”Una sirena”
(Autore: Grecale)
Qualcosa di prepotente mi ha strattonato per riportarmi indietro, un bisogno quasi fisico di spezzare il disamore e tornare al passato. Mi sono scavato l’anima per capire cosa volevo e adesso sono qui, solo, a decidere della mia vita… e ancora non mi sembra vero.
Non ho un lavoro, non ho una casa e non ho più neanche lei, ma ho ritrovato me stesso… e non è poco!
Mi chiamo Grecale, Gre per gli amici: socievole, simpatico, bella presenza e soprattutto libero, sì libero, proprio come il mio nome.
Ho con me tele, pennelli e quel che basta per vivere; la passione per i colori riempirà la mia vita, insieme alla mia voglia di ricominciare.
Ci ho pensato mesi, anni, finché sono riuscito a liberarmi dalle “truffe legalizzate”, quelle che erano il mio lavoro, capaci di riempirmi le tasche e svuotarmi la coscienza. Suggerivo azioni fallimentari e mutui improponibili, con momenti di tale disgusto da non riuscire più a guardare in faccia le persone, e Gloria non ha mai cercato di chiarire i miei dubbi, o comprendere i miei rimorsi, troppo impegnata a soffocarmi il cuore.
Domenica, mentre preparavo le valigie, faceva finta di piangere, ma s’è illuminata quando ho detto che le lasciavo tutto: la casa, i mobili, i quadri, i soprammobili… tutto!
Ho preso l’essenziale per me e il necessario per dipingere, insieme alla chitarra, alla mia auto e a quel che è rimasto nelle mie tasche lise.
Quando mi ha accompagnato alla porta, era impegnata a inviare sms e non mi ha chiesto dove avrei dormito; non ho risposto al saluto, soddisfazione inutile, lo so! Ma mandarla a farsi fottere non l’avrebbe migliorata.
*
La prima notte in un hotel, di pessima categoria, l’ho trascorsa da schifo. Le lenzuola puzzavano e nella luce caleidoscopica delle mie palpebre chiuse cercavo la fine del tunnel. Ho pregato qualcuno, lassù, di perdonarmi, non so neppure per cosa.
Mi sono addormentato piangendo senza l’ombra d’un domani, affogato nei sogni.
“L’acqua, scura e torbida, mi avvolgeva nelle profondità marine. Ero senza forze e troppo debole per poter risalire. Non avrei resistito a lungo se le braccia di una sirena non mi avessero stretto. La sua bocca ha cercato la mia per darmi respiro, mentre possenti colpi di coda mi riportavano sempre più su… verso la luce.
Mi ha sorriso prima di adagiarmi sulla spiaggia. Io ho guardato i suoi seni turgidi e, più giù, l’estremità argentea distesa sul bagnasciuga. Mi ha baciato di nuovo, ma questa volta per offrire amore, poi s’è rituffata nelle luccicanti onde del mare. La coda di mille colori mi ha abbagliato nel riverbero del sole e gli spruzzi delle onde mi hanno svegliato.” Ero vivo!
*
Guardando la foto della casa, abbracciata da glicini e gelsomini, ho capito subito che avrebbe fatto parte di me, come quelle cose istintive che si sentono dentro, senza una ragione.
Ogni cambiamento, come ogni incontro, apre nuove strade e basta crederci per far sì che tutto si colori. La fiducia rende magica la vita; una vita che va da sé, senza una logica tangibile se non quella del fluire, e non ci resta che accettarla con speranza, confidando nel nostro istinto, o almeno, in quel poco che ancora conserviamo, e io mi son fidato.
L’agente immobiliare quando mi ha inviato l’e-mail con la descrizione del piccolo borgo di mare, mi ha assicurato che la solitudine e l’abbandono non sarebbero mancati. Lo aveva ripetuto lungo il viale, con una punta d’ironia, lo ricordo adesso, aprendo il cancello.
