Kundera, Milan - L'Insostenibile Leggerezza dell'essere

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Titolo L' insostenibile leggerezza dell'essere
Autore Kundera Milan
Anno 1989
Editore Adelphi
Collana Gli Adelphi

(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Tabucchi, A., L'Indice 1985, n. 5

C'è un concetto elementare che portiamo dentro di noi: che la vita è irripetibile. Ogni nostro istante, ogni nostra azione, ogni nostro gesto, insomma tutto ciò che ci è dato da vivere avviene una volta sola, non avverrà mai più. Eppure viviamo come se ciò fosse un concetto trascurabile, perché se provassimo a rifletterci mentre viviamo, la vita diventerebbe una paradossale nostalgia: la nostalgia del presente. Su questo concetto, insieme elementare e insostenibile, Milan Kundera ha scritto un intero romanzo, un grande romanzo. Un romanzo non è grande se non ha in sé almeno un'interrogazione metafisica. Interrogazione che non è incompatibile col realismo, come a volte si tende a credere, perché realismo e metafisica possono andare perfettamente d'accordo; anzi, più che il fantastico, che è la negazione della metafisica, è spesso il reale che postula interrogativi metafisici, o che fa scattare quella metafisica del reale che il nostro secolo, a partire da Kafka e da Pirandello, ha visitato con i suoi autori maggiori.
Kundera è appunto un romanziere realista e metafisico; di un realismo e di una metafisica estenuati e dolenti: e per questo capaci di lampi, di penose intuizioni, di apparizioni brucianti, di guizzi e di spasimi. Di colpi di coda, mi verrebbe da dire, come di un animale morente che sra lasciando il suo vecchio corpo e sotto i nostri occhi sta producendo un altro corpo a lui consanguineo e a noi sconosciuto, un essere vivente che gli esce dalle viscere e che si sta sostituendo a lui. Il romanzo di Kundera è infatti un testo in mutazione: non è più un romanzo ed è già un altro romanzo, non è tradizionale ma non è neppure quello che con un aggettivo un po' logoro viene definito "sperimentale". Roman philosophique? Certo, ma non nell'accezione settecentesca del termine: "L'insostenibile leggerezza dell'essere" non è un romanzo moralistico e non è un romanzo sulla ragione, anche se parla di etica e di ragione (e di sentimenti) Se dovessi nominare un filosofo che presiede a questo libro farei il nome di Francis Bradley, del quale Borges ha scritto che "esclude l'awenire e che riporta l'Attuale all ' agonia del momento presente che si disintegra nel passato".
Fino dall'inizio il senso della finitudine congela le figure di questo romanzo in una luce livida, in una fissità da fotografia, nella dimensione dell'Irreversibile. "Sono già molti anni che penso a Tom s, ma soltanto alla luce di queste considerazioni l'ho visto con chiarezza. L'ho visto alla finestra del suo appartamento, gli occhi fissi al di là del cortile sul muro della casa di fronte, che non sa che cosa deve fare''. Le considerazioni del narratore riguardano l'idea dell'eterno ritorno e dell'inesistenza del ritorno, che si traducono nell'idea della leggerezza e della pesantezza e che introducono alla storia. Ma quando la storia comincia, quando cioé il narratore sorprende il suo personaggio alla finestra dell'appartamento, la storia è anche in qualche modo già conclusa. Noi non sappiamo perché, ma intuiamo che la vicenda che ci verrà raccontata è come una fotografia; una fotografia che, come ha detto Susan Sontag, è simultaneamente una pseudo-presenza e l'indicazione di un'assenza. A metà del romanzo,per esempio, veniamo a sapere attraverso un altro personaggio che Tom s e Tereza sono già morti in un incidente: eppure la loro storia prosegue nel romanzo, essi continuano a vivere fatalmente per noi fino al momento in cui moriranno. La loro storia, gia avvenuta, è irreversibile, la loro vita nella narrazione è solo una pseudo-presenza: essi sono