Auster, Paul - Trilogia di New York

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Io di Auster ho letto Trilogia di New York che racchiude tre racconti lunghi o romanzi brevi: Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa.
Un modo di scrivere particolare, dei gialli filosofici dove tutto è dominato dalla casualità, con una città enigmatica e situazioni al limite dell'assurdo.
 
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raskolnikoff

New member
Purtroppo non li hanno tradotti tutti!....
la trilogia è un gioiello, ma "L'invenzione della solitudine " dedicato e scritto dopo la morte del padre resta il più personale e introspettivo...anche"affrontare la musica" prima raccolta di poesie pubblicate in Italia è molto particolare.
 

alisa

Amelia Member
A me invece non è piaciuto molto... vuoi l'atmosfera un pò noir e comunque angosciosa, vuoi proprio per le storie in sè... ben scritto, questo è certo, però non mi ha entusismato
 

Clear91

New member
Io ho letto il secondo racconto in libreria ma non potevo comprarlo e ora non l'ho più trovato... lo devo comprare assolutamente
 

Giusy81

New member
L'ho letto per "obbligo", perchè oggetto di un esame universitario, ma al contrario di ciò che in genere ci si aspetta da una lettura "obbligata" l'ho trovato molto particolare, quasi inquietante a suo modo. Mi piacerebbe leggere qualcos'altro dello stesso autore.
 

Zorba

tak kto zh ty, na konec?
Anche io ne sono venuta a conoscenza all'università, poichè era parte di un'antologia di racconti...ovviamente (purtroppo) non c'era tutto, ma quelo poco che ho letto mi è piaciuto.
 
Io l'ho scroccato a mio fratello. Mi piaceva il blu della copertina, il titolo e Auster.
L'improbabile detective Quinn è un fenomeno. Il modo di organizzarsi per non perdere di vista l'ingresso della casa del pedinato è una finezza divertentissima.

Fanshawe è un folle, geniale, ma pur sempre un folle. La stanza chiusa è il racconto chiarificatore. Almeno un po' m'ha fatto capire il secondo racconto Fantasmi, altrimenti davvero era impossibile capire chi pedinava chi.

Bel libro, sicuramente leggerò qualcos'altro di Auster
 

Brethil

Owl Member
Un libro che sa stupire, ecco come lo definirei.
Più che tre racconti brevi, a me il libro pare composto da tre lunghi capitoli intrecciati tra loro in modo inaspettato.
Mi sono piaciuti i vari aneddoti che spuntano qua e là tra le pagine e ancor più i paradossi (se così possiamo chiamarli) come quello dell'uomo che incontra suo padre ibernato.
Auster mi ha fatta sorridere più volte, ma anche riflettere sul fatto che un ombrello rotto non è più un ombrello.
Non pensavo avrei apprezzato questa lettura, invece ne sono rimasta piacevolmente stupita.
Mi sento di consigliarlo a chi cerca una lettura leggera ma insolita :D
 

Vesper

New member
Un libro che sa stupire, ecco come lo definirei.
Più che tre racconti brevi, a me il libro pare composto da tre lunghi capitoli intrecciati tra loro in modo inaspettato.

Concordo, verissimo. Fino alla fine dell'ultimo racconto ho creduto che le 3 storie non fossero in alcun modo collegate fra loro e che i nomi in comune (Quinn) fossero delle coincidenze o, piuttosto, delle autocitazioni da parte di Auster.
Invece sono rimasta assolutamente sorpresa e spiazzata dal finale e mi ha fatto apprezzare ancora di più i 3 racconti, che già mi erano piaciuti molto presi singolarmente.
Auster ha uno stile di scrittura sicuramente sopra la media e credo che sia piuttosto evidente già dalle prime righe. Di suo ho comprato anche Follie di Brooklyn che però devo ancora leggere (e penso lo farò a breve), mas mi ha colpito a tal punto che sicuramente vorrò leggere anche altri suoi libri.
 

elesupertramp

Active member
lo sto leggendo adesso e sono quasi a metà del primo racconto lungo, La città di vetro: non amo molto gli scrittori nordamericani, ma fin qui mi sta piacendo un sacco.
 

