Tolstoj, Lev - La confessione

fabiog

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L'opera fu composta tra il 1879 e il 1882 e rappresenta un punto di svolta nella vita, non solo artistica, dello scrittore. In questo piccolo libro Tolstoj descrive il suo interiore cambiamento, la sua improvvisa conversione, il suo ritorno alla religione cristiana dopo l'abandono in giovane età.
Sicuramente i libro è interessante soprattutto dal punto di vista biografico, è scritto in maniera semplice e con un processo logico interessante da seguire, il problema è che l'ho trovato troppo artificiale, troppo ben costruito e, in certi punti, troppo scontato per poterla considerare una vera e propria " confessione " così interiore come Tolstoj lascia credere fin dall'inizio.
La sensazione, pagina dopo pagina, è quella di ricevere una lezioncina morale da chi comunque crede di essere superiore nonostante quello che sostiene all'inizio
 
Premesso che, dal punto di vista artistico, una cosa è il Tolstoj romanziere (immenso) e l’altra il saggista (un po’ meno), questo libro è, per chi ama lo scrittore russo, assolutamente da leggere per capire il salto che c’è stato tra i romanzi pre-conversione (da Guerra e Pace a Anna Karenina) a quelli successivi (Sonata a Kreuzer e, soprattutto, Resurrezione). Questo libro non è un diario ma un tentativo di spiegare cosa è successo all’autore alla soglia dei 50 anni. Quest’uomo, ricco, famoso, con una bella e grande famiglia, entra in una profonda depressione. Da grande artista quale è, Tolstoj esprime in modo bellissimo e incredibilmente moderno ciò che lui sentiva come l’assurdo della vita. Un modo che riecheggia l’esistenzialismo ateo del XX secolo. La sensazione è che quest’uomo, finita la fase “espansiva” della vita e arrivato alla soglia della vecchiaia, si sia confrontato con la paura della morte e del nulla e che questa sia stata la molla per la ricerca del senso della vita, che lui ha trovato in Dio. Ma questa sua scoperta, o meglio ri-scoperta, è stata del tutto originale e, per molti aspetti moderna. Si mischia una religiosa decisamente moderna (la fede come ricerca e non come un dato immutabile) con l’accettazione che la “verità” è portata dal popolo, anche con le sue tradizioni, e non con la sua classe aristocratica corrotta.
Un libro da leggere,sia per i credenti che non. L’unica pecca è forse il prevalere, nella maggior parte del libro, dell’aspetto etico, cosa che, guarda caso, contrassegnerà Tolstoj per il resto della vita. Anche in senso positivo: alcuni suoi libri, per esempio il Regno di Dio è dentro di voi, ha condizionato, e condiziona, positivamente migliaia di persone, ad iniziare da Gandhi
 

pitchblack

New member
Io ho trovato questo libro sostanzialmente insoddisfacente per il lettore contemporaneo. Confermo che lo stile è cristallino, procede in maniera eminentemente logica, tenta di spiegare il bisogno dell'autore di approcciarsi all'assoluto in maniera nuova. Tolstoj identifica nel popolo alcuni valori che permettono un accesso più autentico al divino: l'umiltà, la laboriosità, la benevolenza. Il problema è che si tratta di valori in cui il popolo, inteso come quel qualcosa che si differenzia dalle classi colte e benestanti, non si riconosce più. Bensì i valori che dettano oggi legge sono ben altri: l'opulenza, il consumismo, l'immediatezza, la protervia, il narcisismo. Per cui ho faticato a scorgere la modernità di Tolstoj da questo punto di vista. La conseguenza è che il libro mi ha lasciato poco. Lo consiglio solamente a chi avesse un interesse biografico per questo autore.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Quest'opera autobiografica a sfondo religioso/filosofico fu pubblicata in Russia nel 1882 ma fu subito sequestrata, e quindi ripubblicata due anni dopo in Svizzera.
Mi ha colpito parecchio perché sono tante le parti che rispecchiano anche il mio punto di vista, di certo non sarei mai stata così capace di esprimerle alla perfezione quindi mi limiterò a riportarle per farvi rendere conto di cosa tratta e quale era il pensiero dell'autore.
L'argomento è molto delicato perché comprende l'aspetto religioso e filosofico sul senso della vita, ma è sempre affascinante per me leggere di questi argomenti, anche se a volte preferirei non rifletterci troppo su ed essere ignorante, invece mi ritrovo a barcamenarmi tra l'epicureismo e la debolezza.*

- La mia vita è un certo qual stupido e malvagio scherzo giocatomi da qualcuno. Per quanto io non riconoscessi nessun "qualcuno" che mi avesse creato, questa forma di rappresentazione: che qualcuno si fosse preso gioco di me in modo stupido e malvagio, mettendomi al mondo, costituiva la forma di rappresentazione per me più naturale. Involontariamente mi immaginavo che laggiù, da qualche parte, ci fosse qualcuno che ora si fregava le mani vedendo come io, che avevo vissuto per 30-40 anni, che avevo vissuto studiando, sviluppandomi, crescendo nel corpo e nello spirito, adesso, dopo aver consolidato il mio intelletto, giunto a quel culmine della vita da cui essa tutta si discopre, ecco, me ne stavo lì come un imbecille rimbecillito, comprendendo chiaramente che nella vita non c'è, non c'è stato e non ci sarà niente.

