Petacco, Arrigo - L'armata scomparsa

Storia della Csir e dell'Armir, di quei giovani ragazzi che Mussolini mandò a farsi massacrare in Russia nonostante l'esplicito divieto dei nostri alleati tedeschi. Ma il duce aveva bisogno di un migliaio di morti da presentare al tavolo delle spartizioni post belliche (se avessimo vinto).

Ma la spedizione partì male e terminò peggio. Male armati, mal vestiti, guidati da persone incapaci, leggete questa chicca:

"In seguito, quando
le nostre divisioni "autotrasportabili" saranno costrette a
raggiungere il fronte a piedi perché i tedeschi non fornirono gli
automezzi necessari, Cavallero, come riferisce Ciano, "risolverà il
problema aumentando la tappa quotidiana di marcia della fanteria da
18 a 40 chilometri al giorno. Roba da pazzi...
".

Un "genio" Cavallero. Quell'"autotrasportabile" stava a significare che i nostri camminavano a piedi, ma erano disponibili ad essere trasportati, se i tedeschi avessero avuto buon cuore.


Decimati dal freddo, dai russi, accolsero l'essere catturati come una liberazione, ma non sapevano che il calvario era appena all'inizio. La fame nei campi di concentramento sovietici li portò all'antropofagia:

"Secondo don Guido, i primi casi di antropofagia si verificarono fra
gli ungheresi, seguiti dai rumeni e poi dagli italiani. Impazziti
dalla fame, dopo avere bollito le scarpe per farne brodo e ingoiato
barattoli di olio congelante, qualcuno cominciò a scagliarsi sui
moribondi per berne il sangue. "Squartano i cadaveri" scrive
don Guido, "asportando il cervello, cuore, fegato, muscoli."
I "bevitori di sangue", come li definisce il cappellano, operavano
in piccoli gruppi particolarmente di notte, approfittando del fatto
che all'interno del campo non esisteva vigilanza: "Il mattino
seguente si notavano evidenti tracce di antropofagia: braccia e gambe
spolpate, brandelli di membra...
".

Dopo l'8 settembre la situazione migliorò e gli italiani cominciarono a mangiare leggermente meglio, quel tanto che bastava per non azzannare più cadaveri, ma ancora poco per altro. D'altra parte si dice: primum vivere deinde philosophari. E l'accoppiamento rientrava nella filosofia:

Rinvigoriti e rivitaminizzati, i nostri prigionieri, quasi tutti
fra i venti e i trent'anni, non tardarono a riavvertire quelle
pulsioni che sono caratteristiche della giovinezza. Fino a quel
momento il sesso era stato l'ultimo dei loro pensieri. Le occasioni
di consumarlo, per la verità, non sarebbero mancate. Già prima della
ritirata, le donne russe, non soltanto giovani ma anche
attempate, non si erano mai lasciate pregare per imbastire una storia
d'amore coi giovani soldati italiani. L'assenza dei mariti e dei
fidanzati, oltre all'assoluta penuria di uomini validi, favoriva
quegli approcci. Spesso erano le donne a prendere l'iniziativa.
Anche nei campi si verificò qualcosa di simile. Le giovani sestre,
le infermiere, davanti alle quali i prigionieri dovevano presentarsi
nudi per essere sottoposti agli esami clinici o alle disinfestazioni,
non nascondevano un certo interesse per quei corpi maschili a
disposizione. Ridacchiando, toccavano e palpavano le parti più
sensibili, ma invano. Racconterà un alpino a Nuto Revelli: "Le
ragazze ci spogliano e se vedono madonnine o crocifissi ci invitano a
lasciarli. Belle ragazze, mica asiatiche. Sono tutte ucraine sfollate
e non nascondono la voglia. Ma siamo mezzi morti, ci mettono nelle
vasche e ci lavano con le spugne come neonati. Infine ci prendono in
braccio e ci portano a letto. E pensare che appena due o tre mesi fa
avremmo saputo farle divertire".
Don Brevi, da parte sua, racconta scandalizzato che quelle
"spudorate giungevano persino a offrire delle patate bollite in
cambio di... Ma" conclude rasserenato "i nostri, da buoni cristiani,
rifiutano il peccaminoso baratto".


Ma alla fine la belva si risvegliò e un fragoroso applauso salutò la primavera:

Nel campo di Tambov, il segnale che qualcosa era cambiato lo lanciò
un giovanissimo sottotenente napoletano. Racconta il tenente Carlo
Vicentini: "Incuriosito dagli applausi che si erano levati nella
baracca, andai a vedere. Un sottotenentino ancora in mutande stava
ritto sul letto a castello e dava spettacolo esibendo una portentosa
erezione. "Finalmente la criatura s'è scetata" gridava felice e quasi
incredulo che gli fosse capitata tanta fortuna, mentre la platea
applaudiva e le battute sfrecciavano salaci e impertinenti.
"Che te ne fai di quella grazia di Dio! Qui è sprecata."
"Accidenti! Cos'ha mangiato quello? Zabaglioni?"



Ottimo saggio storico, si legge come un romanzo, e come per il Sergente nella neve, senti il freddo che ti attraversa le ossa.
 
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