attenzione, possibili spoiler!
Si può restare toccati da un libro anche senza bisogno necessariamente di identificarsi o di immedesimarsi nel protagonista, o nella mente (contorta, su questo non c'è dubbio) del suo creatore. Se poi il libro in questione è La pianista di Elfriede Jelinek, per quanto "fuori dagli schemi" si possa essere, direi che è quasi impossibile: Erika Kohut, così come sua madre, con la quale forma un tutt'uno che è impossibile scindere, è un personaggio "estremo", così come estremo, eccessivo, osceno è questo romanzo. Per certi versi mi ricorda Roth ne Il teatro di Sabbath: solo un grande scrittore riesce a trasformare l'eccesso in un'opera d'arte e, se non consentiamo all'arte di trascendere la realtà, di prenderne il meglio e il peggio per dare vita a un capolavoro, chi altro potrebbe farlo?
Ma, tornando a Roth, a differenza de Il teatro di Sabbath, tutto centrato sulla "libidine" del protagonista, qui, a ben vedere, di spazio - non solo per la passione, ma anche per la sola "lussuria" - ce n'è molto poco... ed è questo ad avermi sorpreso e insieme conquistato. Diciamoci la verità, chiunque alle prese con la vicenda di una donna sessualmente repressa che si dà al voyerismo e al sadomasochismo, si aspetterebbe l'altra faccia della medaglia: il piacere della perversione che evidentemente deve provare, che la spinge e a suo modo la "giustifica". Invece no: di tutto questo non c'è traccia in questo romanzo, e questo fa sì che il tutto sia ancora più duro, più indigesto, più graffiante. “Erika non dà e non prende”. Direi persino che qui si parla di tutto fuorché di sesso, il che può sembrare un paradosso. Me ne sono accorta in modo palese in uno dei passaggi chiavi del romanzo, ovvero quello in cui Klemmer legge sconvolto la lettera che Erika gli ha scritto.
Cosa significa questa lettera per lei? è una richiesta d'aiuto? è il disvelamento di un'ossessione a lungo covata, è il perverso desiderio di essere sottomessa, dopo che lei stessa, per tutta la vita, si è sottomessa a sua madre e insieme hanno sottomesso il mondo? è un modo per annullare la propria volontà, o piuttosto per imporla per l'ennesima volta, incapace com'è di interpretare la vita se non come una guerra di potere, un dispiegamento di forze che porterà necessariamente alla capitolazione di qualcuno? La complessità, la problematicità che si nascondono in questa rivelazione che la donna fa di se stessa e della sua natura, è talmente profonda da non poter essere banalmente ridotta a una deviazione sessuale... Di questo in un certo senso me ne ero accorta fin dall'inizio, e la consapevolezza è andata crescendo pagina dopo pagina. Tutto nella vita di Erika sembra averla condotta a quella lettera: il rifiuto del mondo, alla cui mediocrità lei e la madre non si sono mai volute conformare, il rifiuto di se stessa, del proprio intrinseco valore - che non è dato da un illusorio senso di supremazia sugli altri, alimentato per tanto tempo dai sogni di gloria di sua madre - e quindi della propria naturale e sana femminilità. La conseguenza è dolorosa e inevitabile: Erika crede che sarà di nuovo se stessa sentendosi "oggetto" nelle mani di qualcuno.
Schiava e padrona, vittima e carnefice di se stessa: senza troppe "spiegazioni psicologiche", viene espresso chiaramente il concetto di sado-masochismo, quella forma di perversione per cui si cerca allo stesso tempo di dominare e di essere dominati. Di dominare sentendosi dominati. A questo proposito, il rapporto con la madre è emblematico: ci rinuncio a priori perché non ne verrei più fuori, tanto ci sarebbe da dire... ma questo è uno dei passaggi che mi ha colpito di più: “I suoi atti di obbedienza, ormai una semplice routine, necessitano di un crescendo! E una madre non può bastare”...
Erika non è una vittima in senso tradizionale, e la Jelinek non vuole farcela passare per tale, neanche quando, alla fine, la sua “fantasia” verrà coronata e si rivelerà tutta diversa da quello che aveva immaginato... forse perchè non era questo che voleva davvero? forse perchè il suo era davvero solo il disperato appello di una donna che vuole essere amata? Difficile dirlo, e non credo che alla fine sia tanto importante arrivare a capire le ragioni (o le colpe) della tragedia che si dispiega sotto i nostri occhi.
In questo senso la scrittrice è davvero superba e non salva nessuno: non la giovane Erika (era LEI, quindi? a questo punto direi proprio di sì), nè quello che è diventata da adulta, non il "libero" e cinico Klemmer, nè tanto meno la dispotica madre... Neppure il "mondo" - questa massa informe e volgare che tanto spaventa le due donne - si salva da questa condanna senza appello e senza misericordia. La Jelinek, non a caso premio Nobel, è maestra non solo nel dosare ironia e tragedia, nel reggere un romanzo intero senza concedersi una sola volta un semplice (e liberatorio) “dialogo diretto”, ma soprattutto nel riportarci questi stralci impietosi di mondo: la mamma che perde la pazienza e molla una sberla al figlio, il turco che non è nessuno persino quando va a puttane, gli amanti che bisticciano perché "i due sessi vogliono sempre qualcosa di fondamentalmente diverso"...
Un libro forte, a tratti molto pesante (lo devo ammettere) ma che è capace di dimostrare che un argomento che potrebbe eccitare la fantasia per la sua componente di scandalo, è in realtà una porta spalancata su un mondo che può fare paura.