un'assenza. Kundera durante il romanzo fa il nome di molti filosofi, da Parmenide a Scoto Eriugena a Nietzsche: manca tuttavia quello di Jankélévitch, il filosofo dell'irrevocabile e della nostalgia, che sono i concetti portanti dell'"Insostenibile leggerezza dell'essere" specialmente laddove il romanzo tocca, non solo con la storia, ma anche con le riflessioni extra-narrative dell'autore, temi come la resistenza all'irreversibile (il rallentamento del divenire, l'accelerazione del divenire, l'incomprensibilità del divenire), il consenso all'irreversibile (la libertà come potere a senso unico) e la questione dell ' irrevocabile (l 'attrazione dell'essere stato e del dover essere, la dizione della tautologia). Ha scritto Jankélévitch che "contro la tautologia ottusa, sorda e cieca, e soprattutto muta, protesta il paradosso della contraddizione". Kundera ha un modo molto originale di definire il dover essere e la tautologia ottusa: il Kitsch. Egli definisce il Kitsch "un accordo categorico con l'essere", la mancanza di paradosso e di contraddizione. In tal modo egli sposta il concetto di Kitsch dal piano estetico al piano ontologico, ne fa una vera e propria categoria dell'essere. Viene da pensare se nella visione di Kundera non ci sia un accordo un po' troppo categorico con la sua stessa visione, il che gli potrebbe creare alcuni problemi, perché una teoria di questo genere mi pare plausibile purché essa preveda un margine di dubbio nei confronti di se stessa, insomma tolleri l'ironia e l'autoironia altrimenri il problema cacciato dalla porta rischia di rientrare dalla finestra. È comprensibile che, esule da un regime come quello cecoslovacco (il cui sistema di vita, come in altri regimi analoghi, è fondato sul Kitsch), Kundera sia portato a elevare a regola universale cio che lo ha perseguitato fin dalla nascita. Ma in tal modo egli crea una categoria totalizzante che trasforma la vita in una mostruosa trappola senza scarnpo. Non mi pare infatti che la soluzione o l'evasione da tale trappola possa essere costituita, come il romanzo tende a far credere, dal comportamento della pittrice Sabina, seguace del "tradimento continuo" e figura letteraria forse un po' esile che ricorda certe figure letterarie o cinematografiche degli anni cinquanta. Le figure di grande spessore de L'"Insostenibile leggerezza dell'essere" sono invece proprio quelle alle quali il narratore non attribuisce funzioni metaforiche rigidamente esemplari: Tereza, Tom s e la loro assurda e "necessaria" storia d'amore. La requisitoria contro gli intellettuali occidentali e le loro manifestazioni politiche pecca forse di una certa presupponenza: essi vengono sostanzialmente presentati come una banda di citrulli guidati da un accordo categorico con l'essere (dunque il Kitsch) che certo semplifica molto le cose. Probabilmente a questa visione così radicale, anche se fondata su alcuni elementi legittimi, contribuisce in larga misura il disagio dell'esule, che può trasformare la coscienza ironica in coscienza cinica: quella coscienza cioé che sceglie le massime e gli esempi e che cerca freddamente la situazione senza uscita, la dimensione del tragico.
Dove questa dimensione trova un'indimenticabile grandezza è invece, come dicevo, proprio dove "si fa carne", dove diventa personaggio. nelle figure di Tereza e di Tom s; protagonisti di una sconfitta desolata e attonita che è una forma agghiacciante di tragedia. Perché se è vero che nei dannati di Dostoevskji il culmine della loro sconfitta è anche l'inizio del loro riscatto, Tereza e Tom s sono due figure senza riscatto e senza rinascita, spaventosamente prigioniere di una tragedia senza esito e senza catarsi. Una tragedia che sembra avere per coro il popolo cecoslovacco ma il cui coro più adeguato e misterioso è forse l'insostenibile "sorriso" del loro cane Karenin, che malato di cancro li precede nell'ombra.


