La donna nella poesia

Zefiro

da sudovest
E’ un fatto che la donna sia stata e sia argomento del poetare in tutte le epoche e in tutte le latitudini. Forse l’amore dovrei dire, però nella sua incarnazione fisica e concretissima della persona amata, e il fatto si tratti di donne forse è solo accidente dovuto al fatto che in passato erano di più gli uomini che le donne a scrivere, non saprei…

Comunque. Sembra quasi che quel viso, quegli occhi, quel corpo, che la particolare declinazione che il nostro amore assume, proprio per quella persona, faccia in qualche modo da tramite, da mezzo, quasi da magico strumento che permette di vedere e percepire cose di se, della vita, del reale, dell’esistere altrimenti invisibili ed inaccessibili, una sorta di modalità privilegiata che consente l’ingresso, l’accesso in territori altrimenti preclusi o quantomeno di frequentazione difficile e complicatissima.

La donna (o più in generale la persona amata) nella poesia è a mio parere un argomento notevolissimo.
 

Zefiro

da sudovest
Alla sua donna - G. Leopardi

Sto rileggiucchiando un po’ Leopardi in questo periodo, e la poesia “Alla sua donna” che conoscevo benissimo a rileggerla m’ha impressionato come se per la prima volta ne scorressi i versi, come se non avessi mai posato gli occhi su queste righe.

Ecco il testo.

Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?

Viva mirarti omai
Nulla spene m’avanza;
S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Saria, così conforme, assai men bella.

Fra cotanto dolore
Quanto all’umana età propose il fato,
Se vera e quale il mio pensier ti pinge,
Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora
Questo viver beato:
E ben chiaro vegg’io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni
L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona
Del faticoso agricoltore il canto,
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m’abbandona;
E per li poggi, ov’io rimembro e piagno
I perduti desiri, e la perduta

Speme de’ giorni miei; di te pensando,
A palpitar mi sveglio. E potess’io,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L’alta specie serbar; che dell’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.

Se dell’eterne idee
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altra terra ne’ superni giri
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.

Giacomo Leopardi – Alla sua donna, Canti

Trovo che questi versi esprimano in modo mirabile una sete infinita, una arsura di bellezza, di pienezza insoddisfatta, che non s’è incarnata in nessun incontro, che non è mai accaduta. La disperazione assoluta che ciò possa accadere. Viva mirarti ormai nulla speme m’avanza… immaginavo di poterti incontrare, quando ero giovane, ma qualsiasi cosa io abbia mai incontrata, non ti assomiglia nemmeno un po’, e se anche ti somigliasse per fattezze sarebbe comunque meno bella di te
Già sul novello Aprir di mia giornata incerta e bruna, Te viatrice in questo arido suolo Io mi pensai. Ma non è cosa in terra Che ti somigli; e s’anco pari alcuna Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella.

La percezione profonda e dolorosissima della impossibilità disperata di soddisfare, qui ed ora, il desiderio di compimento, d’amore, perché questa bellezza chissà dov’è, chissà se esiste.

Qualunque cosa noi desideriamo, non sappiamo nemmeno cosa sia, di che si tratta, vorremmo solo incontrarla e lo vorremmo con una urgenza profondissima e vitale.

Qualunque cosa sia questo qualcosa definitivo e personalissimo per Leopardi è una concretissima donna che non ha mai incontrato. Ma ci deve essere, sembra dire, deve esistere da qualche parte,inspiegabile sarebbe altrimenti una tale tensione dell’umano ad essa, anzi di più: esiste.

Di questa donna è innamorato in modo profondo e perdutamente. Chissà dove sei, le dice…: s’altra terra né superni giri e frà mondi innumerabili t’accoglie…

Così innamorato che le dice ti amo come può:
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.

Questa poesia è semplicemente bellissima. Forse la più bella poesia d’amore mai scritta.
 
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skitty

Cat Member
Davvero una poesia meravigliosa Zefiro!
Grazie di avercela ricordata :).

