H.W. Henze, Le Bassaridi
Dopo questa introduzione all’opera letterararia passiamo all’arte “altra” per parlare di uno dei grandi capolavori della musica contemporanea,
Le Bassaridi di
H.W. Henze.
Bassaridi [dal lat.
Bassarĭdes, gr. βασσαρίδες (o βασσάραι)] è uno dei nomi delle baccanti tracie e lidie, così chiamate per la pelle di volpe (gr. βασσάρα «volpe») che indossavano durante i riti dionisiaci.
Il poeta bizantino
Nonno di Panopoli (
Dionisiache, XIV, 217 sgg.) presenta un elenco di 18 nomi:
Egle (Splendente),
Callicore (Bella danzatice),
Eupetale (Frondosa),
Ione (Viola),
Calice (Bocciolo),
Briusa (Germoglio),
Silene (da Sileno),
Roda (Rosa),
Ocitoe (Rapida nella corsa),
Ereuto (Colei che arrossisce),
Acrete (Vino puro),
Mete (Ebbrezza),
Arpe (Falcetto),
Oinante (Fiore di vino),
Licaste (dal Fiume Licasto),
Stesicore (Direttrice del coro),
Protoe (Colei che corre avanti),
Trigia (Vino nuovo).
LE BASSARIDI
Musica di Hans Werner Henze
Libretto di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman
Personaggi principali
Penteo, re di Tebe baritono
Agave, madre di Penteo mezzosoprano
Autonoe, sorella di Agave soprano
Cadmo, padre di Agave e nonno di Penteo basso
Beroe, nutrice di Penteo contralto
Tiresia, vate cieco tenore
Dioniso tenore
Il capitano delle guardie baritono
Prima rappresentazione: Salisburgo, 1966
Primo movimento
L’azione inizia a Tebe, davanti al palazzo reale dove il popolo radunato vuole rendere omaggio al nuovo re, Penteo, figlio di Agave che a sua volta è figlia di Cadmo, il fondatore della città. Di fronte al palazzo c’è anche la tomba di Semele, un’altra figlia di Cadmo che, sedotta da Zeus, aveva dato alla luce il dio Dioniso prima di morire.
Sulla sua tomba, adorata dal popolo, si alza una fiamma costantemente accesa, e il culto di Semele è in realtà il culto del nuovo dio che ha già conquistato la Persia e parte della Grecia. Una voce fuori campo annuncia l’arrivo in Beozia di Dioniso e tutto il popolo corre sul Cytheron a riverirlo, lasciando soli Cadmo, Beroe, Agave e Tiresia.
Il cieco Tiresia ha molto dovuto sopportare da parte degli dei, che però oltre alle sciagure gli hanno fatto dono di una lunga vita e del vaticinio; la sua paura della morte gli fa abbracciare entusiasticamente la nuova religione.
Cadmo invece è preda di timori superstiziosi: da un lato teme il geloso sdegno della dea Hera, e dall’altro teme l’ira di Dioniso contro chi non si voti alla sua adorazione. Quanto a Penteo, il nuovo re, è sparito da una settimana per cercare consiglio da Zeus.
Tiresia incoraggia Beroe a spingere Penteo verso il culto di Dioniso, ma si tratta di una divinità sfuggente e chi cerca di identificarlo si trova di fronte ad un enigma.
Ora la scena comincia ad affollarsi di Bassaridi che nel sottofondo continuano il loro canto, mentre Antonoe, un’altra figlia di Cadmo, parla con la sorella Agave del bel capitano della guardia, convocato lì per ordine del re. Cadmo continua a temere lo sdegno di Hera, ma Tiresia lo rassicura: il giovane dio è venuto a prendere possesso della città di Tebe, il nuovo dio uccide per rinnovare ed è la sua ira che bisogna temere, e alla fine anche lo sdegno di Hera dovrà placarsi.
Re Penteo si è ormai da una settimana ritirato per pregare Zeus, senza udire il grido di saluto a Dioniso del popolo. Beroe, che è stata nutrice anche di Semele, dovrebbe convincere Penteo che il figlio di Semele è un dio, ma anche Agave non crede nella divinità del figlio di sua sorella. Sul fondo dell’anfiteatro le Bassaridi cantano i loro inni, mentre sul davanti del palcoscenico continua a svolgersi la scena.
Cadmo è preda di strani pensieri: certo gli piacerebbe avere un dio per nipote, ma poi teme di avere offeso gli altri dei e chiede conforto a Pallade.
