VII esercizio di Dacia: la favola

francesca

Well-known member
Scusate, mi sono un attimo distratta.
L'ossessione del concorso sull'ossessione e i relativi strascichi mi hanno un attimo fatto dimenticare di gli esercizi.
Ho visto che la filastrocca non ha riscosso molto successo.
Comunque propongo di andare avanti, magari ci sono degli esercizi che ci ispirano di più.
Il prossimo è sempre in tema d'infanzia, ed è:

- cercate di ricordare una favola e riscrivetela con parole vostre.

Su, prima che inizi ufficialmente il prossimo concorso, buttiamoci in questo, come "esercizio", appunto.

Francesca
 

Shoofly

Señora Memebr
La favola dei maghetti

Questa era una delle mie storie preferite, tutte le sere costringevo la nonna a raccontarmela con l’aggiunta di particolari sempre più truculenti.
Ebbene, c’era una volta in un paese lontano, quanto lontano non s’è mai saputo ma a noi piccoli affamati di meraviglie questo dettaglio interessava sempre assai poco… dicevo, in quel paese lontano viveva un bambino, anzi “il” bambino delle fiabe per antonomasia: Pollicino. Era un tipo piccolo come un pollice (da qui il suo nome curioso) ma audace e scaltro, ultimo nato di una famiglia poverissima.
Un giorno, mentre andava per boschi in cerca di castagne da portare a casa per la misera cena, si smarrì.
Cammina cammina, la strada di casa si era fatta sempre più lontana. Il buio aveva avvolto la foresta tanto che ogni tentativo di orientamento era diventato impossibile… e via con l’orrido elenco di tutti i pericoli che si nascondevano tra i cespugli di notte: belve assetate di sangue, fantasmi in cerca di vittime da spaventare a morte, trabocchetti lasciati dai cacciatori nei quali si poteva cadere per poi essere prontamente maciullati da un’enorme tagliola a denti di sega (ovviamente arrugginiti).
Pollicino stava per perdere ogni speranza di rivedere i poveri genitori e i fratellini quando, a un tratto, in lontananza avvistò un lumicino. Nel buio tremendo di quel bosco irto di trappole mortali, quella debole luce poteva significare la salvezza. Cominciò così ad affrettarsi per raggiungerla e, cammina cammina, alla fine arrivò nelle vicinanze di una bella casetta che aveva una finestra illuminata.

Toc, toc…

“Chi è?” rispose una voce cavernosa dall’interno.

“Sono Pollicino” disse il piccolo piangendo “mi sono smarrito nel bosco, fatemi entrare per carità, ho paura e freddo qui fuori”.

Pollicino non aveva ancora terminato la sua supplica che all’improvviso la porta si spalancò e apparve sulla soglia un omone grande e grosso con una lunga barba grigia e l’inconfondibile cappello da mago. Costui afferrò il bambino per il collo e lo trascinò dentro sbattendo la porta. All’arrivo del nuovo ospite tutti i figli del Mago (immaginavo che fossero una ventina) si precipitarono festanti a dare il benevenuto alla “cena”. Eh sì, perché Pollicino sarebbe stato prontamente cucinato e consumato da quella combriccola di mostri: un gran pentolone al centro della stanza bolliva allegramente per l’inaspettata occasione. E qui arrivava la mia parte preferita: la descrizione dei “maghetti” (cioè i figli del Mago/orco).
Diversi dal loro padre, avevano un aspetto vagamente umanoide, con enormi teste globose su corpiciattoli piccoli e rinsecchiti, qualche sparuto capello in testa ed erano… tutti neri. Neri e affamatissimi, stridevano scalpitando attorno al calderone fumante in attesa che il padre vi immergesse Pollicino. Il piccolo però non era il tipo da frignare e basta: guardandosi attorno aveva subito adocchiato un paio di stivali ai piedi del Mago che avevano certamente delle proprietà straordinarie. Quelli dovevano essere gli stivali delle Sette Leghe! Gli anziani del paese raccontavano cose incredibili al riguardo: ci si potevano fare 10 chilometri con un solo passo, una corsetta di mezz’ora e ti ritrovavi addirittura in Cina!
Per prendere tempo e studiare la fuga Pollicino ricominciò a piagnucolare, raccontando di come si era perduto nel bosco, in cerca di castagne per sfamare la famiglia, per non parlare dei fratellini ammalati, dei debiti da pagare, dei genitori alla canna del gas (inutilmente, perché non avendo più pagato le bollette… :mrgreen:N.d.N).
Alla fine Mago e maghetti – imbambolati da tutte quelle sventure – finirono per crollare in un sonno profondo, dimenticando fame, cena e tutto.
Mentre il branco di cannibali russava della grossa, Pollicino tomo tomo sfilò gli stivali al Mago, se li mise – erano magici, quindi si adattavano bene a qualsiasi piede – e prima di fuggire non mancò di acchiappare tutti i maghetti, ancora pesantemente addormentati, per gettarli nel calderone fumante. Alle urla disperate dei figli che ribollivano nella loro stessa brodaglia immonda (per me altro momento topico della fiaba :sbav:) il Mago si svegliò di colpo e si gettò furente su Pollicino. Acciuffarlo fu impossibile: gli stivali erano fatati davvero e in un secondo il bambino scomparve alla vista per tornare dritto a casa, sano, salvo e con un sacco pieno di monete d’oro come ulteriore bottino sgraffignato al nemico.
Così Pollicino – ladro e assassino – diventò famoso, appese gli Stivali delle Sette leghe al chiodo e visse felice e contento, sperperando allegramente i soldi dello sfortunato Mago che – come immagino – morì di crepacuore.:MM
 

alexyr

New member
vittima dell'ennesimo divorzio devastante, un padre rimane senza moglie, che scappa con il bello di turno, e si deve pure accollare la cura dell'unica figlia. Dopo aver risolto il problema di dire alla bambina dell'abbandono della madre con un ecumenico "tesoro, mamma è morta", il papà,che accidentalmente è pure un re, si sposa con madre single belloccia in caccia di dote con 2 ragazzine bruttine a carico.

Visto che la sfortuna nelle fiabe è sempre eclatante, il padre muore, lasciando dote e figlia alla matrigna, che in quanto tale non si esime dallo stereotipo e obbliga la pupattola a far da serva, mentre lei e le sue figlie si godono la bella vita.

LA situazione si capovolge quando la madrina della pupattola,ovviamente fata, si immischia per permettere alla bella sfortunata di impalmare il principe di turno, in un tourbillon di zucche, scarpe di vetro, mezzanotti e fortuiti colpi di fortuna.

La nostra protagonista si riguadagna il bel mondo, matrigna e sorellastre vengono rispedite nella plebaglia.
Happy end


tutto questo è : cenerentola.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Ricordo che mi piaceva ascoltare la favola della Baba Yaga,che poi era simile ad Hansel e Gretel,che lo stesso mi piaceva.Solo che la Baba se ricordo bene era russa,mentre i 2 bambini erano tedeschi.
La casa della Baba,però,era spaventosa,con zampe di gallina :paura:,non era fatta di dolci :sbav:,come quella della strega di H e G.
A me comunque le streghe non facevano paura...forse per come e per chi mi raccontava le fiabe :??.

Domani,con più calma,proverò a riscrivere una delle 2.
 
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