E molto bello anche il tuo commento! E' così vero... la contemplazione della persona amata ci fa vedere tante altre cose, che erano già lì intorno a noi, ma aspettavano di essere illuminate dal raggio del sentimento per rivelarsi a noi...

Mi è molto piaciuta questa tua frase: trova un riscontro strabiliante si ci si ferma a riflettere.

"Qualunque cosa noi desideriamo, non sappiamo nemmeno cosa sia, di che si tratta. Vorremmo solo incontrarla e lo vorremmo con una urgenza profondissima e vitale. "
 

asiul

New member
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Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?

Viva mirarti omai
Nulla spene m’avanza;
S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Saria, così conforme, assai men bella.

Fra cotanto dolore
Quanto all’umana età propose il fato,
Se vera e quale il mio pensier ti pinge,
Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora
Questo viver beato:
E ben chiaro vegg’io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni
L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona
Del faticoso agricoltore il canto,
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m’abbandona;
E per li poggi, ov’io rimembro e piagno
I perduti desiri, e la perduta

Speme de’ giorni miei; di te pensando,
A palpitar mi sveglio. E potess’io,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L’alta specie serbar; che dell’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.

Se dell’eterne idee
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altra terra ne’ superni giri
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.

Giacomo Leopardi – Alla sua donna, Canti

Merita l'intera parafrasi...

Giacomo Leopardi – Alla sua donna, Canti

Cara beltà, che da lontano mi ispiri amore oppure da vicino nascondendo il viso tranne quando mi scuoti il cuore nel sonno come divina immagine, apparizione celeste, o nei campi là dove più splendido risplende il giorno e il riso della natura, dove si può trovare ancora la facoltà perduta delle illusioni; forse tu hai rallegrato il secolo che prende nome dall'oro mentre ora voli tra la gente leggera come un'anima? o proprio te prepara il destino avaro, che ti nasconde ai nostri occhi, a coloro che verranno?

Nessuna speranza ho ormai di ammirarti viva, se non forse quando nudo e solo dopo la morte il mio spirito, libero del corpo, per un nuovo sentiero, cercherà la sua nuova dimora. Già sul primo cominciare di questa mia esistenza incerta e dolorosa, immaginai di avere te come compagna di viaggio in questo arido mondo. Ma su questa terra non c'è nulla che ti somigli; e se anche qualcuna fosse pari a te nel volto, negli atti, nella parola, sarebbe, pur così simile a te, assai men bella.

Eppure, fra tanto dolore, quanto agli uomini ha destinato e prescritto il fato, se qualcuno t'amasse su questa terra così vera e come il mio pensiero ti immagina, per costui questa vita sarebbe beata; e ben chiaramente vedo che l'amore che ti porto mi farebbe ancora seguire lode e virtù come nei primi anni della mia vita. Ma il cielo non ha voluto aggiungere alcun conforto ai nostri affanni; e con te la vita mortale sarebbe simile a quella che nel cielo rende i beati partecipi di Dio.
Per le valli, dove risuona il canto dell'agricoltore oppresso dalla fatica, mi siedo e mi lamento del giovanile errore che mi abbandona, l'errore di coltivare le illusioni; e per i poggi, dove io ricordo e piango i perduti desideri e la perduta speranza dei giorni miei; pensando a te, mi sveglio palpitando. E potessi io in questo secolo tetro e oscuro e in questa epoca nefanda che ignora ogni ideale, conservare dentro di me la tua nobile immagine; perché dell'immagine sola mi potrei anche appagare, dopo che quella reale e vera mi è tolta dal destino.

