I - Classici e Letteratura nell'Arte: Le Baccanti , Euripide

asiul

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Siamo alla seconda proposta, quella di Shoofly, Le Baccanti (Βάκχαι) di Euripide.Prima di cominciare la solita piccola biografia sul suo autore.Se vorrete,potrete ampliarla con altre informazioni, anche pettegolezzi, sul suo conto.:mrgreen:

Euripide:

Nasce ad Atene, da famiglia benestante con possedimenti in Salamina. La sua data di nascita è incerta, tra il 485 e il 484 a.C., e muore nel 406 in Macedonia.

Subì l’influsso dei Sofisti e dopo la sua partecipazione ad un concorso nel quale si classificò terzo, ebbe inizio la sua carriera. Era il 455 a.C. Sebbene fosse di idee progressive,non prese mai parte attivamente alla vita politica, anche se nelle sue opere tragiche è possibile leggervi comunque qualcosa.
Passò parte della sua vita a Pella, capitale macedone, presso Archelao.Si pensa che sia morto sbranato dal cane,un molosso, di Archelao (che brutta fine:paura:) .
Noto per uno scetticismo antireligioso e per la sua polemica con gli dei narrata nelle sue opere, tanto da prendersi l’appellativo di ateo (per così poco?Mah!:boh:). Accusato di misoginia. Carattere inquieto e solitario. Sembra inoltre essere stato il primo a possedere una biblioteca privata. Autore di 18 tragedie.Una di loro, sarà in questo thread, spolpata, da noi. :sbav:

Cominciamo....
 
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Shoofly

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Le Baccanti

Una delle opere letterarie più conosciute sulle baccanti (o menadi, per dirla alla greca) è la tragedia eponima di Euripide, scritta alla corte di Archelao di Macedonia, tra il 407 ed il 406 a.C.

Euripide morì pochi mesi dopo averla completata.

In questa tragedia il re di Tebe, Penteo, che si oppone alla pratica dei culti di Dioniso nella polis, viene punito dal dio stesso, finendo sbranato dalle Menadi, tra le quali si trova, in totale balia del furore estatico, la stessa madre del sovrano.


Personaggi

Dioniso
Coro delle baccanti
Tiresia
Cadmo
Penteo
Guardia
Primo messaggero
Secondo messaggero
Agave

Prologo​

A Tebe, davanti alla reggia di Penteo. Si vedono le rovine della casa di Semele. Dioniso, di ritorno dall'Asia, rende onore al luogo consacrato alla madre da Cadmo. Dioniso intende dimostrare a Tebe la propria natura divina, contro la maldicenza di quanti ritengono invenzione di Semele i suoi connubi con Zeus; e vuole affermare nella città di Cadmo il proprio culto ed i propri riti. Penteo, re di Tebe, figlio di Agave e nipote di Cadmo (dal quale ha ereditato il regno) ostacola il culto dionisiaco. Affermata di nuovo la sua intenzione di ottenere onori divini a Tebe a costo della guerra, Dioniso esce di scena.


Parodo​

Il coro, che è composto da baccanti, intona un canto di lodi del dio ed invoca il suo ritorno nelle città dell'Ellade. Si narra il mito di Semele fulminata dalla folgore di Zeus e della gestazione di Dioniso, conclusasi nella coscia del padre.


Primo episodio​

Tiresia e Cadmo. Si apprestano a partecipare ai rituali ed alle danze in onore di Dioniso, nonostante la vecchiaia di entrambi e la cecità di Tiresia. Entra Penteo che, tornato da un viaggio, è sconvolto per i riti orgiastici cui partecipano tutte le donne tebane, intende mettere al bando i rituali ed arrestare tutti i partecipanti.
Accortosi di Tiresia e di Cadmo inveisce contro di loro che favoriscono i Baccanali. Gli risponde Tiresia ribadendo la natura divina di Dioniso ed esortando Penteo a rendere onore al dio. Anche Cadmo interviene, con toni più miti, e rammenta a Penteo lo strazio subito da Atteone per aver mancato di rispetto ad una dea. Penteo non li ascolta ed invia le guardie a cercare uno straniero che - si dice - sia responsabile delle orge e dei rituali.


Primo stasimo

Il coro depreca l'empietà di Penteo ed invoca di nuovo Dioniso. Caratteristica letizia di Bacco, equanime ed accessibile sia per i ricchi che per i poveri.


Secondo episodio

Le guardie hanno catturato lo straniero, che in realtà è Dioniso in sembianze umane. Le guardie sono confuse per la "luce che ha nel volto" il prigioniero e per la facilità con cui si è lasciato catturare. Intanto - avverte una guardia - le baccanti imprigionate in precedenza sono state liberate in modo miracoloso.
Penteo, che appare turbato dall'aspetto affascinante dello straniero, lo interroga sulla sua origine. Il prigioniero dichiara di venire dalla Lidia per ordine di Dioniso a portare a Tebe un nuovo culto. Penteo ordina che venga rinchiuso in prigione. Lo straniero predice a Penteo la punizione di Dioniso.


Secondo stasimo

Il coro parla di Penteo, figlio di Echione, ("uomo-serpente"), uno degli Sparti nati dai denti di drago seminati da Cadmo, ed invoca contro la sua empietà l'ira di Dioniso.


Terzo episodio​

Dioniso si libera dalla prigione "scuotendo il palazzo di Penteo". Uscito si mostra ancora alle baccanti in aspetto umano e racconta di essere stato liberato dal dio, il quale ha distrutto la reggia ed atterrito Penteo.

Entra Penteo, stupefatto di vedere il prigioniero che lui stesso ha incatenato, libero e tranquillo.