E’notte, la stanchezza del viaggio e il vento freddo mi fan bruciare gli occhi. Mi siedo sulla panchina gelida ad ammirar le stelle e il suono delle onde s’infrange nel mio cuore sgretolando, ad ogni sospiro, la fragile barriera di tristezza.
Entro, la casa è desolata e fredda, vorrei dipingere, ma è passato tanto tempo e i pennelli sono secchi. Li metto a bagno nell’olio di lino e questo gesto mi riporta indietro nel tempo. Prendo la chitarra e suono qualche accordo, finché non mi sale un nodo in gola che mi fa chiudere tutto e infilarmi dentro al letto… vestito.
*
Ho dormito poco e male e ogni volta che guardavo la tela bianca sul cavalletto m’intristivo. Non ho mai dipinto una tela così grande, forse ho esagerato.
Il sole inonda la stanza e insieme alla luce arrivano alcuni colpi di tosse attutiti da un fazzoletto, e un fastidioso trambusto sopra di me.
Mi metto seduto sul letto. Oltre alla tosse sento abbaiare un cane, un affrettarsi di passi saltellanti e il cigolio di una porta che si apre. E se penso che qualcuno mi galoppa sulla testa non riesco a sopportarlo.
Il tempo di strafogarmi con un caffè bollente, e salgo su per la scala esterna che conduce al primo piano. Spero di non trovare nessuno, perché sono incazzato nero.
Pensieri atroci, assassini, incendiari… pensieri disonesti e inenarrabili. Pensieri che mi vergogno anche di pensare, pensieri impossibili, questo mi ispirano i vicini di casa
“Cazzo! L’agente immobiliare è un bastardo. Mai e poi mai avrei preso in affitto una casa abitata, col proprietario tisico e un cane isterico; altro che silenzio e abbandono da dedicare all’arte! Per questo rideva il bastardo.”
La prima volta che ho visto la casa, affacciata sul giardino, mi è sembrato un sogno. Il piccolo viale, colorato di ciclamini, era tratteggiato da una fila di palme, e quando mi sono affacciato oltre la scogliera, ho visto la scaletta ripida che portava alla spiaggia… era la spiaggia del sogno. Frastornato dalla visione, non ho più considerato l’esistenza di altri piani o di possibili inquilini e ho subito accettato.
*
Busso, la porta è aperta. Mi avvicino, non sento rumori. Spingo piano l’uscio e, a bassa voce, come se potessi svegliare qualcuno, oso:
«E’ permesso?..» silenzio «C’è nessuno?..»
Mi sento un ladro, ho il terrore d’essere sorpreso e mi batte forte il cuore, ma devo pur sapere cosa succede in una casa che mi avevano assicurato deserta.
Ladri... Fantasmi?
Oltrepasso il breve corridoio ed entro in una sala illuminata dal sole. La casa profuma di caffè, insieme a quel particolare odore di legna bruciata capace di annebbiarmi i pensieri. Mi ricorda la casa in campagna di quand’ero bambino, quella dei nonni, col cesto di giuggiole sul tavolo, la pignatta dei legumi vicino al fuoco e il pane secco che irrobustiva i denti. Quanti anni son passati da quand’ero felice!
Guardo più in là il camino acceso, c’è un cesto di noci e gusci rotti sparsi intorno. Pile di libri sul tavolo e fogli sparpagliati ovunque. Do un’occhiata al portatile aperto: dal desktop un cane con un cappello natalizio mi guarda… è orribile!
Sento abbaiare e procedendo all’indietro, mi allontano in punta di piedi. Accosto la porta e scendo le scale con cautela, proprio come un ladro che ha rubato qualcosa.
Provo a chiamare l’agente immobiliare, ma scorgo qualcosa in fondo al viale, chiudo il cellulare e mi affaccio al cancello. Un cagnolino corre festoso inseguito da un gatto più grande di lui. E’ il cane del desktop, “l’orrore natalizio” che abbaia all’alba.