Ma se non è vero che tu sia stata mai viva, neppur nell'età dell'oro, o che ti debbano incontrar sulla terra neppur gli uomini che verranno, nel tempo futuro , e sei una delle eterne idee che Dio sdegna, facendola restare pura immagine, di rivestire di una forma sensibile e visibile, di un corpo terreno e corruttibile che prova gli affanni dolorosi di una vita mortale; oppure se ti accoglie un'altra terra, un altro pianeta fra gli infiniti mondi dell'universo che costituiscono i superni giri e ti illumina una stella vicina più splendente del Sole e su quella terra spiri un'aria più benigna, ricevi questo inno di ignoto amante da questa terra in cui il corso della vita è breve e infausto e gli anni, nel loro rapido scorrere rendono più inutile lo stesso dolore umano
 

asiul

New member
Questi per me i versi più toccanti :

Speme de’ giorni miei; di te pensando,
A palpitar mi sveglio.
E potess’io,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L’alta specie serbar; che dell’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.

"dei giorni miei; pensando a te, mi sveglio palpitando. E potessi io in questo secolo tetro e oscuro e in questa epoca nefanda che ignora ogni ideale, conservare dentro di me la tua nobile immagine; perché dell'immagine sola mi potrei anche appagare, dopo che quella reale e vera mi è tolta dal destino."

È vero; non sappiamo se la donna sia reale o no, ma il desiderio che ha di questa lei, rinchiusa nel suo immaginario è forse la più bella. Accontentarsi di avere solo la sua immagine, con la rassegnazione di non poterla avere nel suo destino è allo stesso tempo tanto triste e tanto bello. In tutta la disperazione che l'avvolge lui si consolerebbe soltanto potendola avere. Perché dell'immagine sola potrebbe appagarsi. Quasi questa gli colmasse l'animo.

Quest'uomo avrebbe meritato che la sua immagine divenisse realtà.:)
 

Zefiro

da sudovest
Ho sceso dandoti il braccio... - E. Montale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

(E. Montale)


La poesia, bella e notissima, è tratta da Satura, ed è inserita nella sezione Xenia, cioè i piccoli doni fatti agli amici ed alle persone care che partono e vanno via. E’ dedicata alla moglie di Montale, Drusilla Tanzi, che come è noto era affetta da fortissima miopia ed usava indossare enormi e spessi occhiali, ragione per cui il poeta la chiamava, affettuosamente “Mosca”.

La donna di Leopardi non s’è mai incarnata in un incontro, quella di Montale si, ma non c’è più. Lì la sete, l'arsura di ciò che non è mai accaduto, qui la terribile assenza di qualcosa chè è stato e che ora manca con eguale inappagata arsura: quella del possibile accaduto e poi negato.

Il viaggio fatto insieme non avrebbe potuto percorrerlo da solo, o meglio, sarebbe stato altro: quel milione di scale è stato sceso con “quel” braccio specifico e concretissimo… Ed ora l’assenza è vuoto (“ad ogni gradino”) irrimediabile. E, soprattutto, l’impossibilità, senza di lei, di poter vedere e vivere ciò che non si vede, ossia ciò che conta davvero, ciò che solo è importante. Anche qui la donna amata, solo lei, proprio lei, come possibilità e tramite essenziale del conoscere e del vivere.

L’ossimoro "è stato breve il nostro lungo viaggio" è assolutamente fantastico. Già… Quando siamo “a casa” il tempo, per quanto lungo, sarà sempre, indecentemente, scandalosamente insufficiente: forse la vera ingiustizia dell’esistere.

Impossibile leggerla senza che salga un groppo alla gola fatto d’infinita tenerezza e disperata desolazione.
 

asiul

New member
Emily Dickinson

Per il più grande Cuore di Donna che conosco -
È poco ciò che posso fare -
Eppure il più grande Cuore di Donna
Potrebbe contenere una Freccia - anche -
E così, istruita dal mio di Cuore,
Più tenera, a quello mi volgo
(E.Dickinson)

Questi versi, inviati a Susan (amica e cognata) e a lei destinati. Dalla Dickinson definita il "più grande cuore di donna che conosco". Un cuore che contiene, metaforicamente, una freccia, simbolo della preoccupazione che sembra affliggere la donna decantata.Forse un dispiacere, qualcosa che la segna e che porta la sua cara amica(la Dickinson) a mostrarsi ancora più affettuosa e attenta (guidata dal suo cuore, dal suo affetto), nel prestarle aiuto. "Più tenera,a quello mi volgo"

Ed è un po' quel che succede ...
quando una persona a noi cara ci porge e ci apre il suo cuore sofferente,sebbene noi possiamo fare ben poco per lei, cerchiamo di prestarle aiuto, mostrando tutta la delicatezza di cui siamo capaci, per evitare che quel suo cuore, tanto fragile, si ammali del tutto.
 