Il primo messaggero, un mandriano, si presenta a Penteo per riferire quanto ha visto sul monte Citerone: tre cori di baccanti con a capo le tre sorelle di Semele: Agave (madre di Penteo), Ino ed Autonoe.
Le donne, contrariamente a quanto credeva Penteo, si comportavano in modo casto e composto.
Quanto fra loro avevano partorito di recente allattavano prodigiosamente cuccioli di lupo o di cerbiatto. Con un colpo del tirso facevano zampillare dalla terra fonti di acqua, di vino, di latte e di miele.
Il messaggero e gli altri pastori avevano deciso di tentare la cattura di Agave per riportarla in città, tuttavia quando le baccanti avevano iniziato i loro riti avevano subito messo in fuga gli uomini, quindi si erano abbandonate agli aspetti più furenti del loro culto: squartavano animali e devastavano villaggi, rese invulnerabili ed invincibili dalla protezione del dio.
Penteo ordina alle guardie di attaccare le baccanti. Interviene Dioniso e riesce a far richiamere l'ordine di Penteo acconsentendo ad accompagnare il re (travestito da donna) sul monte Citerone per assistere di nascosto ai baccanali.
Dioniso sa che fra le baccanti Penteo troverà la morte.


Terzo stasimo​

Versi sul destino di Penteo e sulla vanità del potere umano.


Quarto episodio​

Dioniso e Penteo. Penteo, vestito da donna, ha già perso il senno per volere del dio. Si prepara con cura a raggiungere il Citerone per spiare le baccanti. Dioniso gli promette ancora di guidarlo.


Quarto stasimo​

Invocazione della giustizia contro i sacrilegi di Penteo.


Quinto episodio

Il secondo messaggero, dialogando con il coro, reca notizie della morte di Penteo. Penteo, accompagnato dallo straniero misterioso e dallo stesso messaggero, aveva raggiunto il luogo di raduno delle baccanti ma, accecato dalla follia, non riusciva a vederle. Lo straniero lo aveva fatto salire su un albero ed era scomparso prodigiosamente rivelando la sua vera identità.
Scorto dalle baccanti sull'albero, Penteo era divenuto bersaglio di lanci di pietre, infine le donne avevano abbattuto l'albero facendolo cadere e si erano avventate su di lui, prima fra tutte la madre Agave. Nel loro furore le Menadi avevano fatto a pezzi Penteo ed ora stavano tornando a Tebe in corteo, precedute da Agave che portava la testa del figlio, convinta di aver abbattuto un leone.

Quinto stasimo
Canto sulla vittoria di Dioniso e sulla morte di Penteo.


Esodo​

Agave, ancora in preda alla follia, entra a Tebe con il lugubre cimelio della testa del figlio. Sopraggiunge anche Cadmo che ha faticosamente recuperato le altre parti del corpo di Penteo. A poco a poco Agave riacquista la ragione e finalmente si rende conto del delitto compiuto.

Appare Dioniso, che ha provocato la follia della donna per punirla di aver dubitato delle nozze di Semele con Zeus e decreta che Cadmo ed Armonia siano mutati in serpenti. Intanto il vecchio e le sue figlie andranno in esilio. Cadmo dovrà guidare un esercito di barbari (gli Illiri) contro l'Ellade finchè, ad opera di Ares, non sarà trasportato nella terra dei beati.



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Le Baccanti è considerata una delle più grandi opere teatrali di tutti i tempi. Il suo messaggio sembra essere un severo monito ad adorare gli dei e a non sfidarli. Tradizionalmente questa tragedia è stata considerata da critici e studiosi come un'opera che avrebbe segnato la riscoperta della religione da parte del “laicissimo” e dissacrante Euripide.

Più di recente, secondo alcuni interpreti, Euripide avrebbe voluto esprimere in realtà il rifiuto razionalistico dell’età classica per gli antichi culti e superstizioni e - secondo altri - proprio in questa sua negazione della tradizione religiosa pagana si manifesterebbe addirittura l’attesa di una superiore rivelazione (che sarà poi quella cristiana), capace di riconoscere all’uomo la dovuta libertà e dignità morale.



Secondo Eric Dodds, autore di un importante studio sulla religione greca, la posizione di Euripide nei confronti del Menadismo è più realistica che ideologica: poichè esso rappresenta una tendenza insopprimibile (e lo è ancora oggi.... basti pensare a certe attuali festicciole che si tengono per lo più ai “piani alti”) sarebbe più saggio contenerla in modo istituzionale che negarne del tutto l’espressione, rischiando di esserne travolti.



« Beato chi, protetto dagli dei, conoscendo i misteri divini conduce una vita pura e confonde nel tiaso l'anima, posseduto da Bacco sui monti tra sacre cerimonie »
(vv. 72-77.)
« Non è sapienza il sapere, l'avere pensieri superiori all'umano. Breve è la vita, chi insegue troppo grandi destini non gode il momento presente. Costumi stolti di uomini dissennati stiano lontani da me »
(vv. 395-402.)




E’ interessante sottolineare come i culti dionisiaci mostrino alcune ascendenze nordiche in rapporto alla Grecia: da un lato per il forte carattere sciamanico e il ricorso al travestimento animale (orso, volpe, capretto, cerbiatto), dall’altro per le modalità seguite per ottenere l’invasamento, la possessione divina.

Attraverso la danza turbinante, la musica, l’uso di sostanze psicotrope (sembra che masticare foglie di edera, sempre presenti nelle raffigurazioni classiche dei baccanali, agevolasse l’invasamento) e la corsa per i pendii delle montagne, le donne regredissero ad una condizione animale, primordiale ed istintiva dell'essere, nella quale, distrutto ogni limite di autocontrollo razionale, si realizzava la divina mania (enthousiasmos) veicolante il contatto.
 
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Shoofly

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H.W. Henze, Le Bassaridi

Dopo questa introduzione all’opera letterararia passiamo all’arte “altra” per parlare di uno dei grandi capolavori della musica contemporanea, Le Bassaridi di H.W. Henze.


