Lapierre, Dominique; Moro, Javier - Mezzanotte e cinque a Bhopal

velmez

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Alla fine degli anni '50, mentre migliaia di contadini indiani vengono cacciati dalle loro terre da nugoli di insetti assassini, tre entomologi newyorkesi inventano un insetticida miracoloso. La Union Carbide, la multinazionale che lo produce, decide di impiantare una grande fabbrica nel cuore dell'India, nella splendida Bhopal. I lavori hanno inizio negli anni '60 e terminano nel 1980, quando la fabbrica gioiello viene finalmente inaugurata. Ma il sogno ha vita breve: il 2 dicembre 1984 la fabbrica esplode causando la morte di migliaia di persone e compromettendo gravemente la salute di molte altre, a causa delle emissioni di gas nocivi.


in realtà non si tratta proprio di un'esplosione, ma di una fuga di massiva di gas da una cisterna di MIC, che si dissocia in gas tossici (non si sa di preciso quali perchè la Carbide non lo ha mai dichiarato) tra cui il cianuro...
un disastro di proporzioni immense, che continua tutt'ora, ma di cui non molti sono a conoscenza...


Lapierre mi piace perchè sa, quasi sempre, evitare i patetismi. In questo libro raccoglie molti dati sul disastro di Bhopal e molti sulla sua esperienza personale con l'India (ritorna, voluta?, l'immagine dei topi che cadono dal tetto sulla partoriente, già presente in La città della gioia)

Un'immagine che mi ha colpito per la sua emblematicità: il contadino che arriva in ritardo al lavoro e si giustifica dicendo che gli sono scappate le mucche e ha dovuto inseguirle per tutti i campi prima di poterle mungere!


E poi c'è una cosa piuttosto inquietante, ma evito di raccontarla per chi volesse leggere il libro.... vi anticipo solo: "E se gli astri fossero i sciopero?"
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Un romanzo che racconta il più grande disastro industriale della storia, avvenuto in India e raccontato da chi, l’India, ce l’ha nel cuore.

Quello che segue non è un vero spoiler della fiction romanzata, quanto piuttosto della storia del disastro, che nel libro viene raccontata attraverso le vicissitudini dei personaggi. Come molti romanzi di La Pierre la storia di persone ordinarie è il pretesto per raccontare una pagina di storia dell’umanità.

Milioni di contadini fanno i conti, da sempre, con i capricci del tempo. Un monsone che non arriva o che arriva in ritardo significa morte sicura, a meno di emigrare in altre zone del paese nella speranza, spesso vana, di trovare un lavoro.

E da secoli devono lottare contro altri nemici, i quali si insinuano subdolamente tra le colture e distruggono i raccolti: gli insetti e i parassiti.

L’Union Carbide, multinazionale americana, negli anni ’70 inventa il Sevin, un potente pesticidi e ha capito che l’India è una nazione ideale per impiantare una fabbrica di produzione di questo nuovo prodotto. Per tre motivi: perché i contadini sono tanti, gli insetti che devastano le colture ancor di più e in ultimo perché la manodopera è abbondante e costa poco. Pochissimo.

Si decide per Bhopal, città tanto ricca di cultura quanto povera materialmente; sono migliaia, infatti, le persone che vivono ammassate in baracche lungo i binari della ferrovia, proprio sotto la famosa Spianata Nera, una grande distesa di terra all’interno della quale l’Union Carbide darà vita alla “Bella Fabbrica”.

Una benedizione per quanti vivono con meno di 10 rupie al giorno (gli attuali 15 centesimi di euro). La possibilità, concreta, di avere un lavoro vero, ben retribuito e con salde garanzie sindacali.

Saranno tanti a lavorare per la “Bella Fabbrica”, sono anni in cui l’Union Carbide spinge al massimo la produzione, nella speranza che i contadini acquistino in massa il prodotto miracoloso.

Ma gli americani non hanno fatto i conti con i capricci del tempo, infatti l’andamento irregolare dei monsoni di quegli anni (siamo agli inizi degli anni ’80) provocano pesantissime carestie anche in termini di crescita di riso.

