Selmin, Francesco - Nessuno giusto per Eva

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Nessun “giusto” per Eva.

Si tratta di una occasione importante per avvicinarsi ad un saggio che rappresenta il punto di arrivo di 25 anni di ricerche in tema.
La penna elegante e leggera di Selmin ricostruisce per il lettore l’intera vicenda, vista dal Veneto , che va dall’introduzione delle Leggi razziali nel 1938 all’epilogo ad Auschwitz nel 1944, attraverso le vite e le vicende personali delle vittime ( bellissima e particolarmente suggestiva tutta l’appendice documentale), passando perfettamente attraverso la dimensione del silenzio, dello sguardo girato altrove, della volgarità di fatto e dell’ignavia comportamentale, dell’autocensura di chi queste tragedie ha visto passare sotto i propri occhi, giacché è questo il nocciolo duro del libro, che va oltre la ricerca, come ha ben compreso anche Camon.
Alcune tra le piu’ grandi porcherie della storia sono passate sotto gli occhi degli uomini e delle donne veneti(e ricordo i rastrellamenti, e prima le espulsioni razziali dalle scuole e dalle Università, l’attivismo di questure e carabinieri, le cacce all’ebreo, le oscene macchine burocratiche e tutti i loro funzionari,ecc.).per non dire della pagina orribile del post di tutto cio’, quello dopo la Liberazione, nel tacere i responsabili, nel rimuovere il piu’ possibile.
Il silenzio dominava tutto, ci dice Selmin, che nella sua ricostruzione non riesce a trovare un “giusto” che sia uno, disposto ad esporsi nemmeno per una bimba di 5 anni. E non si fa fatica a crederci, proprio per nulla. Ma anche il volgere gli occhi sistematicamente altrove, la meschinità, la cattiva coscienza di fronte alla ferocia e alla squallore che si compie sotto le finestre di casa propria o nei confronti del vicino di scrivania, ha i suoi nomi e cognomi. Il problema è dirli, il problema è farli. E trovare uno storico come Selmin che scovi questi “armadi della vergogna” e li faccia, non ennesime, grandi storie generali. Come per esempio quelli dei delatori,delle spie, dei vicini di casa che mandavano la gente a farsi torturare da Mario Carità a Palazzo Giusti.
Ancora una volta, anche qui ,un Veneto che si tace e che ha taciuto, fino a giorni nostri, con una perfetta, naturale direi, predisposizione alla cosa.

V.A.
 
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ECCO COME FERDINANDO CAMON HA PRESENTATO QUESTO LIBRO:

Noi veneti indifferenti alle vittime di ieri e di oggi
Dal libro di Francesco Selmin «Nessun giusto per Eva» una riflessione Gli euro-cristiani non riconoscono gli altri come uguali a loro
di FERDINANDO CAMON
del 10 dic.2011

Noi veneti sappiamo poco, quasi niente della nostra storia. Anche di quella recente e grandiosa: per esempio, cos’è capitato nella seconda guerra mondiale, a Padova Este Castelbaldo Legnago Verona Rovigo Vicenza, cos’han fatto i fascisti, cos’han fatto i nazisti, come si sono comportati i nostri padri. Credevamo che le vittime dei nazi-fascisti, sui Colli Euganei, fossero una trentina. Poi uno storico di Este, un grande storico, dal metodo rigoroso e tenace, Francesco Selmin, si è messo a svolgere lunghe ricerche, e dopo due mesi è arrivato a contare una cinquantina di vittime, dopo altri due mesi ottanta, e infine ha superato il centinaio.
Ora questo stesso storico riesuma un argomento già scavato ma mai con tanta ricchezza di dettagli: la Shoah di Padova città e provincia. Cos’è successo agli ebrei padovani, dopo la decisione tedesca di procedere alla soluzione finale, e dopo la decisione italiana di accodarsi al turpe alleato nazista, e attuare le leggi razziali? Il libro di Selmin, che sarà in libreria da oggi, stampato a Verona dalla Cierre, s’intitola “Nessun giusto per Eva”, isolando tra le vittime la ragazzina Eva Ducci, con tanto di foto sulla copertina. Sì, il lamento è questo: non ci furono “giusti”, nel senso in cui usa Israele questo termine, onorando coloro che han fatto quel che han potuto per salvare gli ebrei.
Ma devo dire a Selmin che non mi sono lasciato prendere dalla corrente della sua narrazione che avanza ad estuario, diramandosi qua e là per accompagnare le vittime verso il loro ineluttabile destino (quasi tutte son finite ad Auschwitz-Birkenau, e lì han concluso la loro vita nel giro di pochi giorni o di pochissime ore), la mia angosciata attenzione era sempre per lo stesso problema, che non può non porsi alla nostra coscienza: noi, uomini di oggi, ci saremmo comportati diversamente? Avremmo capito? Avremmo avuto coscienza della non-differenza tra le vittime e noi, e l’assurdità di quella differenza che allora chiamavano razza?
I quasi cento ebrei, rastrellati a varie riprese a Padova e nel padovano, e prima riuniti nella villa Contarini Venier a Vo’, hanno avuto poca o nessuna comprensione da parte della popolazione che pure aveva spartito la vita con loro. L’immensa catastrofe si è svolta senza che le coscienze dei vicini ne vedessero l’ingiustificabilità.
Ho letto in passato, in un’altra fonte, che il parroco di Vo’, che ha prestato aiuto a queste vittime, alla loro domanda: “Ma cosa vogliono da noi?”, rispose con non stupida chiarezza: “Vogliono i vostri beni”. È una spiegazione marxiana: i beni, i soldi, gli ori, le case. Ma c’è anche una spiegazione freudiana. Col passar dei secoli gli ebrei venivan sentiti come irrimediabilmente “altri”, cioè nemici, e poiché si era in guerra, venivan trattati come nemici interni, perciò pericolosi, da eliminare. Chiamatela, se volete, spiegazione nicciana. Ma questo spiega il rapporto tedeschi-ebrei. E gli italiani? Noi cercavamo una terza posizione, che non c’era.
Gestito dai fascisti, il campo di concentramento di Vo’ non era un lager tedesco (com’era per esempio la Risiera di San Sabba a Trieste), non era un “mulino da ossa”, costruito per frantumare l’essere umano. Ma la ricerca di una terza posizione (per cui Vo’ ebbe anche un comandante “buono”), poiché lo spazio per una terza posizione non c’era, finisce per diventare collaborazionista, e cioè non evita il male, ma lo lascia accadere.
Sapevano, i nostri padri, il crimine che si compiva sotto i loro sguardi e con la loro, inerte o attiva, collaborazione? No, ma questo non li assolve. Allora come ora. Noi, euro-cristiani, non sappiamo riconoscere gli altri come uguali a noi. Né gli altri lontani (gli indigeni d’America, dopo Colombo), né gli altri colonizzati (che gasavamo o impiccavamo con crudele indifferenza), né gli altri in casa nostra, gli stranieri che arrivano ogni notte, morendo a decine.
Scambiamo la nostra superiorità tecnica ed economica per una superiorità umana. Gli altri sono diversi di pelle lingua costumi morale religione, e questa diversità noi la traduciamo in diversità di diritti. Non sono come noi, perciò non possono avere i nostri stessi diritti.
Dalla Shoah son passati settant’anni, tre generazioni. Adesso cominciamo a capire qualcosa. Se dell’indifferenza di oggi, verso i nuovi scarti della società, avremo coscienza fra altri settant’anni, vuol dire che il problema di capire vien demandato ai figli dei nostri figli. Appena nati. O ancora da nascere.
10 dicembre 2011
 