Bassaridi [dal lat. Bassarĭdes, gr. βασσαρίδες (o βασσάραι)] è uno dei nomi delle baccanti tracie e lidie, così chiamate per la pelle di volpe (gr. βασσάρα «volpe») che indossavano durante i riti dionisiaci.

Il poeta bizantino Nonno di Panopoli (Dionisiache, XIV, 217 sgg.) presenta un elenco di 18 nomi:

Egle (Splendente),
Callicore (Bella danzatice),
Eupetale (Frondosa),
Ione (Viola),
Calice (Bocciolo),
Briusa (Germoglio),
Silene (da Sileno),
Roda (Rosa),
Ocitoe (Rapida nella corsa),
Ereuto (Colei che arrossisce),
Acrete (Vino puro),
Mete (Ebbrezza),
Arpe (Falcetto),
Oinante (Fiore di vino),
Licaste (dal Fiume Licasto),
Stesicore (Direttrice del coro),
Protoe (Colei che corre avanti),
Trigia (Vino nuovo).







LE BASSARIDI

Musica di Hans Werner Henze
Libretto di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman​


Personaggi principali

Penteo, re di Tebe baritono
Agave, madre di Penteo mezzosoprano
Autonoe, sorella di Agave soprano
Cadmo, padre di Agave e nonno di Penteo basso
Beroe, nutrice di Penteo contralto
Tiresia, vate cieco tenore
Dioniso tenore
Il capitano delle guardie baritono

Prima rappresentazione: Salisburgo, 1966



Primo movimento​

L’azione inizia a Tebe, davanti al palazzo reale dove il popolo radunato vuole rendere omaggio al nuovo re, Penteo, figlio di Agave che a sua volta è figlia di Cadmo, il fondatore della città. Di fronte al palazzo c’è anche la tomba di Semele, un’altra figlia di Cadmo che, sedotta da Zeus, aveva dato alla luce il dio Dioniso prima di morire.
Sulla sua tomba, adorata dal popolo, si alza una fiamma costantemente accesa, e il culto di Semele è in realtà il culto del nuovo dio che ha già conquistato la Persia e parte della Grecia. Una voce fuori campo annuncia l’arrivo in Beozia di Dioniso e tutto il popolo corre sul Cytheron a riverirlo, lasciando soli Cadmo, Beroe, Agave e Tiresia.
Il cieco Tiresia ha molto dovuto sopportare da parte degli dei, che però oltre alle sciagure gli hanno fatto dono di una lunga vita e del vaticinio; la sua paura della morte gli fa abbracciare entusiasticamente la nuova religione.
Cadmo invece è preda di timori superstiziosi: da un lato teme il geloso sdegno della dea Hera, e dall’altro teme l’ira di Dioniso contro chi non si voti alla sua adorazione. Quanto a Penteo, il nuovo re, è sparito da una settimana per cercare consiglio da Zeus.
Tiresia incoraggia Beroe a spingere Penteo verso il culto di Dioniso, ma si tratta di una divinità sfuggente e chi cerca di identificarlo si trova di fronte ad un enigma.

Ora la scena comincia ad affollarsi di Bassaridi che nel sottofondo continuano il loro canto, mentre Antonoe, un’altra figlia di Cadmo, parla con la sorella Agave del bel capitano della guardia, convocato lì per ordine del re. Cadmo continua a temere lo sdegno di Hera, ma Tiresia lo rassicura: il giovane dio è venuto a prendere possesso della città di Tebe, il nuovo dio uccide per rinnovare ed è la sua ira che bisogna temere, e alla fine anche lo sdegno di Hera dovrà placarsi.

Re Penteo si è ormai da una settimana ritirato per pregare Zeus, senza udire il grido di saluto a Dioniso del popolo. Beroe, che è stata nutrice anche di Semele, dovrebbe convincere Penteo che il figlio di Semele è un dio, ma anche Agave non crede nella divinità del figlio di sua sorella. Sul fondo dell’anfiteatro le Bassaridi cantano i loro inni, mentre sul davanti del palcoscenico continua a svolgersi la scena.
Cadmo è preda di strani pensieri: certo gli piacerebbe avere un dio per nipote, ma poi teme di avere offeso gli altri dei e chiede conforto a Pallade.
Arriva Beroe ad informarlo che il re suo nipote ha convocato tutti perchè odano il suo importante annuncio, e ora il capitano delle guardie lo legge pubblicamente. In qualità di re, Penteo colpisce con l’anatema chiunque diffonda le voci blasfeme di accoppiamenti fra dei e mortali, e soprattutto chi dirà che Zeus si è accoppiato con Semele ed ha avuto un figlio da lei.

Al termine della lettura appare Penteo in persona, sale sulla tomba di Semele e spegne la fiamma che ardeva sull’altare. Cadmo è inorridito, ma Agave approva il gesto: ora Semele riposerà in pace.
Penteo si accorge però che oltre alla famiglia non è rimasto nessuno; lui voleva il popolo radunato per udire i suoi ordini. Agave gli dice che nessuno se ne è curato: tutto il popolo è andato a danzare sul Cytheron.
Alla reazione di ira del re, Agave sembra esaltarsi, mentre Cadmo e Beroe invocano il perdono di Semele. Anche Autonoe approva la reazione di Agave, ma in quel momento una voce fuori scena (Dioniso) comincia a cantare della bellezza selvaggia del Cytheron, dei suoi boschi, delle sue fonti, della gioia con cui gli animali vivono e giocano in amicizia, delle danze che lì intrecciano uomini e donne.
Il richiamo è forte: Agave ed Antonoe ne sono come ipnotizzate e mentre la seduzione della voce fuori scena si impossessa delle loro anime, le due donne escono di scena danzando.