elena

aunt member
A me ha lasciato un pò di perplessità questa trilogia :?.....nel senso che la scrittura è stupenda, scorrevole e lineare.....anche le tematiche affrontate sono ben costruite, soprattutto il senso di solitudine e di alienazione tipico delle grandi metropoli, lo scambio (e quindi la perdità) di identità dei personaggi è ben congegnato ......solo che al termine di ogni racconto sono rimasta con un senso di vuoto, come se la storia non fosse realmente finita...... sensazione probabilmente dovuta al letterale dissolvimento dei protagonisti :??.
 

velmez

Active member
Io invece me l'aspettavo quella sensazione di vuoto... come se Auster, più che voler raccontare una storia, si fosse proposto di ribaltare le aspettative del lettore e dell'uomo in genere.
Compie introspezioni che inevitabilmente cadono nel paradosso... mi è sembrato una specie di limbo adolescenziale. Un vagare per il gusto di condraddirsi e di cercare nuove soluzioni, ma senza voler trovare una meta.
Mi è piaciuto più di tutti il terzo capitolo, in cui sembra che finalmente voglia lasciarsi alle spalle questo labirinto di paranoie.
E' una lettura piacevole ma non rilassante.
Credo sia qualcosa di molto autobiografico cmq... sarei curiosa di saperne di più sulla sua vita!
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Se provo a scrivere qualcosa pensando a questo libro, le parole nella mia mente perdono forma e diventano evanescenti come le storie e i personaggi di Auster. Ho chiuso il libro, e riletto alcune parti, con molta confusione in testa: quanta di questa confusione è frutto del fatto che molto può essermi sfuggito e quanto dell'intento dell'autore di esternare il suo disorientamento trasmettendolo in pieno al lettore? Senza dubbio un, o tre, romanzi geniali, nonostante concordi pienamente con chi sostiene che lasciano un senso di incompiutezza. Incompiutezza, però, credo, intrinseca nella natura di questi tre lunghi racconti "ai confini con la realtà". Senza incompiutezza, sarebbe un altro libro.
Sin dal principio del primo romanzo - il mio preferito, Città di vetro: non scorderò mai il monologo di Stillman giovane, l'ossessione di Stillman vecchio e le divagazioni di Quinn quando si apposta sotto l'appartamento, leggetelo e capirete, non voglio dire di più - l'atmosfera, e i fatti, si rivelano alquanto inquietanti e l'ansia accompagna il lettore fino alla fine del terzo libro, nonostante, a tal punto, si tiri un lieve (ma quanto realistico?) sospiro di sollievo. Il tutto, come già detto, è anche molto surreale. Ogni personaggio si specchia nell'altro, gli inseguitori diventano inseguiti e viceversa, e ciascuno dei protagonisti è, in parte, lo stesso Auster, confuso, raffinato, geniale. I tre romanzi si fondono e si confondono, o meglio confondono il lettore :mrgreen: con omonimie o altro :mrgreen: Il cerchio si chiude solo in alcuni punti, ma in maniera che comunque disorienta. Si legge con passione e non si dimentica.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
E' vero che si legge con passione, ma qualcosa la si dimentica (o almeno così è per me, anche se è passato solo un mese :mrgreen:).
Proverò lo stesso a buttare giù due righe su quello che mi è rimasto più impresso.
Innanzitutto la somiglianza con Zafon per l'aura di mistero e di gotico presente nei racconti.
In tutti e tre i racconti poi ho trovato interessanti riferimenti filosofici e religiosi che arricchiscono la narrazione.

La parte sul passeggiare all'inizio del primo racconto mi ha colpita perché succede anche a me la stessa cosa... cosa? Ora chiedete troppo, andate a rileggervelo da soli :wink:.
Però questa citazione ve la lascio: Noi non siamo dove siamo ma in una posizione falsa. A causa di una debolezza della nostra natura immaginiamo una situazione e ci collochiamo in essa, sicché ci troviamo a un tempo in due situazioni e uscirne è doppiamente difficile.