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Dopo la dotta recensione di Segio Luzzatto sul ILSOLE24ORE( che non riporto) ecco quella di Libri e Parole,qui sotto a seguire,assai sentita e coinvolta
V.A.


Nessun “giusto” per Eva.

Tempo fa ho fatto un patto con me stessa e con la storia, ricordare, sempre e comunque, anche quando dimenticare o semplicemente ignorare è la via più facile, ricordare tramite libri di storia, racconti, romanzi, film, una ricerca costante e infinita per imprimere nella mia mente nomi, luoghi e fatti. Nessun “giusto” per Eva – La Shoah a Padova e nel Padovano, di Francesco Selmin è un piccolo capolavoro di ricerca, una lezione di storia umana. L’autore riporta le tragiche storie degli internati nel campo di concentramento di Vo’ Vecchio, Villa Contarini Venier, situata ai piedi dei colli Euganei nella provincia di Padova, 71 in tutto, alla fine della guerra, solo in tre sopravvivono ad Auschwitz.

Francesco Selmin racconta le vite di tutti gli internati, i dolori, le sofferenze, le coincidenze, ma soprattutto riesce a far risaltare l’indifferenza della nazione, durante e dopo la guerra, di fronte a un tale disumano capitolo nero della storia mondiale.

“Nell’agosto 1945, ad esempio, Ester Hammer Sabbadini, una delle tre superstiti degli internati di Vo’ Vecchio racconta sul quotidiano padovano “Libera Tribuna” l’allucinante esperienza della deportazione e della vita nel campo di Auschwitz Birkenau. Un racconto ampio, circostanziato, che però non ha eco e cade nell’indifferenza. Un’indifferenza che può essere addebitata anche alla diffusa volontà di dimenticare la guerra.”

Il pregio maggiore che ho riscontrato nel testo è l’accuratezza di particolari nell’esposizione dei fatti, la ricerca inoltre è completa di nomi e cognomi degli ebrei internati, come a voler omaggiare la loro memoria ricordandoli tutti per imprimere nella mente del lettore il valore di ogni singola vita. I paragrafi estrapolati dai diari, gli articoli antisemiti, le testimonianze dirette dei pochi sopravvissuti, rendono il volume vero.

“Il convoglio 33T arrivò ad Auschwitz la notte tra il 3 e il 4 agosto. Per gli ebrei la selezione fu immediata e terribile. Soltanto una minoranza dei deportati venne risparmiata, tutti gli altri entrarono prima nelle camera a gas, poi nei forni crematori.”

Amara la conclusione dell’autore:

“Nel ripercorrere i dolorosi fatti raccontati in queste pagine, mi sono chiesto se si incontrano dei “giusti”. Me lo sono chiesto in modo particolare riflettendo sulla vicenda straziante e inquietante di Sara Gesess (bambina di 2 anni N.d.R.), prima “salvata” e poi “sommersa”, così come sulla vicenda ugualmente tragica degli altri bambini internati a Vo’: Ida, la più piccola di tutti, suo fratello Ercole, Pietro, Eva.

Ho cercato dei “giusti” anche per l’altra Eva, quella un po’ più grande, che aveva pensieri lievi e profondi e a diciott’anni scrisse che per l’Italia che l’aveva tradita era disposta a sacrificare “tutto il sacrificabile”.

Confesso che faccio molta fatica a trovarne qualcuno.”
 
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