Secondo movimento
Nel palazzo reale, Cadmo invita Penteo ad ubbidire al volere degli dei, ed a non oscurare lo splendore del culto di Semele. Ma Penteo fa appello alla ragione: vuole trovare ed uccidere il falso dio e comanda al capo delle guardie di andare sul Cytheron e riportare tutti quelli che vi troverà.
Mentre le Bassaridi odono il loro nemico avvicinarsi, arriva Beroe ad inginocchiarsi davanti al re e questi le apre il suo cuore in uno sfogo: a Tebe si venerano delle ombre, Dioniso è il nome del nulla e soffia menzogne nelle orecchie dei suoi seguaci, conducendoli verso il regno del caos. Ma mentre Penteo parla, Beroe, seguace del culto della Madre Terra, mormora delle cantilene fra sé e sé.
Penteo continua il suo sfogo: chiamando Beroe a testimonio, fa voto solenne di astenersi fino alla morte dal vino, dalla carne e dal letto di qualunque donna.
Trascinati dal capo delle guardie, arrivano i progionieri, fra cui Agave, Autonoe,Tiresia e un giovane straniero. Mentre le Bassaridi intonano un coro di lode a Semele e a Zeus, il capitano viene rimproverato per avere trovato così pochi prigionieri; si sa che sono andati molti di più. Nel gruppo, Penteo è incuriosito dal giovane straniero perchè questi non è in trance come gli altri e il capitano gli racconta che sembra avere un certo ascendente su tutti gli altri: forse si tratta di un sacerdote.
Il re decide di inviare alla tortura tutti, per far loro confessare dove si trovi il dio fanciullo, trattenendo solo il familiari e lo sconosciuto. Poi interroga lui stesso la madre: cosa ha visto sul monte Cytheron? Dov’è Dioniso? Ma Beroe cerca di parlargli: Dioniso è qui! Intanto Agave parla dell’incanto dei misteri dionisiaci e anche Tiresia interviene, mentre il canto delle Bassaridi continua incessante nel sottofondo. Penteo continua ad interrogare Agave inutilmente, e giunge il capitano a dirgli che non è riuscito ad ottenere dai progionieri che parlassero nemmeno con le torture, e che essi morivano senza rivelare nulla.
Il re allora fa rinchiudere Agave e Antonoe nelle loro stanze e bandisce Tiresia dalla città.
Lo sconosciuto nel frattempo se ne sta in disparte sorridendo con noncuranza e quando viene interrogato risponde a Penteo che sì, lui serve Dioniso, e che lo conosce bene, e che anche Penteo stesso può vederlo questo dio perchè è proprio qui al suo fianco in una delle sue molte forme.
Racconta di essere un Lidio di nome Acetes che ritornando alla casa paterna aveva approdato a Chio dove un bimbo bellissimo lo aveva spinto verso Naxos, e che la prora della nave, guidata dai delfini, aveva solcato le onde fino a sentire il fruscio delle querce del Cytheron.


Terzo movimento​

Penteo dà sfogo alla sua ira facendo portare il ragazzo alla tortura, ma il cielo si oscura e nel buio si scatena il terremoto; un soffio di vento fa volare il mantello dall’ara di Semele e la fiamma rinasce con vigore.
La luce delle fiamme mostra lo straniero libero, vicino all’altare: Dioniso ha liberato lui e anche tutti gli altri.
Penteo oppone la sua logica: un terremoto non è un miracolo, non è la volontà di un dio. Comanda al capitano di tornare sul Cytheron ad uccidere tutti quelli che vi troverà. Lo straniero lo mette in guardia, perchè saranno gli altri ad avere il suo sangue. Allora Penteo decide di indagare sui riti.
Lo straniero risponde che i riti si svolgono durante la notte, che vi sono danze ma non baccanali, e chi è casto si conserva tale chi non lo era già da prima certo non lo diventa; se vorrà assistere al rito, il dio gli aprirà gli occhi.
Chiama Beroe, nascosta in disparte, e si fa portare lo specchio di Agave e con esso cattura il riflesso delle fiamme mentre il coro coninua ossessivo e le luce scompare. Il terzo movimento è diviso da un interludio onirico in cui Penteo vive le proprie fantasie erotiche soppresse, e vede Agave e Autonoe in vesti di dee, amoreggiare con il capitano delle gurdie nelle vesti di Adone.
Terminato l’intermezzo, Penteo, ritornato alla realtà, è ormai deciso: incurante degli avvertimenti dello straniero, decide di spiare gli officianti e accetta anche il consiglio di travestirsi da donna, indossando dei vestiti della madre e imparando i movimenti della danza.
Richiama tutte le guardie mentre lo straniero lo conduce verso l’uscita dalla città, ormai rimasta vuota; nell’atmosfera desolata si odono solo i gemiti di disperazione di Beroe. Anche Cadmo, nel buio illuminato solo dalla luce delle fiamme, sente l’arrivo del suo ultimo giorno.

Sul monte, una processione formata da quelli che un tempo erano i sudditi di Penteo, attraversa la scena reggendo delle torce e il re osserva tutto arrampicato sul ramo di un pino, ma mentre Bassaridi e Menadi cantano i misteri, una voce le avverte che un estraneo sta spiando i loro riti e Agave, ormai schiava della volontà del dio, alla testa del gruppo cattura il malcapitato e lo uccide.