Nel secondo c'erano troppi colori e ho fatto un po' di confusione, anche il finale non era molto chiaro, poi mi sono consultata con un amico che adora questo libro e sono riuscita a capirci di più.

Il terzo è stato il mio preferito per la presenza del passato, ormai sapete quasi tutti che io sono una nostalgica...

Non ricordo più in quale dei tre ci sono le coincidenze del caso x il fondatore del ponte Brooklyn e il figlio morti entrambi a causa dell'acqua :paura:.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Mi sono dimenticata di scrivere che questo è il secondo libro che leggo di Auster, il primo è stato Nel paese delle ultime cose (1987) letto a fine 2014.
Le differenze che ho trovato tra i due riguardano il modo di narrare la storia e la capacità di coinvolgere maggiormente, infatti questo non è riuscito a farmi identificare fino in fondo con i protagonisti, di certo ho percepito la loro follia e il loro disagio ma non sono stata capace di empatizzare come avrei voluto, mentre per l'altro mi è riuscito più facile e mi sono sentita molto più coinvolta.
Comunque voglio proseguire nella conoscenza di questo autore.
 

Meri

Viôt di viodi
Alla fine sono dovuta tornare indietro perchè non mi aspettavo che i tre racconti fossero legati tra di loro. Il primo mi è sembrato con un finale in sospeso, il secondo con tutti quei colori l'ho trovato confuso e il finale poco chiaro. Il terzo è forse quello più nitido, ma non ho capito l'atteggiamento di Fanshawe.
Non leggerò altro di questo autore.
 

velvet

Well-known member
Tre romanzi che sembrano in prima battuta tre inchieste, storie di misteri e di detective, ma c'è un momento in cui si snaturano, mantenendo un comune denominatore. In ciascuna chi indaga ad un certo punto cambia la sua identità diventando qualcun altro, l'osservazione della vita altrui muta la vita e si confonde con la sua narrazione.
Nel complesso ho apprezzato molto queste storie anche se in qualche punto diventavano difficili da seguire. Anche i richiami da una storia ad un'altra danno l'impressione di aver perso qualcosa. In realtà anche questo fa parte del romanzo, la sensazione di caos della vita reale che si confonde con la sua narrazione.
E' il secondo libro che leggo di Auster e continuerò a leggerne altri perchè è indubbiamente un autore interessante e di talento.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Era da talmente tanto tempo che volevo leggere questo libro che davvero non sapevo bene cosa aspettarmi, tanto più che si trattava del mio primo Auster.
Dirò subito che non sono rimasta pienamente soddisfatta o, per meglio dire, non sono stata “conquistata”, come a volte mi succede, e questo è dovuto in parte alla natura del libro (non amo particolarmente i racconti), in parte alla scelta dell’autore di lasciare troppe porte aperte, troppi riferimenti irrisolti, troppi stimoli che rischiano di restare fini a se stessi.
Mi ero ripromessa, a lettura ultimata, di riflettere con più attenzione per cercare di cogliere quel “filo rosso” che attraversa la trilogia e che indubbiamente è di grandissimo interesse, perchè riguarda l’identità, le relazioni tra individui, la scoperta del significato della propria vita attraverso il rapporto con l’altro. Non so se ci sono riuscita, ma l’impressione che ho avuto è che, a differenza di alcuni romanzi letti recentemente in cui il tema dominante è l’incomunicabilità, Auster invece vuole far risaltare proprio il contrario: siamo soli fin quando non ci confrontiamo con l’altro, siamo ciechi verso noi stessi fin quando, “costretti” a posare il nostro sguardo su un altro individuo, ci ritroviamo specchiati in questo sguardo.
Ben due storie su tre hanno per protagonisti dei detective, professionisti o “improvvisati”, quasi a suggerirci che la scelta di uscire da noi stessi per concentrarci su qualcun altro non deve essere necessariamente spontanea, basta che avvenga.

