrittore ma un uomo che tenta di mettere in iscritto quello che non puo' essere scritto. Gia' il solo tentarlo e' tanto.