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skitty

Cat Member
Bellissimi versi... Grazie Zef e Lu, fate sempre emozionare :)
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Questo è un topic come pochi se ne vedono, molto bello.

Anziché opera e parafrasi, mi si perdoni la facezia di questo video, in fin dei conti simpatico.



 

asiul

New member
Alla amica risanata - Ugo Foscolo

Qual dagli antri marini
L'astro piú caro a Venere
Co' rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo vïaggio
Orna col lume dell'eterno raggio;

Sorgon cosí tue dive
Membra dall'egro talamo,
E in te beltà rivive,
L'aurea beltate ond'ebbero
Ristoro unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa, tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidïando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de' farmachi,
Oggi l'indica veste
E i monili cui gemmano
Effigïati Dei
Inclito studio di scalpelli achei,

E i candidi coturni
E gli amuleti recano,
Onde a' cori notturni
Te, Dea, mirando obliano
I garzoni le danze,
Te principio d'affanni e di speranze:

O quando l'arpa adorni
E co' novelli numeri
E co' molli contorni
Delle forme che facile
Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto

Piú periglioso; o quando
Balli disegni, e l'agile
Corpo all'aure fidando,
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.

All'agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
Mal fide all'aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con l'alma salute April ti manda.

Cosí ancelle d'Amore
A te d'intorno volano
Invidïate l'Ore.
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell'eterna pace.

Mortale guidatrice
D'oceanine vergini,
La parrasia pendice
Tenea la casta Artemide,
E fea terror di cervi
Lungi fischiar d'arco cidonio i nervi.

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l'elisio
Soglio, ed il certo telo,
E i monti, e il carro della luna in cielo.

Are cosí a Bellona,
Un tempo invitta amazzone,
Die' il vocale Elicona;
Ella il cimiero e l'egida
Or contro l'Anglia avara
E le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
Devota il simolacro,
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari
Ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu, Citera
E Cipro ove perpetua
Odora primavera
Regnò beata, e l'isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,
Ivi erra ignudo spirito
Di Faon la fanciulla,
E se il notturno zeffiro
Blando sui flutti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira:

Ond'io, pien del nativo
Aër sacro, su l'itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie,
E avrai divina i voti
Fra gl'inni miei delle insubri nipoti.


(Ode del 1802 di U.Foscolo)

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Parafrasi

Così come dagli abissi marini appare la stella cara a Venere (Espero) con i suoi raggi simili a chiome stillanti di rugiada tra le tenebre che fuggono e adorna il suo percorso nel cielo con la luce solare, le tue divine membra

Sorgono dal letto dove giacesti malata, e in te ritorna a vivere la bellezza, la splendida bellezza dalla quale le menti dei mortali, inclini per natura a perdersi in vane follie, ebbero l’unico conforto ai loro mali.

Vedo il tuo viso tornare a riprendere il colorito roseo della salute , i tuoi occhi tornano ad illuminarsi riacquistando il loro fascino sugli uomini; e le madri trepidanti, insieme alle amanti timorose di perdere i propri uomini, tornano a restare nuovamente sveglie a piangere (perchè possa sottrarre loro gli uomini amati)

Le ore della giornata che prima, durante la malattia, ti somministravano tristi la medicina, oggi ti porgono la veste di seta , i monili adorni di cammei su cui sono effigiate divinità classiche, opera preziosa di artisti greci,

Le bianche scarpette da ballo e altri ornamenti, a causa dei quali nelle feste notturne i giovani, contemplando te, causa del loro affanno e delle loro speranze di amore, dimenticano le danze;

Sia quando suoni l’arpa con nuove armonie e con il morbido contorno delle tue forme che il bisso aderente asseconda, e nel frattempo il tuo canto si eleva.

