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Se ne è andato, ma io continuo a stirare la sua camicia…
Troppo poveri, troppi litigi, i soldi che mancano continuamente, il bimbo morto nella mia pancia arida.
Se ne è andato. Non tornerà; ha preso una valigia piccola, piccola, ha detto: vado, in America, ti manderò soldi, ti scriverò, mi raggiungerai.
Ma i suoi occhi sfuggivano e io so che se ne andava da me, da questa nostra unica sola stanza, con i muri scrostati e umidi, la brocca con l’acqua che la notte gela.
Così stiro, per tutti, per chi mi paga o anche solo chi mi dà due ciocchi di legna, salgo le scale di case ricche, calde, luminose con il mio cesto carico di biancheria stirata, biancheria da stirare, su e giù e quando ho finito, quando la stanchezza mi piega le gambe, quando ormai è troppo buio che nemmeno vedrei le grinze di niente, prendo questa sua unica camicia e stiro anche quella, a memoria, quasi a tentoni, nel silenzio di questa stanza. Ed è come se ripercorressi il suo corpo, nei tempi in cui ci amavamo e non ci spaventava niente, accarezzassi il suo petto muscolo, che mi dava sicurezza. Ed è come se ogni volta gli ridicessi addio; il ferro pesa nella mano, le lacrime scendono dagli occhi e gli dico quello che non ho saputo dirgli quando è partito: vengo con te.
Non ho saputo dirglielo perché so che non mi avrebbe voluto.
Mi aggrappo al ferro ormai freddo, alla camicia ormai lisa, chiudo gli occhi e aspetto, nemmeno so io cosa, perché lui non tornerà mai.
Francesca