(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Corduas, S., L'Indice 1985, n. 5

Sul luogo che Kundera occupa nella letteratura "praghese" o "boema" di oggi, posso rispondere soltanto ponendo alcune questioni, anche preliminari, parziali e provocatorie, dando qualche risposta provvisoria; tentando di arrestare un grumo o rotonda pietra, fatta di equivoci, che va rotolando non so bene dove in nome di Praga e della osannata Mitteleuropa (termine che a Praga non usa).
Perché parlare, per i contemporanei, di letteratura boema quando - intreccio di cose praghesi, tedesche ed ebraiche - questa letteratura non esiste più almeno dagli anni trenta? E Kundera davvero non é boemo. In primo luogo é nato a Brno, in Moravia (e non a Praga, come dice erratamente il risvolto del suo ultimo libro); é cresciuto come scrittore una prima volta tra Brno e Praga, poi a Praga e infine, da molti anni, a Parigi. È dunque uno scrittore ceco con una memoria boema e una prospettiva europea. Se questa precisazione dovesse apparire irrilevante o scontata, vorrei aggiungere che non é mai esistita, nella lingua ceca, la parola "Boemia" (si dice Cechy), e che la duplicità di boemo/ceco affligge ancora seriamente (spesso inconsciamente) la cultura ceca, sia dentro che fuori di Boemia e Moravia, oltre che le culture nostre.
Esiste quindi un equivoco che potrebbe portare il nome di boemocentrismo o pragocentrismo (io lo chiamo anche pragomania). Una implicita conferma si può scorgere nell'uso cocciuto, da parte di Kundera come di altri emigrati, del termine "Boemia " perfino quando si parla dell'invasione sovietica: come se Moravia e Slovacchia non fossero state invase anch 'esse. Fa fede di tale cocciutaggine (che in Kundera è certamente cosciente e motivata) il fatto che egli, rivedendo la traduzione italiana con l'editore, abbia puntualmente riscritto Boemia, come nell'originale ceco, là dove trovava Cecoslovacchia.
Altra questione: sono davvero "romanzi" i libri di Kundera? Se li si guarda con lo sguardo del nostro occidente, forse sì e forse no. Hrabal definisce il romanzo kafkiano "romanzo in forma di goccia " e quello hasekiano (Svejk) "romanzo in forma di treno accelerato locale"; ci si può permettere forse di definire i romanzi kunderiani "romanzi in forma di quartetto, beethovenianamente fondato sulla variazione". Non trovo casuale il fatto che già dai titoli e dalla successione dei capitoli di quest'ultimo libro si possa estrarre una quartina ABBA; oppure che Kundera costruisca a pag. 56 uno schema di quartetto (esecutori) più trio (ascoltatori) più trio (i tre ultimi quartetti di Beethoven). Lo fa sapendo benissimo che qualsiasi sala di quel paese musicalissimo sarebbe invece piena di attenti ascoltatori. Analogamente, "Adagio lamentoso" si intitola uno straordinario testo breve in memoria di Franz Kafka di Hrabal - e si tratta di Mahler invece che del Settecento o di Beethoven, ma sempre di variazioni.
Se li guardiamo con gli occhi di quell 'altro occidente che è Praga, dobbiamo dire che, essendo le due più forti tradizioni della cultura letteraria ceca la poesia e il racconto, i libri di Kundera sono romanzi, anzi Kundera è fra coloro che stanno costruendo il romanzo ceco. Tuttavia è opportuno ricordare che si tratta di romanzi composti con racconti che si fronteggiano quasi specularmente.
Ancora una questione: non bisogna dimenticare che Kundera scherza, gioca - in un senso non banale - con se stesso, con la scrittura, col lettore. In questo la sua memoria, boema e ceca, è forte. Weiner e Fuks, per fare un nome boemo e uno ceco non sono estranei, ad esempio, rispettivamente all'autocommento e alla metafora tornante di Kundera. Né può essere un caso che Kundera ami tanto Ladislav Kl¡ma, scrittore e filosofo tradotto anche in italiano, gran teorico del "ludibrionismo". Sarebbe facile dimostrare come questo gioco continuo si traduca, per la scrittura, in quasi tutti i tipi possibili di scrittura ad esempio saggistica: filosofa, teoria del romanzo, scienze, musica, e perfino la filologia. A tale proposito, io vorrei notare che il punto di partenza non sono solo le citate opposizioni di Parmenide e l'eterno ritorno di Nietzsche, ma anche la vecchia storia per cui, coincidendo A con non A, "tutto é vano", e l'unica possibile scelta è "un provvisorio ritorno all'umano " (L.Klima). Si prenda il titolo stesso del libro: la parola ceca tradotta con " insostenibile" è l'esatto equivalente per etimo, piano stilistico e frequenza d'uso, dell'italiano "insopportabile". Il che vien detto non per criticare la scelta, bensì per sottolineare come già nel titolo figuri il peso (da portare), inscindibile dalla leggerezza.
Un' ultima questione: com'è il ceco di Kundera o anche: quanto è ceco come scrittore Kundera? Rozze le domande, rozze le risposte. Il ceco di Kundera è volutamente non difficile ed è diventato certamente, se lo si confronta con quello del suo primo romanzo (" Lo scherzo ", 1967), per l'appunto più "leggero". Questa affermazione ha a che vedere con una serie infinita di questioni che qui è impossibile approfondire. Dirò soltanto che pur essendo ben pertinente l'anomalia di scrivere sapendo già che non si verrà letti nella propria lingua, l'origine della scrittura kunderiana sta già certamente, a mio parere, nei racconti e nel saggio (sul romanzo) del 1963; e che non trovo inutile prendere in considerazione il parere, udito a Praga, che forse Kundera potrebbe non necessariamente scrivere in ceco. ( Si tratta di un parere provocatorio, e giurerei che Kundera lo conosce; non giurerei invece sulle sue reazioni). Non è un caso, ed è un bene che Kundera sia a Parigi, ami Diderot e l'illuminismo. Ed è su quella leggerezza (nella quale egli traspone il peso della vita e della cultura) che si fondano propriamente la risonanza e il carattere ormai europei di Kundera.
Quanto alla seconda domanda, considerando Kundera nell'insieme (in quello che a Praga verrebbe chiamato il suo "gesto culturale" complessivo) si può forse sommariamente dire che egli è scrittore per metà europeo e per metà ceco (non soltanto "praghese"). Ma - per concludere queste sommarie premesse a un discorso su Kundera - sarebbe forse più giusto dire che un 'incognita per fortuna resta, un uno per cento di apertissimo dubbio, dal quale certamente scaturiranno altri libri. Quel dubbio che prende quando si vede Kundera ridere di Smetana - che non ama - e proclamare la grandezza di Dvoràk; mentre si resta attoniti quando domandandogli che cosa pensi del " Dramma giocoso " di colui che fece così importanti visite a e per Praga, non c'è risposta, proprio sul Don Giovanni; quest'opera somma del grande Amadé...
 

Sir_Dominicus

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Re: Kundera Milan - L'Insostenibile Leggerezza dell'essere

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