Quarto movimento​

Un debole chiarore rossastro illumina Beroe e Cadmo nel cortile del palazzo; nella livida alba le Menadi si avvicinano cantando, con Agave in testa che reca trionfante il trofeo di caccia che crede sia la testa di un leone, ucciso con le proprie mani. Quando le donne arrivano alla vista, è la testa di Penteo il macabro trofeo che viene sorretto da Agave completamente allucinata, e Cadmo si rende conto che Dioniso, nato dal suo sangue, ha distrutto la sua casa.
Il cieco Tiresia ed Agave ora cercano il re, ma sebbene Cadmo si auguri che non si faccia mai luce nella mente della figlia, nella donna una qualche consapevolezza si va risvegliando e finalmente riconosce tra le proprie mani la testa del figlio. Di fronte all’orrore della realtà la sua mente vacilla: la volontà degli dei è troppo forte, e la loro crudeltà troppo grande. L’incessante canto delle Bassaridi viene interrotto dall’arrivo di Dioniso che rivelandosi in tutta la sua gloria manda in esilio Agave, Autonoe e Cadmo che dovranno andarsene e non incontrarsi mai più.
Il palazzo viene dato alle fiamme e raso al suolo, mentre Cadmo invoca la morte e Agave predice sugli dei la maledizione del fato: il Tartaro li attende tutti.
Ora però Dioniso trionfa, pago della propria vendetta sulla città: una voce invoca Persefone perchè apra i cancelli del suo regno e liberi la madre Semele.
Il volto e la voce del dio rivelati nella loro gloria abbagliano i mortali: il fuoco della tomba di Semele si innalza e lei, evocata dall’Ade, è pronta a prendere il suo posto fra gli immortali, con il nome di Thione.
La tomba è ornata con le statue dei due simboli della fertilità, Dioniso e Thione e mentre la luminosa luce del giorno li avvolge, la folla si inginocchia adorandoli, fra le rovine fumanti di Tebe.
 
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Shoofly

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Henze compose quest’opera a trentotto anni, quando aveva già alle spalle molte importanti esperienze di teatro musicale (Boulevard Solitude, Elegie für Junge Liebende, König Hirsch).

Die Bassariden, commissionata dal festival di Salisburgo, appare perciò quando il suo nome è già internazionalmente noto, benché difficilmente collocabile in una corrente o in un filone preciso della musica contemporanea.
Insofferente ai dettami dell’avanguardia, ma altrettanto lontano da nostalgie tradizionaliste cerca il senso della modernità nel modo in cui gli elementi linguistici si combinano con quelli musicali, per dar corpo ad un messaggio strutturato a più livelli e perciò leggibile sia da un pubblico di profani sia dai professionisti ed appassionati.

Le Bassaridi costituisce il punto di confluenza di molti aspetti importanti dell’estetica di Henze, soprattutto l’impegno politico e lo sforzo di salvaguardare lo spirito libertario evitando la degenerazione dogmatica.

Da qui la scelta del tema, riguardante l’antagonismo tra vitalismo e spregiudicatezza dionisiaca e le tendenze legalitarie e spirituali di Penteo.

I librettisti, Auden e Kallman, poeti e già collaboratori di Stravinskij, si ispirarono solo ad alcuni punti focali della tragedia di Euripide. I quattro movimenti in cui si articola l’atto unico ripropongono continuamente il tema della fluidità e della metamorfosi. Accanto a ciò è presentato il dilemma tra rivoluzione e reazione, con gli effetti che un simile scontro può provocare se tali elementi non sono temperati da un margine di tolleranza. Metaforicamente affiora anche il problema del linguaggio, soprattutto musicale.

A differenza della tragedia di Euripide l’opera non termina sul vuoto e sul silenzio di un interrogativo irrisolto, ma sulla luce di una circolarità vitale che rifiuta ogni rigida scissione tra corpo e mente.

Questa scissione è prospettata da Penteo che rinnega la ricchezza del mito e dell’amore, ma anche dal monoteismo cattolico e dallo spiritualismo più o meno smaccato dell’avanguardia musicale come anche delle varie correnti neoclassiciste dallo sguardo unidirezionale e nostalgico al passato.

Die Bassariden è invece espressione di un eterno ritorno, tanto che il Dionisio di Henze sembra fondere l’originale euripideo col pensiero di Nietzsche. Anche i riferimenti psicoanalitici alludono tanto all’incapacità di Penteo di accettare le proprie pulsioni inconsce quanto al pericolo che cova sotto ogni “coperchio” che soffochi la libera espressione (politica, esistenziale, artistica).

Significativi anche i temi della maschera e della compresenza di maschile e femminile: tutti ricalcati ed animati musicalmente dal perenne incontro-scontro tra l’elemento lirico e quello percussivo, tra consonanza e dissonanza, laddove la “chiusura” e l’incapacità di aprirsi al pensiero “altro” generano sempre (senza alcuna esclusione, quindi anche nel caso dello stesso Dionisio) il pericolo di una crudeltà ottusa e immobile.

La scelta di un soggetto classico tocca così un nodo cruciale anche nella cultura (ma anche nel pensiero politico e filosofico) del Novecento.

Henze proprone una successione ininterrotta di idee musicali e drammaturgiche che accompagnano il pubblico in un percorso commovente e indimenticabile: il primo movimento è leggibile come una forma-sonata che introduce l’antagonismo tra i due temi già ricordati e tra i due personaggi principali; il secondo movimento è a metà strada tra uno scherzo sinfonico e una suite bachiana; l’adagio è inframezzato dallo stupendo Intermezzo Il Giudizio di Calliope e il finale è ordito come una monumentale passacaglia.


 

asiul

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Lettura del testo...

Non mi sembra sia stato inserito... :?

per leggere il testo completo (tradotto)ed una breve introduzione cliccate ---> Le Baccanti

(...)
Non è sapienza il sapere,
Né andare col pensiero
Oltre l’orizzonte della morte.
Il tempo è breve:
Chi segue l’immenso
Perde l’attimo presente.
Così vivono i pazzi,
Così vivono, per me,
Gli uomini perversi.(...)


Euripide, Baccanti
 
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asiul

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Il mistero de Le Baccanti

Tempo fa lessi un articolo su Le Baccanti.Lo riassumo in questo thread sperando possa interessarvi.