Se non piove i campi non danno frutti. E se i campi non danno frutti i contadini rimangono senza soldi. E senza soldi non si può comprare il Sevin, il quale, tra l’altro, in condizioni di quel tipo non servirebbe a nulla. Una spirale di miseria contro cui nemmeno gli americani possono nulla.

Dunque la “Bella Fabbrica”, alla prova dei fatti, si discosterà sensibilmente dagli obiettivi iniziali, la produzione calerà drasticamente fin da subito e i primi a farne le spese saranno proprio i lavoratori.

L’Union Carbide aveva fatto della safety, della sicurezza sul posto di lavoro un proprio punto di forza iniziale. Ma quando le cose vanno male si cerca di far economia su qualsiasi cosa, dunque vengono disattivati i sistemi di allarme e di sicurezza; per risparmiare qualche chilo di carbone viene persino spenta una fiammella perenne posta sulla sommità di una ciminiera che avrebbe contrastato eventuali fughe tossiche.

E il degrado si percepisce anche all’interno dell’ambiente lavorativo: gli operai oziano e chi dovrebbe occuparsi di controllare le strumentazioni non lo fa o lo fa male. Risultato? Un lavaggio mal eseguito, fa sì che l’acqua venga a contatto con l’isocianato di metile, elemento indispensabile alla produzione del Sevin.

Tossico, pericolosissimo e inutilizzato, l’isocianato di metile venne stoccato all’interno di grossi silos. Una potenziale bomba atomica, che a contatto con l’acqua, suo elemento “detonatore”, divenne effettiva. Una fuoriuscita devastante che ammazzò più di 15.000 persone, purtroppo quasi nessuno sul colpo, In quelle terrificanti ore i polmoni bruciarono, lentamente, fino a scoppiare.

Pianti, vomito, svenimenti e morti, proprio a mezzanotte, l’ora dell’inferno, l’ora del teschio con le tibie incrociate disegnato sui fusti del velenosissimo isocianato di metile. La mezzanotte di Bhopal

Oggi la città è ancora altamente inquinata, la “Bella Fabbrica”, ormai arrugginita, fa brutta mostra di sè e centinaia di barili colmi di liquidi tossici sono sparpagliati lungo la Spianata Nera. E, quando piove, la pelle brucia.

Votato 4/5
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
In un libro che è metà romanzo e metà inchiesta giornalistica, Dominique Lapierre e Javier Moro raccontano, con partecipazione e lucidità, la tragedia immane che il 2 dicembre 1984 travolse la città di Bhopal, in India, provocando miliaia di morti soprattutto nei quartieri più poveri.
Il racconto, com'è consuetudine per Lapierre, parte dalla situazione delle famiglie dei contadini costretti a fuggire dalle campagne e a cercare nuova vita e lavoro in città. Così conosciamo i Nadar, l'Oriabasti con tutti i suoi abitanti, suor Felicity… ma conosciamo anche tutti i protagonisti di quello che avrebbe dovuto essere il miracolo che avrebbe liberato i contadini indiani dagli insetti che rovinavano raccolti e terre: la fabbrica di pesticidi succursale dell'americana Union Carbide. Viviamo passo dopo passo la nascita di questa fabbrica il cui motto principale era "security first", conosciamo chi la dirige, chi l'ha pensata, chi ci lavora, chi ci morirà.
Un racconto straziante, soprattutto nella seconda parte, che fa riflettere e lascia amareggiati. Veniamo qui a conoscenza di un'altra sfaccettatura delle mille contraddizioni e spaccature tipiche dell'India: qui la differenza non coinvolge ricchi e poveri, ma poveri e americani…
Un libro importante, ben scritto e ben documentato. Non è il capolavoro che ho trovato in "La città della gioia", ma è una testimonianza validissima di una tragedia poco conosciuta, scritta da chi conosce ed ama l'India. Ovviamente lo consiglio.
 
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