Beckett, Samuel - Finale di partita

Con questo capolavoro ( per me ) della drammaturgia e della letteratura occidentale,Beckett torna alla scrittura nel 1955 dopo il grande successo di "Aspettando Godot" ,con un'opera,questa,che per decenni resterà incompresa e poco rappresentata.
Un'opera scarna ,essenziale,che si svolge(ecco l'iniziale rifiuto di tanti attori) dentro dei bidoni dell'immondizia,espressione del piu' lucido disincanto sul destino umano.

Hamm, cieco e paralizzato sulla sua sedia a rotelle, continua a tormentare Clov con ordini assurdi. Clov tormenta a suo modo Hamm, con la minaccia di abbandonarlo.I genitori di Hamm sono invece tronchi umani che vegetano all'interno di due bidoni della spazzatura.
Una splendida,elegante,ma solo paradossale mancanza di senso è il centro della drammatizzazione.

La prima fu Royal Court Theatre di Londra, il 3 aprile del 1957 con critiche totalmente negative.

Siamo davanti,per me,ad un'opera enorme della spirito europeo contemporaneo.

Lo capirono invece all'Accademia di Svezia, una volta tanto , fortunatamente.

Tavolo.
 

Zefiro

da sudovest
l'impossibile abbandono

Grandissimo atto unico, tra i vertici assoluti, a gusto di scrive, di ciò che può esser messo su palcoscenico. Il titolo richiama la terminologia scacchistica, la fase di fine gioco.

I professionisti non arrivano quasi mai a questo stadio della partita, vedono con grande anticipo quando la sconfitta è inevitabile tanto che usualmente le partite terminano con: “il bianco (o il nero) abbandona”.

Non così tra giocatori amatoriali o dilettanti, che continuano solitamente allo stremo fino al matto anche quando tutto è perduto senza rendersi conto per tempo che a poco serve poiché ormai non c’è più nulla da fare.

Siamo tutti dilettanti del vivere, ci suggerisce SB col suo Hamm che rifiuta di vedere la sua fine, e tutto si ripete e tutto è uguale inutilmente a sé stesso, ciò non ostante, inutilmente si prosegue… chissà perché.

Molto poco beckettianamente mi piace infine osservare che, in questa incapacità d’abbandonare sta, forse, tra tante meschine miserie, la nostra grandezza. Si può abbandonare naturalmente, e ben spesso accade. Ma in tal caso sempre avvertiamo il retrogusto amaro di una qualche tradimento perpetrato ai danni di noi stessi.

Consigliato: 3,7/5
 
Ultima modifica:
Alto