Arriva Beroe ad informarlo che il re suo nipote ha convocato tutti perchè odano il suo importante annuncio, e ora il capitano delle guardie lo legge pubblicamente. In qualità di re, Penteo colpisce con l’anatema chiunque diffonda le voci blasfeme di accoppiamenti fra dei e mortali, e soprattutto chi dirà che Zeus si è accoppiato con Semele ed ha avuto un figlio da lei.
Al termine della lettura appare Penteo in persona, sale sulla tomba di Semele e spegne la fiamma che ardeva sull’altare. Cadmo è inorridito, ma Agave approva il gesto: ora Semele riposerà in pace.
Penteo si accorge però che oltre alla famiglia non è rimasto nessuno; lui voleva il popolo radunato per udire i suoi ordini. Agave gli dice che nessuno se ne è curato: tutto il popolo è andato a danzare sul Cytheron.
Alla reazione di ira del re, Agave sembra esaltarsi, mentre Cadmo e Beroe invocano il perdono di Semele. Anche Autonoe approva la reazione di Agave, ma in quel momento una voce fuori scena (Dioniso) comincia a cantare della bellezza selvaggia del Cytheron, dei suoi boschi, delle sue fonti, della gioia con cui gli animali vivono e giocano in amicizia, delle danze che lì intrecciano uomini e donne.
Il richiamo è forte: Agave ed Antonoe ne sono come ipnotizzate e mentre la seduzione della voce fuori scena si impossessa delle loro anime, le due donne escono di scena danzando.
Secondo movimento
Nel palazzo reale, Cadmo invita Penteo ad ubbidire al volere degli dei, ed a non oscurare lo splendore del culto di Semele. Ma Penteo fa appello alla ragione: vuole trovare ed uccidere il falso dio e comanda al capo delle guardie di andare sul Cytheron e riportare tutti quelli che vi troverà.
Mentre le Bassaridi odono il loro nemico avvicinarsi, arriva Beroe ad inginocchiarsi davanti al re e questi le apre il suo cuore in uno sfogo: a Tebe si venerano delle ombre, Dioniso è il nome del nulla e soffia menzogne nelle orecchie dei suoi seguaci, conducendoli verso il regno del caos. Ma mentre Penteo parla, Beroe, seguace del culto della Madre Terra, mormora delle cantilene fra sé e sé.
Penteo continua il suo sfogo: chiamando Beroe a testimonio, fa voto solenne di astenersi fino alla morte dal vino, dalla carne e dal letto di qualunque donna.
Trascinati dal capo delle guardie, arrivano i progionieri, fra cui Agave, Autonoe,Tiresia e un giovane straniero. Mentre le Bassaridi intonano un coro di lode a Semele e a Zeus, il capitano viene rimproverato per avere trovato così pochi prigionieri; si sa che sono andati molti di più. Nel gruppo, Penteo è incuriosito dal giovane straniero perchè questi non è in trance come gli altri e il capitano gli racconta che sembra avere un certo ascendente su tutti gli altri: forse si tratta di un sacerdote.
Il re decide di inviare alla tortura tutti, per far loro confessare dove si trovi il dio fanciullo, trattenendo solo il familiari e lo sconosciuto. Poi interroga lui stesso la madre: cosa ha visto sul monte Cytheron? Dov’è Dioniso? Ma Beroe cerca di parlargli: Dioniso è qui! Intanto Agave parla dell’incanto dei misteri dionisiaci e anche Tiresia interviene, mentre il canto delle Bassaridi continua incessante nel sottofondo. Penteo continua ad interrogare Agave inutilmente, e giunge il capitano a dirgli che non è riuscito ad ottenere dai progionieri che parlassero nemmeno con le torture, e che essi morivano senza rivelare nulla.
Il re allora fa rinchiudere Agave e Antonoe nelle loro stanze e bandisce Tiresia dalla città.
Lo sconosciuto nel frattempo se ne sta in disparte sorridendo con noncuranza e quando viene interrogato risponde a Penteo che sì, lui serve Dioniso, e che lo conosce bene, e che anche Penteo stesso può vederlo questo dio perchè è proprio qui al suo fianco in una delle sue molte forme.
Racconta di essere un Lidio di nome Acetes che ritornando alla casa paterna aveva approdato a Chio dove un bimbo bellissimo lo aveva spinto verso Naxos, e che la prora della nave, guidata dai delfini, aveva solcato le onde fino a sentire il fruscio delle querce del Cytheron.