In Città di vetro la situazione è paradossale perchè il protagonista, uno scrittore discretamente famoso, confuso con un altro personaggio di nome Paul Auster, si ritrova suo malgrado a indossare i panni dell’investigatore privato. Noi lettori ammicchiamo allo scherzo dell’autore che cita se stesso e assistiamo alla delusione del protagonista quando, ritrovandoselo in “carne ed ossa”, scopre che non si tratta di un investigatore, ma, appunto, di uno scrittore. Un altro tema di questo primo racconto, richiamato poi in quello successivo (ma i rimandi fra l’uno e l’altro sono voluti e numerosi) è il tema della parola, in particolare del linguaggio originale dell’innocenza, quando fra significato e significante non esisteva alcuna separazione: nel Paradiso terrestre l’essenza delle cose è il loro nome, i nomi rappresentano l’essenza delle cose.

In Fantasmi, forse il racconto che mi è piaciuto di più, il tema dell’identità sfocia in quello del doppio. L’uomo che spia si scopre spiato, l’uomo che pensava di avere in mano la propria vita si rende conto che non è libero di essere se stesso, almeno fino al momento in cui accetterà di confrontarsi col suo “doppio”.

E il doppio torna prepotentemente anche nell’ultimo racconto, quello che più di ogni altro (nonostante la brevità) assomiglia a una storia con un senso compiuto.
In La stanza chiusa, il protagonista prende addirittura il posto di un suo ex amico d’infanzia, al quale per gran parte della sua vita era talmente legato, da rendere difficile definire i limiti delle reciproche identità. Questo rapporto di ammirazione/invidia, identità/alterità, amore/odio non potrà che portare a conseguenze estreme.

Tutto molto interessante, ma il punto è: cosa vuole arrivare a dirci l’autore? Stimolanti i temi, divertenti i rimandi, accattivanti i giochi di parole e di senso... ma se tutto resta fine a se stesso non basta. I finali devo dire che li ho trovati abbastanza deludenti: non è facile “chiudere” delle storie dopo aver messo tanta carne e al fuoco e, appunto, li ho trovati troppo irrisolti.
Comunque penso che in qualche modo Auster abbia voluto farci riflettere su questo: in un’epoca frenetica e distratta come la nostra, non abbiamo tempo per concentrarci davvero su noi stessi e perciò perdiamo la coscienza di ciò che siamo realmente. Da qui il “distacco” fra ruolo pubblico e individuo, fra “nome” e “identità”. Penso che il sogno di uno dei personaggi di Città di vetro di riscoprire il linguaggio puro del Paradiso perduto indichi proprio questo: colmare quel vuoto che si è andato a creare fra noi stessi e ciò che significhiamo.
Apro una piccolissima parentesi per citare un altro bellissimo tema collegato a questo senso del distacco e della perdita ed è il tema del “vagare”, del “camminare senza una meta”. Ma non in un posto qualsiasi... a New York, alla quale l’intero libro è dedicato: “New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sè. (...) New York era il nessun luogo che si era costruito attorno, ed era sicuro di non volerlo lasciare mai più.”
In ogni caso, sembra che l’autore voglia suggerirci che, se vogliamo ritrovare noi stessi, l’unica strada possibile sia mettersi nei panni dell’altro. Il senso di un uomo non si fonda sull’individualità, bensì sulla reciprocità.
Se si tratta solo di una suggestione letteraria sinceramente non saprei dirlo: dovrei leggere altro di questo autore per poter iniziare a capire la sua poetica, cosa che sicuramente farò. Perchè è indubbio che questo messaggio, anche se solo abbozzato, mi ha colpito e affascinato.
 
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MonicaSo

Well-known member
Sono passati tre mesi da quando ho finito la lettura con il gruppo ma non riuscivo proprio a decidermi a mettere per iscritto qualche riflessione.
La lettura di questi tre racconti non è stata semplice, mi è piaciuto il modo di scrivere di Auster anche se ci ho messo un po' a entrare nelle storie e ho trovato tutto troppo bizzarro, inoltre la scrittura piena di tante digressioni che mi hanno un po' confusa...
Non so se mi avvicinerò ancora a questo autore, mi rimangono alcune citazioni che avevo sottolineato sul Kobo.

"Le storie capitano solo a chi le sa raccontare".
 
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