Giocano, saltano e si rotolano sull’erba, finché appare una figura radiosa. Il sole accende i suoi lunghi capelli, mi sorride… mio Dio, è una sirena!
I raggi del sole, che filtrano attraverso le palme, si prolungano e ne avvolgono il corpo. Il luccichio scivola lentamente dietro al suo passo, è sempre più vicina, sempre più nitida… ed è sempre più donna.
«Buongiorno, sono Chiara e lui è Jody il cane che ha abbaiato stamattina, spero non l’abbia disturbata troppo» la mano che porge trova un essere impalato, con la mandibola completamente rilassata «piacere, siamo i vicini del piano di sopra!»
Schiarisco la voce.
«Piacere» Ma non esce “piacere”, la bocca è impastata. Ho i vestiti addosso da tre giorni, non mi sono pettinato, né rasato e mi sento un cretino «Grecale!» farfuglio, e sulla “a” esce un acuto stridente. Lei fa una faccia strana allora provo a sorridere, ma è solo un tentativo. Con la solita spavalderia vorrei dire “Gre per gli amici” «Grecale… è strano, lo so! Ma è il mio nome.» Mi sento un barbone, lei sorride.
«E’ un nome bellissimo Grecale… come il pittore.» E io mi sciolgo alle sue parole.
«Buona giornata!» Pronuncia ad alta voce, salendo la scala che la porta via dalla mia bocca schiusa, ma prima di entrare si sporge dalla balaustra, spalanca gli occhi con l’espressione incredula e grida più forte che può:
«JODY!!!»
Il calore che avvertivo leggero alla caviglia, si insinua velocemente più caldo fin dentro alla scarpa, ma non ci bado… “come il pittore” ha detto, non come il vento.
*
Sto per andare a dormire quando sento alcuni colpi che arrivano dal soffitto, come un suono ritmato, un richiamo.
Corro su per le scale e in un lampo sono alla sua porta. Mi sistemo la maglia e i capelli. Sono più bello di stamattina, lo so, passo la lingua sui denti, busso.
Mi appare stupenda come un cielo stellato. Ha i capelli raccolti e due tazze in mano.
«Salve, posso offrire una camomilla? Volevo farmi perdonare per oggi. Sono davvero mortificata…»
«Ma no figurati… ehm, si figuri.»
«Ma si, va bene il “tu”. Ti va di scambiare due chiacchiere con la padrona di un cane scostumato?»
“Non aspettavo altro” vorrei dire, ma mi trattengo.
Mi siedo sull’ardesia del camino, lei di fianco a me, ho la tazza tra le mani… c’è dipinta una sirena. Non so perché, sorrido e le indico il disegno. Lei fa roteare la sua e mi mostra la figura di un cane, è uguale al suo! Ridiamo, e quando ride sposta leggermente la testa da un lato, con allegria.
Provo una sensazione strana, mi sembra di conoscerla da sempre, come se facesse parte di me, del mio destino.
«Come sei capitato qui? Cosa fai di bello?»
«Il tuo vicino di casa… e tu?»
«Scrivo romanzi, racconti, un po’ di tutto.» Le guardo le mani.
«Porti la fede, sei sposata?»
«Non più, la porto per abitudine. E tu?»
«Anche la mia era abitudine.» Ridiamo.
«Ti ho sentito suonare la chitarra stanotte, era una musica triste.» Non dico niente e sento i suoi occhi dentro di me. La spingo piano con la spalla. Sorride e lo fa anche lei con me, come due vecchi amici che hanno capito la loro intesa, più forte delle parole.
A che serve raccontare ciò che abbiamo lasciato indietro e parlare di quel che non ci piace?
Dalla tazza spuntano solo i suoi occhi, verdi, limpidi come un sogno.
Il crepitio del fuoco, e i nostri sguardi, bastano a colmare questa quiete fatta di tutto. Di tacita comprensione, di calore umano e tenerezza. E’ incredibile sentirsi così tra sconosciuti, è raro, ma a volte capita.
