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Il libro, ambientato al tempo del principato augusteo, narra di un viaggio compiuto in Etruria da Mecenate, Virgilio e il suo schiavo greco Timodemo. I tre, accompagnati da due etere greche, le sorelle Tecmessa e Ninfa, sono mossi dall'intento di svelare il mistero delle origini di Roma e il valore della scrittura presso i Rasna, interrogandosi sul perché una civiltà così evoluta, che conosceva e padroneggiava la scrittura, non abbia lasciato alcuna traccia di sé in opere scritte.
In generale penso che questo sia un libro valido, abbastanza ben strutturato.Lo stile risulta nel complesso scorrevole, benchè spesso tenda quasi ad essere eccessivamente lineare e monoto;le vicende comunque si susseguono con scioltezza, coinvolegendo il lettore. L'unica parte che mia ha lasciata alquanto perplessa è quella finale: la narrazione diventa decisamente meno chiara, quasi confusionaria, e le vicende appaiono spesso inverosimili.
Un libro infinitamente noioso. La trama è esilissima, il messaggio quasi inesistente, i personaggi appena abbozzati. Non c'è nulla che tanga legato il lettore, se non la scelta di voler arrivare fino in fondo a tutti i costi. Ho individuato anche errori storici banalotti: uno dei personaggi ad un certo punto afferma che il numero tredici porta sfortuna, peccato che questa superstizione nasca con il cristianesimo (durante l'Ultima Cena i commensali erano tredici, appunto) e la vicenda narrata si svolga in epoca precristiana.
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