- *Trovai che per gli uomini della mia cerchia vi sono quattro vie d'uscita dalla terribile situazione in cui tutti ci troviamo.
La prima via è quella dell'ignoranza. Essa consiste in ciò, nel non sapere, nel non comprendere che la vita è male e non-senso.
La seconda via è quella dell'epicureismo. Essa consiste in ciò: pur conoscendo la situazione disperata della vita, nel profittare per il momento dei beni che ci sono, nel non guardare né il drago né i topi, ma nel leccare il miele nel miglior modo possibile.
La terza via è quella della forza e dell'energia. Essa consiste in ciò, nel distruggere la vita, dopo aver compreso che la vita è un male e un non-senso.
La quarta via è quella della debolezza. Essa consiste in ciò, nel continuare a trascinare la vita, pur comprendendone il male e l'insensatezza, e sapendo in anticipo che non ne può risultare nulla.


- Nessuno impedisce a me e a Schopenhauer di negare la vita. Ma allora ucciditi e non ragionerai più. La vita non ti piace? Ucciditi. E se vivi senza riuscire a capire qual è il senso della vita, ebbene allora falla finita e non tirarla in lungo, seguitando a raccontare e a scrivere che non la capisci. Sei capitato in mezzo a un'allegra compagnia, tutti si trovano bene, sanno quel che fanno e tu invece ti annoi e trovi tutto ripugnante, e allora vattene. Ma in effetti noi, che siamo convinti della necessità del suicidio, ma che non ci decidiamo a compierlo, che cosa siamo, se non gli uomini più deboli, incoerenti e, per dirla semplicemente, i più stupidi, che si beano della propria stupidità, come il tonto si bea di un paniere variopinto?
 
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Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
essere realisti ci rende la vita più facile
No, essere realisti permette di capire i problemi, magari di affrontarli e addirittura di risolverli.
E in tutto ciò, di facile, non c'è nulla.
Anzi, è tutta una salita così.

Se invece vuoi una vita facile, allora devi accettare di illuderti, che è l'esatto contrario di essere realista.

Saluti
 

MadLuke

New member
I medesimi travagli del mio animo

Ho trovato questa breve opera eccezionale fin dalla prima pagina. La vita stessa dell'autore pure mi è parsa, con le dovute proporzioni, identica alla mia. Agli anni della gioventù scanzonata, gli eccessi della vita dissoluta della città, la società che non pare fare altro che incoraggiare tale dissolutezza, incitando alla corruzione di quanto possa resistere bello e puro, in un circolo vizioso di scellerata soddisfazione di qualunque bramosia, compimento di brutture e autoassoluzione affinché tutto possa essere considerato inevitabile, normale.
Poi la crisi esistenziale e la domanda insopprimibile sul senso della vita, alla quale l'autore ovviamente non è in grado di rispondere. La convinzione da cui parte, in cui io ravviso l'insegnamento anche di Agostino, che è anche mio personalissimo convincimento che la scelta sia solo tra un insolubile scetticismo e l'adesione a una verità che può essere solo fideistica, trovo sia espressa in maniera straordinariamente chiara e lucida, e proprio per questo "commovente", perché mette in luce tutti i limiti della natura umana, dello smarrimento, i drammi e le debolezze che ne derivano. Perché Lev Tolstoj mi si è reso compagno di cammino.
Nella parte finale del saggio, che appare palesemente come una postfazione del suo romanzo "Anna Karenina", di cui si comprende perciò appieno la natura autobiografica, pare Tolstoj rinneghi la dichiarazione d'intenti che aveva accompagnato i prime tre quarti della "confessione".
L'insondabilità del mistero della vita viene per così dire "risolta" semplicemente facendolo confluire nel mistero ancora più grande che è quello dell'universo intero. Lo scopo della vita, precedentemente dichiarato inconoscibile e per cui lui confessa aver spesso pericolosamente pensato al suicidio, è derogato a uno scopo ancor più insondabile che è quello dell'universo. E nella gente semplice, il popolo, proprio come individuato dal personaggio di Levin nell'altro romanzo, prende a riconoscere l'unico vero maestro, perché l'unica risposta possibile alla sua domanda sul senso della vita, si riassume in un gesto, o nei gesti, che individualmente e collettivamente contribuiscono all'armonia del creato. Ma in questo mi è parsa lampante la contraddizione dell'autore, in quanto una risposta simile non può che essere riconosciuta tale come verità di fede, che era proprio quanto egli si era inizialmente ripromesso di non accettare.
Le ultime brevi considerazioni sulle differenze liturgiche tra le varie chiese cristiane e quelle teologiche, trovo invece non aggiungano nulla al valore dell'opera, tanto più che sono riportate in maniera molto generica, ancorché evidentemente accorata.

In sintesi trovo quest'opera sia straordinaria per il nodo che affronta e la lucidità con cui l'autore conduce il lettore nella sua analisi, o meglio ricerca della verità. Ho trovato invece insufficienti le sue considerazioni finali, che per natura della domanda stessa non potevano che essere tali per chiunque. Tuttavia credo avrei credo apprezzato maggiormente un'onesta resa di fronte al suddetto nodo gordiano, piuttosto che accontentarsi di una verità per sua stessa ammissione, non completamente soddisfacente.
 
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