Il senso delle baccanti è chiaro, basta leggerle, ma se dovessimo decidere da quale parte mettere il suo autore cosa diremmo? Non è cosa facile. È come afferma Arthur Verrall “l’estremo grido di un ateo” oppure una crisi di coscienza del materialista Euclide divenuto bacchettone?O solo il frutto del suo sofismo?

Di lui dirà Nietzsche, Euripide “si è opposto per tutta una lunga vita a Dioniso, al fine di chiudere la sua carriera (…) con una glorificazione del suo avversario e il proprio suicidio, simile a uno che sia preso dalle vertigini e che, solo per sfuggire all’orribile e non più tollerabile turbamento, si precipiti da una torre. Quella tragedia [Baccanti] è una sconfessione della possibilità di realizzare la sua tendenza, ma ahimé!, essa era già stata realizzata. Il miracolo era accaduto: quando il poeta ritrattò, la sua tendenza aveva
già vinto. Dioniso era già stato cacciato dalla scena tragica, cacciato da una potenza demoniaca che parlava per bocca di Euripide.

Anche Euripide era in un certo senso solo una maschera: la divinità che parlava per sua bocca non era Dioniso e neanche Apollo, bensì un demone di recentissima nascita, chiamato Socrate” ma non sembra plausibile che Euripide scrivesse sotto dettatura di un Socrate più giovane di lui di almeno quindici anni. Per passare da apollineo pentito a dionisiaco convinto.

Euripide aveva già dato prova del suo ateismo nel precedente Ippolito. E poi Euripide, pur aspirando come sostenuto da Socrate alla supremazia della ragione nel governare l’universo, riconosceva la forza vincente dell’elemento istintuale ed irrazionale. E allora? Osserva Dodds che l’uomo è servo dell’Olimpo in nome della legge che è Necessità ineluttabile e atemporale. Forza superiore senza pensiero e pietà. Come Euripide Dodds vedeva la ragione come guida, ma senza chiudere gli occhi di fronte alla presenza di elementi inconsci e irrazionali alla natura umana. Egli ci suggerisce una soluzione all’enigma. Suggerendoci che alla domanda se Euripide fosse per Penteo o Dionisio non v’è risposta poiché questo si era preoccupato non di “dimostrare qualcosa, ma di allargare la nostra sensibilità”,Dionisio è di per sé “al di là del bene e del male” perché rappresentazione del baratro dell’inconscio.

Da qui che il significato delle Baccanti sia proprio nel loro mistero, quello di accettare l’imperscrutabilità delle leggi supreme della vita.


E così come nel Castello di Kafka e ancor prima nelle baccanti di per Euripide il “non-finito è veramente l’unica possibile conclusione metafisica.” Usando le parole di Cantoni, prefatore dell’opera di Kafka, che sembrano confarsi alle Baccanti “Bisogna rimanere nell’enigmaticità, accettare il mistero, il carattere non decifrabile e mai compiuto dell’esistenza” .

Certo è che distingue quest’opera dalle precedenti tragedie euripidee, per stile più introspettive, questo suo soffermarsi sulla concezione dell’esistenza umana e del Cosmo dove le forze oscure sono manifestazione della autorevolezza divina.
 

asiul

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Euripide e le Belle Arti: Sala delle Baccanti

Danza-delle-baccanti_Felice.jpg


L’affresco nelle immagini decora la volta della sala XII della Galleria Borghese di Roma, meglio nota come Sala delle Baccanti. Al centro tralci d’edera e festoni, tre danzatrici (le Baccanti), in una cornice a più fasce e decorata a sua volta da ghirlande alle quali sono appese tre anfore, trofei floreali e strumenti musicali. Nelle quattro targhe quadrangolari scene mitologiche. L’opera che s’ispira alle decorazioni della Domus Aurea e del criptoportico di Villa Adriana è di Felice Giani (1758 -1823), uno dei massimi esponenti del neoclassicismo. Pittore e decoratore d’interni. Amante del rinascimento rinvenibile nelle opere di Michelangelo e Raffaello e dei manieristi.

Sotto una miniatura della volta...
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asiul

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La phiale apula


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Conservato al museo nazionale Jatta di Ruvio di Puglia la phiale apula (n. 1617) raffigura un passo delle Baccanti di Euripide (Esodo) con Agave che aiutata dalle altre Menadi si accinge a sbranare il figlio Penteo.

(...) CORO (1165) Ecco, la vedo! Arriva qui alla reggia Agàve, la madre di Pènteo. Ha gli occhi stravolti!
Accoglietelo in festa, questo corteo del dio della gioia, euòi!
[strofe]
AGAVE Baccanti d’Asia! CORO Perché questo grido? AGAVE Portiamo su dai monti (v.1170) a questa casa un tralcio d’edera, tenero, appena reciso: caccia fortunata. CORO Vedo e ti accolgo in mezzo al mio corteo. AGAVE L’ho preso senza rete, questo giovane cucciolo di leone selvaggio. (v.1175) Eccolo, guarda! (...)


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euripide%202.jpg

Scena dionisiaca. Lato A di un cratere a campana.Ceramica attica a figure rosse, 400-380 a.C. Galleria di Palazzo Leoni Montanari, Vicenza.


470-482: tutti i barbari danzano i riti dionisiaci.
…[Penteo] E di che specie sono questi tuoi riti? [Dioniso] Non è lecito rivelarli a chi non è iniziato. …[Penteo] E quale vantaggio c’è per chi li celebra? [Dioniso] A te non è concesso di ascoltarlo, anche se vale la pena di saperlo [Penteo] Ben congegnata, perché io desideri ascoltarlo. [Dioniso] I riti del dio odiano chi pratica l’empietà …[Penteo] È questo il primo luogo dove introduci il dio? [Dioniso] Tutti i barbari danzano questi riti. [Penteo] Sono molto meno ragionevoli dei Greci. (Baccanti ,Euripide)
 
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asiul

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Le Baccanti nella pittura

Donne e sacerdotesse di Dionisio, cantavano e danzavano abbandonandosi ai loro impulsi erotici in riti sacri. Delle vere e proprie orge incontrollate, dove in piena estasi,procurata loro dal dio, si consumavano anche riti crudeli.


