Trovo difficilissimo fare la recensione di questo libro. É come cercare di recensire la propria vita... come si fa? Eppure la tentazione è fortissima: (ci) si osserva, cercando di essere il più oggettivi possibili e inevitabilmente (ci) si chiede “dov’è l’errore? Si poteva evitare di arrivare fino a questo punto? E se sì, come?”
É incredibile come l’autore sia riuscito nell’impresa di rappresentare non solo la vita di cinque individui, bensì anche (e soprattutto) le relazioni esistenti fra di loro, l’uno diverso dall’altro benchè tutti membri della stessa famiglia. Una famiglia comune, non colpita da episodi eclatanti che possano averla in qualche modo rovinata o deviata (leggendo questo libro ho fato un inevitabile confronto con la storia familiare dello Svedese, raccontata da Roth in Pastorale americana ), eppure alle prese con il dramma più grande che possa colpire una famiglia o un singolo individuo: la difficoltà ad accettare la realtà, coi suoi limiti, con le sue imperfezioni, coi suoi fallimenti...
Leggere questo libro fa male... fa davvero male... o almeno a me ha fatto questo effetto, perchè sembra che niente vada (o meglio niente vada come ci si aspettava), eppure non c’è niente che non vada davvero. La malattia di Alfred è forse è l’unico vero “male incurabile”, qualcosa contro cui non si può combattere, qualcosa che nemmeno la testarda, illusa, a volte insensibile Enid può “correggere”.
Per come l'ho interpretata io, la drammatica analisi di questa famiglia – paradigma di tutte le famiglie – sancisce il fallimento del suo (nostro) irriducibile bisogno di “correggere” ogni cosa... ma, nonostante questa mia interpretazione abbastanza negativa, pure credo che il messaggio finale sia di speranza: forse non riusciremo mai a realizzare la vita che avevamo sognato o programmato (paradossalmente Gary, il figlio in apparenza più realizzato, è in realtà il più “fallito” di tutti, quello che ha accettato di sopravvivere a una vita infelice pur di non perdere le proprie fragili certezze), soprattutto non ci riusciremo a forza di “correzioni” imposte ad altri o a noi stessi, ma è la vita stessa che alla fine ci corregge, che ci offre sempre un’altra chance, che – insondabile eppure infallibile – guarisce le nostre ferite e rinnova la nostra voglia di vivere...
E poi c'è la dinamica più strettamente famigliare... Dopo aver condiviso uno stralcio di vita con ognuno dei cinque personaggi, nell'ultimo, straziante capitolo, le relazioni fra l’uno e l’altro vengono rappresentate in tutta la loro pienezza, portando alla luce le difficoltà che sono comuni a tutte le famiglie: vedersi e comprendersi per come si è davvero, gli inevitabili “schieramenti”, i conflitti irrisolti... Mi è risultato spontaneo chiedermi di volta in volta, soprattutto nel rapporto genitori/figli, “chi ha sbagliato con chi?”... eppure l’inghippo è proprio questo: credere che tutto possa essere stabilito a priori, che non sbagliando niente si possa produrre “la famiglia perfetta”. Ma le famiglie perfette, così come le vite perfette, non esistono.
Mentre leggevo, mi rimbombava in testa una frase che ho formulato anni fa, quando ero solo “figlia”, e che adesso sperimento come “mamma”: i genitori sbagliano sempre, e non sbagliano mai. Perchè il ruolo della famiglia nella formazione di una persona è talmente profondo, e pregnante, ma allo stesso tempo sono talmente diverse e imprevedibili le esperienze che questa persona si troverà ad affrontare nella propria vita, e talmente diverse le maniere che ha ognuno di noi di reagire a uno stesso evento, che cercare le colpe, sforzarsi di individuare le connessioni, scavare troppo dentro se stessi alla ricerca di un “perchè” alla fine (secondo me) non ha più senso... A volte si crede che ai genitori spetti il compito di fare tutto in modo perfetto, di preparare la strada a un futuro di sicuro successo per il proprio figlio. Lo credono i figli (spesso per rinfacciare questo mancato successo) e lo credono i genitori stessi, creandosi delle aspettative che chiaramente non potranno mai essere soddisfatte. Il senso di amarezza trasmesso da questo libro è l’amarezza di chi si accorge che questa equivalenza è un’illusione, che non esistono ricette o, meglio ancora, che le ricette non sono necessarie.
La verità è che, se c'è amore (l'amore umano, pieno di errori), tutto alla fine “riesce”, tutto trova la propria strada, anche se dolorosa. Credo che alla fine sia questo il messaggio di speranza che ci viene offerto.