Hill, Joe - Ghosts

fabiog

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Joe Hill è considerato dalla critica americana tra gli autori emergenti dell'horror. In questo libro sono raccolti 15 suoi racconti e devo dire che nessuno dei 15 delude.
Hill passa abilmente da racconti soprannaturali come " Un fantasma del Ventesimo Secolo" o " La maschera di mio padre " a racconti di orrore quotidiano, passando anche attraverso racconti di genere più intimo.
Hill non riccore mai a descrizioni splatter , il genere di tensione che Hill crea è piuttosto sottile, emerge poco a poco ,pagina dopo pagina esplodendo poi nel finale.
 

Bobbi

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Cominciamo dai doveri banali. Joe Hill è il degno figlio di Stephen King, e c’è da ringraziare il DNA che, graziosamente, ha deciso di replicarsi con quel quid in più nel secondogenito della famiglia King. A mio parere, pur essendoci delle notevoli ed evidenti differenze di stile, l’impronta paterna si sente tutta e qualcosa di più: accidenti, cita anche le stesse opere letterarie citate dal padre in più occasioni (per la serie: il background cultural-familiare quello è e quello rimane): La maschera della morte rossa, Il signore delle Mosche, in modo esplicito, e poi naturalmente anche l’onnipresente Dracula e anche alcune perle del cinema horror, come i film di Romero e Non aprite quella porta. Che diamine, persino la nota dedicatoria a Leanora ha un sapore da famiglia King. Ha la stessa tendenza paterna a scivolare nel romanticismo, a chiudere le frasi con sentenze dal sapore stoico, a descrivere i moti dell’animo e le pieghe della personalità. E’ meno dettagliato e minuzioso nelle descrizioni, le sue frasi sono più brevi, la prosa più spezzata, e certamente non è prolisso. Immagino che tutti i noiosi lamentosi Fedeli Lettori che deplorano l’elefantiasi letteraria nel padre abbiano salutato questo scarto come una miglioria generazionale ^^
Mi sono accorta di avere qualcosa di grosso per le mani appena ho cominciato, leggendo il primo racconto, a sentirmi inquieta quando sentivo un rumore inaspettato. Oggi, mentre leggevo La maschera di mio padre, nella sala d’aspetto del dottore, riuscivo ad essere tesa anche se erano le una del pomeriggio e il sole splendeva in maniera quasi oscena. Difficile trovare un solo racconto che non mi sia piaciuto. Forse il mio preferito è stato appunto La maschera di mio padre, probabilmente per il suo contenuto sottilmente perverso, e per il turbamento che mi ha provocato il finale.
Personalmente, mi risento molto quando qualcuno parla di originalità, sottintendendo che sarebbe sinonimo di qualità. Ma quando mai? A mio parere tutto quel che c’è di bello nella letteratura ruota intorno agli stessi temi, alle stesse figure, agli stessi concetti. Semmai, letteratura riuscita è quella che riutilizza il già esistente in modo non banale, ma c’è una grandissima differenza. Ho sempre ammirato, in King, la capacità di rielaborare a suo modo temi fissi e già ampiamente saccheggiati (i vampiri, i fantasmi, e i bambini che si perdono nei boschi, nonché “le macchine contro l’uomo”). Se vogliamo, in questa raccolta i debiti nei confronti del precedente sono ancora più stretti ed evidenti (insomma, non ci vuole un teorico della letteratura per trovare Kafka, Poe e Stoker e tutti gli altri), e, pertanto, il merito di Joe Hill sale di parecchio proprio per essere riuscito a confezionare delle vere e proprie perle partendo da stereotipi letterari e cinematografici. Tale risultato è ottenuto, ad esempio, per ribaltamento (Il canto della locusta) o per “cambiamento di prospettiva” (I ragazzi Van Helsing), etc.
Un discorso a parte meritano racconti come Pop Art e Bobby Conroy ritorna dal mondo dei morti: due racconti bellissimi e spiazzanti per la loro delicatezza e l’intima e silenziosa grandezza; raramente ho letto qualcosa di simile. Pop Art, in particolare, è forse il capolavoro della raccolta con quel suo mescolamento nello stesso tempo raffinato e violento di surrealismo (OT: secondo me si dovrebbe dire surrealtà…) e dolcezza.
Sono stupita io stessa, ma non ho visto una sola nota di demerito in uno solo di questi racconti.
Adesso non mi resta che sperare che la promessa sia mantenuta dalle prossime opere del giovane Hill: nel frattempo prenderò in mano La scatola a forma di cuore, cercando un disegno generale, un filo rosso nella sua produzione che spero – forse – di non trovare mai.
 

Bobbi

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Ti ringrazio :D anche se io a volte mi vedo solo come una che sa ben oggettivare le proprie ossessioni :mrgreen:
 
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