Si alza, porta le tazze in cucina, io non mi trattengo e seguo con lo sguardo il suo sedere tondo.
Il gatto salta sulle mie ginocchia, mi strofina la coda in faccia e fa le fusa. Il cane si avvicina, mi odora i pantaloni e io, prima guardo verso la cucina, poi gli mollo una pedata… guaisce.
«Jody!» grida Chiara «Che succede?»
«Non so, forse è geloso del gatto.» Dichiaro con aria ingenua.
«Domani, se il tempo è bello, ti va di scendere in spiaggia? Preparo qualcosa e si fa colazione insieme, ma non sentirti obbligato, non vorrei fare la vicina invadente! E soprattutto…» l’espressione si fa acuta, si avvicina e mi stringe sul viso gli occhi e la bocca «prometti di non affogarmi il cane!» Ride forte e io la mangerei come un bignè cremoso. Mi guarda, e non so se ha capito che la divorerei adesso, in un boccone solo.
«A domani!» Sussurro e con passo dinoccolato scendo le scale. Peccato che inciampo al terzo gradino, mi volto giusto in tempo per vedere la porta che si chiude… e sentirla ridere forte. La immagino risplendente d’allegria e rido anch’io, forte, guardando le stelle. Sono quasi felice.
*
Prendo il cavalletto e lo posiziono sotto alla luce migliore. M’investe una febbre che non mi assaliva da tempo. Da quando Grecale non era un vento e neppure un dirigente, ma era il pittore, il pittore felice e basta.
E’ con frenesia che inspiro il profumo di olio e trementina come un’inalazione stupefacente e dipingo la tela di un azzurro scuro, violento. Un colore che ricopre con prepotenza il bianco accecante della tela, quella tela che per anni è rimasta davanti alla mia inutilità, a ricordar la mia vita. Ricopro febbrilmente il dolore per far nascere nuova vita e gli occhi che emergono, dal buio dell’azzurro più cupo, mi infilzano il cuore.
Quante volte ho dipinto Gloria, nei momenti più intimi, nelle pose più oscene. Tele orribili, senz’anima, dipinte con la rabbia del niente. Tele inutili che mi ispirava il suo amore, che non mi offrivano alcuna sensazione se non un colore crudo, duro, senza alcuna morbidezza.
L’arte è sentimento. Amore, dolore, gioia, sofferenza… non può essere il nulla.
Il pennello va da sé a colorare l’immagine della fantasia. Mi tolgo i pantaloni, mi danno fastidio, perché sono follemente eccitato, mentre cerco di dare armonia al suo seno nudo… un seno che ho chiaro nella mia mente. La figura mi guarda e io cerco di proporzionare con precisa fedeltà il contorno delle labbra, sono le sue, le coloro col rosso erotico e intenso di un morbido carminio, ho voglia di baciarla, di stringerla e d’amarla. E non importa quel che sarà, adesso è mia.
Penso ai dipinti più belli, nati da un bizzarro risveglio sensuale, da un’ispirazione di passione.
Dipingo teso come uno squilibrato questo momento d’amore e dalla tela emerge lei… una sirena. Mi fermo ad osservare la figura e poso con decisione i pennelli.
Per la parte inferiore uso la spatola, mista a olio e sabbia. Domani in spiaggia raccoglierò conchiglie per raschiare madreperla e arricchire la coda. Ornerò i capelli e le squame, d’oro e d’argento, per renderla immortale e divina come un’icona sacra.
Sento i suoi passi che camminano su di me e un brivido mi attraversa il corpo. Mi fermo a immaginare i suoi sospiri e osservo il dipinto, sorrido vedendo il volto di Chiara. Ho la certezza che questo sia il mio dipinto più bello, il mio capolavoro è lei che mi ha proposto la vita, proprio nel momento in cui sono rinato, lei… la mia musa ispiratrice, la mia sirena, la mia poesia… la mia meravigliosa e inaspettata vicina di casa.