Più pericoloso tra il sommesso sospirare dei giovani presenti; sia quando danzi disegni figure con le membra, e abbandoni all’aria il tuo agile corpo, sfuggono dalla veste e dal velo scomposto sul petto ansimante, bellezze nascoste .

Mentre ti muovi, le trecce allentate cadono, lucenti a causa degli unguenti spalmati di recente, mal tenute dal pettine dorato e dalla ghirlanda di rose che aprile ti dona insieme alla salute che dà vita.

Così le Ore, ancelle d’amore, volano intorno a te, motivo d'invidia . E le grazie guardino sdegnose chi ti ricorda della fugacità della bellezza e della morte.

La pendice del monte Parrasio fu casa della pura Artemide, donna mortale guidatrice delle ninfe oceanine e che col suo arco cidonio terrorizzava i cervi .

La fama la proclamò progenie divina (Olimpia prole); impauriti gli umani la chiamano Dea, e le consacrarono l’oltretomba, le frecce infallibili, i monti e la luna.

Allo stesso modo l'Elicona sempre risonante dei carmi dei poeti conferì onori divini a Bellona, un tempo amazzone invincibile ; ella ora prepara l’elmo, lo scudo, i cavalli e il furore contro l’avara Inghilterra.

E anche quella dea (cioè Venere), della quale ti vedo cingere con il sacro mirto la statua, che protegge marmorea le tue stanze segrete dove a me solo ti presenti nella veste di sacerdotessa,

fu regina e regnò beata su Citera e Cipro, dove profuma eternamente la primavera, e sulle isole, che con i loro dorsali montuosi coperti di selve si frappongono al flusso dei venti e alle onde del mar Ionio.

Nacqui in quel mare dove erra lo spirito della fanciulla di Faone e se lo zeffiro notturno soffia dolcemente sulle acque marine, le rive risuonano del lamento della sua lira:

Per cui io, ispirato dall’aria sacra della terra natale, traspongo per te nei metri più gravi della poesia italiana la musicalità della poesia greca, e così anche tu , divenuta divina, riceverai le offerte votive delle future donne lombarde tra il canto dei miei inni.

(da parafrasando)


_________________________________________________________________________

Ode dedicata ad Antonietta Fagnani Arese, con la quale il Foscolo tra il 1800 e il 1802, a Milano, aveva intrecciato una relazione amorosa.

C’è una prima parte(1-48) dove l’autore celebra tutta la bellezza della donna ed una seconda (55-96) dove decanta le doti della poesia come dispensatrice di immortalità e deificazione.
La caducità della bellezza è fermata dai versi di quest'ode.

C’è l’uomo che innalza la donna che ama all’ "essere" divinità. Come se questo possa condurre l’immagine della sua Antonietta nell’Olimpo.

È un regalo che Foscolo fa alla sua amata. Immortalarne la bellezza nei versi e lasciarla qui per sempre. Ci racconta che la sua donna è di una bellezza infinita. Un "corpo divino", i suoi "grandi occhi " che "riprendono a sorridere insidiosi".

L'uomo (Foscolo) sa che "la bellezza può conseguire una fama immortale, può sfuggire all'inesorabile approdo di ciò che è umano, se è celebrata dalla poesia" e così fa.Ne celebra le doti e la rende immortale.
Un modo diverso questo di manifestarsi, perché non è espresso chiaramente il sentimento. Non c’è carnalità, anche se il loro fu un rapporto vissuto intensamente. Niente del loro amore è scritto, ma è evidente che fosse innamorato per fare tanto.