Eccole in una delle tante festicciole :)mrgreen:), ritratte dal pittore francese William Adolphe Bouguereau (La Rochelle, 30 novembre 1825 – La Rochelle, 19 agosto 1905), nel suo La giovinezza di Bacco, conservato in una collezione privata. Olio su tela 130 1/4 x 240 1/8 pollici (331 x 610 cm)


t_Bouguereau%20-%20The%20Youth%20of%20Bacchus.jpg
 
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asiul

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Baccante che suona il cembalo

Grazie Cris!Davvero interessante... :)

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Inserisco un'altra opera molto bella che merita un suo spazio.

Bacchante_Playing_The_Cymbals_-_Jean-Simon_Berth%C3%A9lemy.jpg


Reclining Bacchante Playing the Cymbals (1778),olio su tela (collezione privata) di Jean-Simon Berthélemy( Laon , Aisne , 1743 - Parigi, 1811), pittore francese di storia, incaricato di dipingere i soffitti anche per il Palais du Louvre , il Palazzo del Lussemburgo. Conservatore barocco-rococò con qualche influenzata dal Neoclassicismo.
 

asiul

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Le Baccanti nella Musica


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Le Baccanti è stata ripresa da Giorgio Federico Ghedini che ne realizzò l’Opera in un prologo, tre atti e cinque quadri su libretto di Tullio Pinelli, da Euripide. La prima della rappresentazione si svolse a Milano al Teatro della Scala il 22 febbraio 1948.

Personaggi: Dionisio (Bar);Penteo(T); Agave(S); Cadmo (B); Tiresia (B); un sacerdote(B); un tebano(T); il corifeo dei baccanti(T); la corifea delle menadi(MS); quattro giovani(T,T,Bar,B); le figlie e le ancelle di Agave (S); tre voci(A,T,B); un bifolco(B); baccanti, menadi,sacerdoti,tebani.
.........
Scritta all’inizio degli anni Quaranta è l’opera teatrale più importante di Ghedini. Al suo interno è possibile scorgervi un idioma linguistico personale, una svolta nei confronti della precedente produzione che segna una volontà di ritorno alla civiltà musicale italiana tra il 500 e il 600.

Purtroppo non sono riuscita a trovare nel web un video o un file audio di quest’opera. :boh:
 
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asiul

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Consiglio di lettura...

In tema con quanto stiamo trattanto è il libro di Roberto Russi:

Le voci di Dioniso. Il dio in musica.
Il dionisismo novecentesco e le trasposizioni musicali delle "Baccanti"


Vi riporto l'estratto della prefazione di Massimo Fusillo

" Il secolo che si è da poco concluso è stata un'epoca che ha assistito a un ritorno massiccio di Dioniso: uno dei tanti effetti che l'opera di Nietzsche ha prodotto sulla cultura del Novecento. Grazie alla Nascita della tragedia, il dionisiaco è diventato infatti una categoria estetica: talvolta banalizzato come espressione diretta della passionalità irrazionale, è invece legato a un processo fondamentale di ogni esperienza artistica, la disidentificazione, la rottura del principium individuationis.

Nel dionisismo più profondo questo emergere della logica altra dell'inconscio non è mai illimitato e incontrollato: dopo il caos siaff ronta il ritorno all'ordine, rendendo comunicabile un'esperienza incomunicabile. Ciò avviene anche nelle rivisitazioni delle Baccanti che si sono moltiplicate intorno al Sessantotto, che rileggeva Dioniso sulla scia di Marcuse: dalla performance di Schechner in un garage di New York, vero inizio epocale di un nuovo modo di mettere in scena la tragedia greca, a Teorema di Pasolini, apologo personalissimo sul sesso e sul sacro.

Il dionisismo novecentesco non si limita comunque solo a un effetto del grande successo postumo di Nietzsche. Roberto Russi lo dimostra assai bene, ripercorrendo diversi momenti-chiave della riflessione filosofica, antropologica e storico-letteraria attorno a Dioniso. Non lo fa semplicemente per off rire un'introduzione dossografica corretta al suo tema, ma perché questo dibattito corposo costituisce lo sfondo ottimale per inquadrare le opere musicali che sono l'oggetto del suo saggio. La musica è arte dionisiaca per eccellenza, e quindi non stupisce che lo stesso Novecento, che ha riproposto Dioniso in svariate forme, dal modernismo al postmodernismo, abbia anche conosciuto una rinascita delle Baccanti nel teatro musicale.

Con un'unione rara fra competenze musicali e competenze letterarie, e con prospezioni verso il teatro e il cinema (un esempio vero di quella che oggi si chiama comparazione interartistica), Roberto Russi ci offre un itinerario sistematico attraverso le Baccanti del Novecento musicale mai affrontato prima, e ricco di sorprese. Le voci di Dioniso sono molteplici sia nelle tecniche drammaturgiche - dalla libera riambientazione nel Medioevo di Szymanowski al rigoroso esperimento filologico di John Buller, che musica il testo originale - sia negli stili musicali - dall'espressionismo neoclassico di Wellesz, studioso di musica bizantina attivo nella Vienna di Schönberg, alla ricerca timbrica di Ghedini, fino all'eclettismo di Hans Werner Henze.

Si incontrano inoltre alcune figure famose delle arti del Novecento: Hugo von Hofmannsthal, W.H. Auden, Tullio Pinelli e il già citato Bergman, accanto a figure meno note ma degne di una riscoperta, come Edwin Geist, musicista ucciso dai nazisti nel 1942 in Lituania, autore di un libretto ricco di innovazioni mitopoietiche (la sua versione prevede infatti un tragico suicidio di Penteo). Il libro ci off re così una conferma preziosa di come il ritorno di Dioniso del Novecento non sia stato un fenomeno passeggero, una moda nietzschiana, ma un dialogo ricchissimo con il dio del teatro e della maschera."