Terzo movimento
Penteo dà sfogo alla sua ira facendo portare il ragazzo alla tortura, ma il cielo si oscura e nel buio si scatena il terremoto; un soffio di vento fa volare il mantello dall’ara di Semele e la fiamma rinasce con vigore.
La luce delle fiamme mostra lo straniero libero, vicino all’altare: Dioniso ha liberato lui e anche tutti gli altri.
Penteo oppone la sua logica: un terremoto non è un miracolo, non è la volontà di un dio. Comanda al capitano di tornare sul Cytheron ad uccidere tutti quelli che vi troverà. Lo straniero lo mette in guardia, perchè saranno gli altri ad avere il suo sangue. Allora Penteo decide di indagare sui riti.
Lo straniero risponde che i riti si svolgono durante la notte, che vi sono danze ma non baccanali, e chi è casto si conserva tale chi non lo era già da prima certo non lo diventa; se vorrà assistere al rito, il dio gli aprirà gli occhi.
Chiama Beroe, nascosta in disparte, e si fa portare lo specchio di Agave e con esso cattura il riflesso delle fiamme mentre il coro coninua ossessivo e le luce scompare. Il terzo movimento è diviso da un interludio onirico in cui Penteo vive le proprie fantasie erotiche soppresse, e vede Agave e Autonoe in vesti di dee, amoreggiare con il capitano delle gurdie nelle vesti di Adone.
Terminato l’intermezzo, Penteo, ritornato alla realtà, è ormai deciso: incurante degli avvertimenti dello straniero, decide di spiare gli officianti e accetta anche il consiglio di travestirsi da donna, indossando dei vestiti della madre e imparando i movimenti della danza.
Richiama tutte le guardie mentre lo straniero lo conduce verso l’uscita dalla città, ormai rimasta vuota; nell’atmosfera desolata si odono solo i gemiti di disperazione di Beroe. Anche Cadmo, nel buio illuminato solo dalla luce delle fiamme, sente l’arrivo del suo ultimo giorno.
Sul monte, una processione formata da quelli che un tempo erano i sudditi di Penteo, attraversa la scena reggendo delle torce e il re osserva tutto arrampicato sul ramo di un pino, ma mentre Bassaridi e Menadi cantano i misteri, una voce le avverte che un estraneo sta spiando i loro riti e Agave, ormai schiava della volontà del dio, alla testa del gruppo cattura il malcapitato e lo uccide.
Quarto movimento
Un debole chiarore rossastro illumina Beroe e Cadmo nel cortile del palazzo; nella livida alba le Menadi si avvicinano cantando, con Agave in testa che reca trionfante il trofeo di caccia che crede sia la testa di un leone, ucciso con le proprie mani. Quando le donne arrivano alla vista, è la testa di Penteo il macabro trofeo che viene sorretto da Agave completamente allucinata, e Cadmo si rende conto che Dioniso, nato dal suo sangue, ha distrutto la sua casa.
Il cieco Tiresia ed Agave ora cercano il re, ma sebbene Cadmo si auguri che non si faccia mai luce nella mente della figlia, nella donna una qualche consapevolezza si va risvegliando e finalmente riconosce tra le proprie mani la testa del figlio. Di fronte all’orrore della realtà la sua mente vacilla: la volontà degli dei è troppo forte, e la loro crudeltà troppo grande. L’incessante canto delle Bassaridi viene interrotto dall’arrivo di Dioniso che rivelandosi in tutta la sua gloria manda in esilio Agave, Autonoe e Cadmo che dovranno andarsene e non incontrarsi mai più.
Il palazzo viene dato alle fiamme e raso al suolo, mentre Cadmo invoca la morte e Agave predice sugli dei la maledizione del fato: il Tartaro li attende tutti.
Ora però Dioniso trionfa, pago della propria vendetta sulla città: una voce invoca Persefone perchè apra i cancelli del suo regno e liberi la madre Semele.
Il volto e la voce del dio rivelati nella loro gloria abbagliano i mortali: il fuoco della tomba di Semele si innalza e lei, evocata dall’Ade, è pronta a prendere il suo posto fra gli immortali, con il nome di Thione.
La tomba è ornata con le statue dei due simboli della fertilità, Dioniso e Thione e mentre la luminosa luce del giorno li avvolge, la folla si inginocchia adorandoli, fra le rovine fumanti di Tebe.