Quello che mi piace di questi versi è l’idea che un uomo ami a tal punto una donna da volerne l’eternità.Non per se, ma per lei. Ama talmente tanto la sua bellezza, quella che lei gli ha regalato, con i suoi gesti, da volerla eternamente, non soltanto nei suoi ricordi,ma in quelli degli altri. È come se ci dicesse “ecco! Guardatela. Vedete quanto è bella? Questa donna è stata mia, l’ho amata.”. Il vero dono è aver goduto della sua bellezza.

C’è un’energia che in questi versi! E pensare che il loro amore è durato poco,eppure si legge quanto forte fosse il loro intreccio amoroso.

La dimostrazione di quanto sciocco sia pensare che l’amore si misuri con il tempo passato assieme.
Questi due esseri si sono amati per un breve tempo, se rapportato alla durata di una vita media, eppure l’amore manifestato basterebbe a colmare un’ intera esistenza.

E forse, chissà è proprio così. Un solo amore, tanto profondo, a volte può davvero bastare se vissuto con tanta pienezza di passione. Probabilmente dopo un simile regalo, non chiederei nient’altro alla vita.
 
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Shoofly

Señora Memebr
Il vampiro


Come una coltellata tu che a me

entrasti nel pavido cuore;

che forte come una mandra

di diavoli, folle e agghindata,

del mio spirito umiliato

hai fatto il tuo letto e il tuo regno;

- infame che a te mi leghi

come il forzato alla catena,

al gioco il giocatore incarognito,

l'ubriaco alla bottiglia,

la carogna ai suoi vermi

- maledizione a te, maledizione!

La rapida spada ho pregato

di darmi la libertà,

al perfido veleno ho domandato

soccorso per la mia viltà.

Ahimé! Che spada e veleno

mi hanno risposto con sdegno:

<<Non meriti d'esser tolto

alla tua maledetta schiavitù;

se anche del suo potere

ti liberassimo, idiota!

il cadavere del tuo vampiro

resusciterebbe ai tuoi baci>>
________________________________________________


Le Vampire

Toi qui, comme un coup de couteau,
Dans mon coeur plaintif es entrée;
Toi qui, forte comme un troupeau
De démons, vins, folle et parée,

De mon esprit humilié
Faire ton lit et ton domaine;
— Infâme à qui je suis lié
Comme le forçat à la chaîne,

Comme au jeu le joueur têtu,
Comme à la bouteille l'ivrogne,
Comme aux vermines la charogne
— Maudite, maudite sois-tu!

J'ai prié le glaive rapide
De conquérir ma liberté,
Et j'ai dit au poison perfide
De secourir ma lâcheté.

Hélas! le poison et le glaive
M'ont pris en dédain et m'ont dit:
«Tu n'es pas digne qu'on t'enlève
À ton esclavage maudit,

Imbécile! — de son empire
Si nos efforts te délivraient,
Tes baisers ressusciteraient
Le cadavre de ton vampire!»

— Charles Baudelaire
 

SALLY

New member
Donna,non sei soltanto l'opera di Dio

Donna, non sei soltanto l' opera di Dio,
ma anche degli uomini, che sempre
ti fanno bella con i loro cuori.
I poeti ti tessono una rete
con fili di dorate fantasie;
i pittori danno alla tua forma
sempre nuova immoralità.
Il mare dona le sue perle,
le miniere il loro oro,
i giardini d' estate i loro fiori
per adornarti, per coprirti,
per renderti sempre più preziosa.
Il desiderio del cuore degli uomini
ha steso la sua gloria
sulla tua giovinezza.
Per metà sei donna, e per metà sei sogno.


Rabindranath Tagore
 
Il tuo sorriso

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.

Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.

Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

- Pablo Neruda

Lui ha bisogno del suo sorriso perchè è l'unica cosa che lo fa vivere, che lo distrae e lo fa sentire meglio dopo le continue lotte che la vita gli sottopone.
E' pronto a far meno delle cose fondamentali (l'aria, il pane, la luce, la primavera) perchè pensa che lei non possa ridere e quindi anche lui non può più provare quel senso di appagamento e si sente morire.
 
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