Piccolissima premessa: avevo iniziato questo libro e poi messo da parte non perchè non mi piacesse (anzi), ma perchè mi ero resa conto che richiedeva un’attenzione che in quel momento evidentemente non ero in grado di offrire. Nel frattempo mi è capitato di leggere altre due opere di questo autore, di cui una sola mi ha convinto. Eppure... eppure sentivo che quanto Amos Oz aveva da darmi era racchiuso tutto in questo titolo quasi epico: Una storia di amore e di tenebra.
Avevo letto che alcuni autori nascono per scrivere una sola grande opera... Non che le altre non siano valide, ma è come se tutto il resto fosse funzionale e complementare al messaggio trasmesso nel capolavoro per il quale hanno dedicato la vita. Questo è sicuramente il caso di Amos Oz e il romanzo di cui stiamo parlando. Ancora di più in quanto Una storia di amore e di tenebra è letteralmente, o piuttosto letterariamente, la sua vita, la sua storia. E la storia della sua famiglia, a partire dai suoi avi; la storia del grande ritorno del popolo ebraico dall’Europa sempre più antisemita alla Terra Promessa; la storia delle paure, speranze, ambizioni, delusioni di chi si è lasciato tutto alle spalle per inseguire un sogno confuso, spesso astratto; la storia della nascita dello stato di Israele; la storia della consapevolezza di Amos nei confronti di tutti questi eventi, pubblici e privati; la storia del suo dramma personale.
È difficile commentare questo romanzo straordinario, denso, ricchissimo, scendendo nei dettagli... Per quanto non sempre sia di facile lettura (proprio per questo continuo e voluto mescolarsi, ripetersi, intrecciarsi, accennare per poi riprendere e poi riprendere ancora, ogni volta a un livello più profondo...) si sente che, nella molteplicità di tutti questi aspetti e temi, vi sono coerenza, unitarietà e una ragione d’essere profonda. E questa è la ricerca, da parte dello scrittore, della propria identità di individuo prima e di cittadino israeliano poi, in un momento storico in cui questi due "livelli" si sovrappongono per la prima volta, generando non pochi conflitti, non solo bellici ma anche interiori. E generazionali. Riporto un brano che mi ha colpito molto:
“Si materializzava dunque, per via miracolosa, quell’aspirazione (sapientemente rimossa) comune all’ethos sionista e al bambini che ero: che morissero (riferito a tutti gli adulti). Perchè erano così diasporici. Soffocanti. Perchè loro erano la generazione del deserto. Sempre pieni di pretese e di lezioni da impartire, mai che ti lasciassero respirare. Solo quando saranno morti, noi potremo finalmente dimostrare loro come, senza di loro, possiamo fare tutto quello che vogliamo: tutto quello che loro vogliono che noi facciamo, esattamente tutto quello che si aspettano da noi, tutto realizzeremo al meglio (...) ma senza di loro: perchè il nuovo popolo ebraico deve necessariamente staccarsi da loro.”
Un punto di vista previlegiato dunque (il nostro!), che ci permette di cogliere il dramma nel dramma e cioè la responsabilità, da parte dei coetanei di Oz ovvero la prima generazione nata in terra di Israele, di realizzare un’aspirazione millenaria all’interno di un contesto politico estremamente ostico e precario.
Aggiungo solo qualche altro elemento che mi ha affascinato in questo libro, anche se, ripeto, sono tutti talmente intrecciati che è quasi un delitto cercare di isolarli. Innanzitutto, la capacità dell’autore di raccontare episodi della propria infanzia in modo talmente accattivante e vivace da offrire a ognuno di essi (se si provasse a farlo) la dignità di un racconto a sè stante... Due fra tutti: l’arrivo di nonna Shlomit a Gerusalemme e la sua battaglia contro i microbi che l’ha portata alla morte, e il tentativo (fallito) di realizzare un orto nel giardino di casa da parte del piccolo Amos e del suo papà. Allo stesso modo, straordinaria è la capacità dello scrittore di tratteggiare il carattere dei suoi avi, tale da renderli non solo estremamente pittoreschi, ma quasi degli “eroi” (anche qui due fra tutti: nonno Alexander e “pape”).
Infine (ma sono io costringermi a smettere), l’occasione straordinaria che ci è offerta di approfondire un pezzo di Storia troppo noto e per questo forse troppo poco conosciuto, soprattutto dal punto di vista sociale e culturale; penso soprattutto a personaggi di elevatissimo valore intellettuale e artistico, tutti vicini alla famiglia Klausner se non membri della stessa: fra i primi, il premio Nobel Agnon e la poetessa Zelda Schneerson, fra i secondi, naturalmente, lo zio Joseph, ma anche il padre stesso di Amos, uomo di profonda erudizione. La galleria di personaggi è infinita e straordinariamente variopinta, tanto più che (l’ho scoperto in questa occasione) proprio nel momento storico descritto da Oz, a ridosso della costituzione dello stato di Israele, vi erano “più professori che allievi” e il livello di istruzione e cultura era talmente alto da determinare una vera e propria svalutazione...
Insomma... non credo ci sia altro da aggiungere, un romanzo assolutamente da leggere.