Wallace, David Foster - La scopa del sistema

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
La quarta di copertina - per Einaudi ha scritto:
Le avventure di Lenore, che si mette alla ricerca della bisnonna, antica studiosa di Wittgenstein, fuggita dalla sua casa di riposo insieme a venticinque tra coetanei e infermieri; del fratello LaVache, piccolo genio con una passione smodata per la marijuana; del pappagallo di famiglia, Vlad l'Impalatore, che recita sermoni cristiani su una Tv via cavo; di Norman Bombardini, re dell'ingegneria genetica, che si ingozza di cibo e sogna di ingurgitare il mondo intero; di Rick Vigorous, il capo e l'amante di Lenore, negazione vivente del suo stesso cognome. Una galleria di personaggi uno più esilarante e paradossale dell'altro, sullo sfondo di un'America impazzita, grottesca, più vera del vero.



Primo esperimento letterario per Wallace, già vivace d'ingegno, di vero e proprio genio. Le vicissitudini dei protagonisti, rocambolesche, tragicomiche, bizzarre fino al punto di apparire, talora, reali se non iperreali, si immettono in un flusso narrativo discontinuo, accidentato, ma mai casuale; sia esso quello immediatamente testuale od anche spaziale e temporale, il tessuto stesso dell'opera è lacerato, componibile alla maniera del collage, e di sé, allo scemare delle pretese, offre soltanto la certezza di nessuna verità. E se una galleria di personaggi improbabili si affolla in frammenti narrativi (e di senso), verbali di sedute psicoterapeutiche, la vicenda parallela sulla costruzione di un deserto chiamato DIO, sequenze dialogate dal filo mai lineare, racconti nei racconti, il fulcro dell'intero romanzo rimane sempre fedele a se stesso, all'io inficiato, distante da sé medesimo, all'identità minacciata o perduta o ecceduta o celata. Ed ecco allora giustificato l'espediente del frammentare, del ruolo attivo cui il lettore suo malgrado è costretto, (ri)comporre, (ri)cucire gli scampoli di informazione trapelati per arguzia o mera immaginazione. Facilmente si riscontra la fluttuazione identitaria, il conflitto originario Io/Altro, nel forte ruolo del corpo, ripulsa, mercimonio, adorazione acritica, mire di espansione ed occupazione universale dello spazio, persino la città, vista dall'alto, presenta il volto di un'attrice. In tale contesto di identità incerta, sempre in bilico tra dicibile e non dicibile, Lenore ha da affrontare la più importante delle sue sfide, sottrarsi all'onnipotenza delle Storie per divenire persona oltre il taciuto, anzi, solo laddove non tutto può essere raccontato. Già, perché chiave di lettura, insieme a psicologia, sociologia e quanto d'altro, è la filosofia wittgensteiniana, quella delle Ricerche filosofiche, del linguaggio come funzione: Lenore altro non è se non la sommatoria di quanto se ne può raccontare, di quanto il sistema di chi la interseca ne può dire; è irretita, prigioniera, attaccata alla parola come unica forma di vita: è solo in quanto raccontata. Ma se Lenore partecipa del sistema, allora questo è autoreferenziale, parla di se stesso, e dunque il paradosso (logico) è dietro l'angolo, alla maniera dell'antinomia russelliana del barbiere, a lei trasmessa peraltro dalla nonna in forma di disegno. Alla domanda banale: se Lenore è solo il racconto di Altri, può raccontare se stessa? Eccon intervenire lo stallo, con l'unico epilogo concesso della sparizione; si eclissa dagli ultimi due capitoli, evitando di deflagrare. Quanto di lei sarà nessuno saprà mai, ma importante, nota già Bartezzaghi nella introduzione, è l'essersi sottratto della ragazza al sistema, la ribellione al suo essere cifra della funzione e nulla di più, significante per storie non autentiche. Un Wallace ironicamente schierato contro ogni razionalità, conscio della perfetta inapplicabilità dell'intelligenza alle questioni dell'esistenza, del carattere superfluo di ogni additivo logico-razionale alla vita. Certo, un autore ancora parzialmente inesperto, grossolano su qualche aspetto, una perla screziata, decisamente non il suo capolavoro. E per questo, se è possibile, lo apprezzo: perché frizzante, imperfetto, pieno del brio di chi esubera e costruisce letteratura di qualità.


3.8/5
 
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swann

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L'ho finito da poco, la cosa che mi ha colpito di più è stata la padronanza impressionante del linguaggio da parte dell'autore. Purtroppo l'ho letto in italiano, ma anche così ho potuto apprezzare la sintassi complessa eppure scorrevole di Wallace. A volte mi è venuta voglia di leggere e rileggere una frase solo per assaporarne il "funzionamento" geniale, non mi accadeva dai tempi di Proust. Indipendentemente dal contenuto del libro, che può anche non piacere, ho avuto la netta sensazione di avere a che fare con un uomo dal talento eccezionale. E' abbastanza lungo ma per nulla pesante, lo consiglio a tutti quelli che vogliono avvicinarsi a questo scrittore senza avventurarsi subito nelle mille pagine di Infinite Jest.
 

Lark

Member
L'ho finito qualche giorno fa, e mi è servito un po' per "processarlo". Romanzo molto particolare, ma ancora non saprei dire se mi sia piaciuto. Lo stile è pregevole, il libro scorrevole, con salti narrativi continui in un mosaico ben fatto - ma tutto sommato senza una vera trama, o quantomeno con una storia tra il surreale e l'onirico, in gran parte legata alla psiche dei personaggi. Qualche passo molto bello (l'introduzione, il dialogo tra Lenore ed il fratello, alcune invenzioni narrative geniali), ma anche una struttura che mi ha ricordato troppo un copione, o una scenografia (dialoghi sintetici, a getto continuo) teatrale. Una delle scene finali, con la presenza di tutti i personaggi nello stesso ambiente, mi ha fatto proprio pensare al classico teatro all'inglese.
La non-conclusione è una scelta stilistica interessante, ma che non sono sicuro di condividere - del resto per lo stesso motivo non sono riuscito a godermi Il pasticciaccio di Gadda.
Personaggi come accennavo molto riflessivi, Lenore su tutti estremamente sensibile e ben caratterizzata. In generale lunatici, disgustosi, esagerati, egoisti, terribili - ma interessanti. Assente qualsiasi tentativo di spiegarne il comportamento da parte dell'autore, cosa che ho trovato molto apprezzabile. Il racconto di una persona ne costituisce l'essenza (siamo quel che si può raccontare di noi) mi è sembrato uno dei fulcri ideologici del romanzo, e Wallace ha cercato di dimostrarlo scrivendolo.
Bel libro, sicuramente interessante, anche se confuso e incompleto (sotto molti punti di vista, oltre al più ovvio). Forse un po' frettoloso.
 
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