Massimo Fusillo
Docente di Letterature comparate
Università dell'Aquila ]


Fonte: edt.it
 

Shoofly

Señora Memebr
Mysteria Dionysiaca


http://upload.wikimedia.org/wikiped...82px-Pompeii_-_Casa_dei_Vettii_-_Pentheus.jpg
Affesco con la morte di Penteo, Casa dei Vettii, Pompei (62-68 d.C.)

http://www.utexas.edu/courses/larrymyth/images/dionysus/GA-Pentheus-Douris.jpg
Morte di Penteo. Kylix attica a figure rosse (Pittore della cerchia di Duride, 480 a.C.)

http://0.tqn.com/d/ancienthistory/1/0/W/w/2/604px-Death_Pentheus_Louvre_G445_full.jpg
Agave ed Ino sbranano Penteo. Kylix attica a figure rosse (Pittore di Duride, 450-425 a.C.)

http://ccat.sas.upenn.edu/rs/rak/ppenn/pictures/medusa-n.jpg
Agave con la testa di Penteo, Papiro pahlavi della University of Pennsylvania, Museum of Archaeology and Anthropology , (619-629).


Le Baccanti, oltre ad essere un capolavoro teatrale di indiscusso valore, rappresenta una delle fonti più importanti per lo studio dei riti misterici legati al culto dionisiaco.

«Che cosa sono, secondo te, questi Misteri?» s'informa Penteo.
E Dioniso risponde: «La loro segretezza vieta di comunicarli a coloro che non sono baccanti».
«Qual è la loro utilità per coloro che li celebrano?»
«Non ti è lecito apprenderlo, ma sono cose degne di essere conosciute» (Bacch. 470-474).

Il Mistero era costituito dalla partecipazione delle baccanti all'epifania totale di Dioniso. I riti venivano celebrati di notte, lontano dalla città, sui monti e nelle foreste.

Attraverso il sacrificio della vittima per squartamento (sparagmos) e la consumazione della carne cruda (omofagia) si realizzava la comunione con il dio, perché gli animali fatti a brani e divorati sono epifanie, o incarnazioni, di Dioniso.

A partire dal VI sec. questa brutale procedura fu progressivamente sostituita con una rappresentazione simbolica. Dalla liturgia dionisiaca che accompagnava il sacrificio (quasi sempre un capro, tragos in greco) nacque, per l’appunto, la tragedia.*

Secondo la tradizione antica lo stato di enthousiasmos e l’identificazione col dio conferivano una forza fisica eccezionale, oltre al potere di resistere al fuoco e alle ferite, di operare ‘prodigi' (l'acqua, il vino, il latte che scaturiscono dal suolo) e di addomesticare serpenti e cuccioli di bestie feroci.

L'estasi dionisiaca rappresenta il superamento temporaneo della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, inaccessibile ai mortali. Una libertà che riguarda anche l’affrancamento dalle proibizioni, dalle regole e dalle convenzioni di tipo etico e sociale, e questo spiegherebbe anche l'adesione massiccia delle donne a questi rituali.*

L'esperienza dionisiaca però raggiungeva livelli più profondi. Le baccanti che divoravano le carni crude ritornavano a un comportamento animale rimosso da decine di migliaia di anni; sfrenatezze di questo tipo rivelavano una comunione con le forze vitali e cosmiche che si poteva interpretare soltanto come una possessione divina.

Non stupisce, pertanto, che la possessione sia stata confusa con la ‘follia', la mania. Dioniso stesso aveva conosciuto la ‘follia', e la baccante si limitava a condividere le prove e la passione del dio, e questo era, in definitiva, uno dei mezzi più sicuri per comunicare con lui.

Ciò che tuttavia contraddistingue Dioniso e il suo culto non sono le crisi psicopatiche, ma il fatto che esse fossero valorizzate in quanto esperienza religiosa: sia come una punizione sia come una grazia del dio.

L'esperienza era certamente indimenticabile, perché si partecipava alla spontaneità creatrice e alla libertà inebriante, alla forza sovrumana e all'invulnerabilità di Dioniso. La comunione con il dio faceva esplodere per un certo tempo la condizione umana, ma non giungeva affatto a cambiarla. Non ci sono allusioni all'immortalità nelle Baccanti, neppure in un'opera tardiva come le Dionisiache di Nonno di Panopoli.

Nessuna immortalità per le baccanti, quindi, ma certamente per i rituali praticati. La sopravvivenza di questi culti misterici sembra infatti testimoniata dalle tradizioni riguardanti i convegni di streghe in epoca medievale, i sabba, violentemente avversati in tutta la Cristianità.

Questo articolo ne evidenzia molte consonanze rituali.


* Ricordo che il ditirambo era in origine il girotondo destinato - in occasione del sacrificio di una vittima - a produrre l'estasi collettiva con l'aiuto dei movimenti ritmici e di acclamazioni e grida rituali. La sua evoluzione in genere letterario segue parallelamente quella della grande lirica corale (VII-VI sec a.C.).

**Penteo si oppone a Dioniso perché è uno «straniero, un predicatore, un mago <...> dai bei boccoli biondi e profumati, guance di rosa, con negli occhi la grazia di Afrodite. Con il pretesto di insegnare le dolci e seducenti pratiche dell'evoé, corrompe le fanciulle» (233 ss).
Le donne vengono incitate ad abbandonare la loro casa e a correre, la notte, per i monti, danzando al suono dei timpani e dei flauti. E Penteo teme soprattutto l'influenza del vino, perché «con le donne, se il liquor d'uva figura sulla mensa, non promette nulla di buono in queste devozioni» (260-262).
 
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