Corona, Mauro - I Fantasmi di pietra

Candy Candy

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Un paese abbandonato, silenzioso, fermato in un'istantanea scattata il giorno 9 ottobre 1963, quando il fianco del monte precipitò nell'invaso del Vajont. Eppure quelle case, quelle cucine, quelle stalle sono ancora abitate. E' una popolazione di fantasmi quella che Mauro Corona suscita ripercorrendo, casa per casa, le strade che un tempo risuonavano di voci, del rumore degli strumenti di lavoro, della vita di ogni giorno. Una tazza, una falce, una gerla, una bottiglia lasciata a metà di quel vino che dava forza e smemoratezza, ogni oggetto richiama in vita, nella memoria di Mauro Corona, un personaggio, un fatto buffo o tragico, una storia d'amore, come un vento di tempesta o un soffio di primavera.

By La feltrinelli
Candido scrive:

Avvincente.

Il racconto si snoda in una passeggiata con l'autore fra le viuzze di Erto...o meglio di ciò che di Erto è sopravvissuto dopo il disastro del Vajont....ovvero "I fantasmi di Pietra", i ruderi delle case.

E' un viaggio nei luoghi, nelle stagioni (sono 4 capitoli ambientati nelle 4 stagioni) ma soprattutto nella memoria.
quotato
mi è piaciuto mooooolto ogni sera una storia nuova un personaggio nuovo raccontando tutto con tranquillità e realtà anche le storie più crude ti sembrano normali, niente rabbia, niente cattiveria solo la piena coscienza dei fatti e degli eventi, solo nostalgia e rammarico.
Erto Vecchia un paese morto che vive nei ricordi di chi lo abitava, personaggi che pensavano solo a vivere e sopravvire nella semplicità.
gente che non c'è più intrappolata nella memoria dei posti in cui a vissuto, gente che ha vissuto quei posti ma che adesso si sente lontana da essi, gente che vede quei posti morire e li lascia morire...si lascia morire, gente che ha perso tutto in un momento. gente che pur volendo odiare quei posti non ci riesce...gente come corona che vuole vederli rinascere in qualche modo, leggende tramandate.
la semplicita di quei posti è per me qualcosa di impossibile anche solo da pensare e a volte vorrei viverla altre mi rendo conto che sono troppo "moderna" per viverla.
non si fa leggere tutto di un fiato si fa assaporare, non penso sia un libro che possa piacere a tutti, a chi cerca in un libro LA STORIA, IL GRAN FINALE, non lo consiglio...non ci sono...
 
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Meri

Viôt di viodi
Molto bello. Corona ha un animo nostalgico, poetico e un grande amore x il suo paese e x la sua gente, contagioso.
 

sergio Rufo

New member
solo 10 pagine di Corona bastano a farti sentire in montagna, in un tempo antico e se proprio non vuoi estraniarti dalla figura di lettore sul tuo divano di casa, bastano comunque a farti sentire l'autenticita' della fabula montanara, della vita spesa e vissuta rudemente, rusticamente, amante delle cose temprate, degli odori forti, delle leggi di natura.
Insomma niente a che vedere con quello la' - massi' come si chiama? - quello del camoscio e del cacciatore che di autentico aveva solo la pagina feltrinellesca commerciale e per lo piu' in edizione economica.

Corona: chi veramente e' tutt'uno con la montagna.
 

sergio Rufo

New member
" se ci toccano il portafoglio lasciamo perdere, ma se ci toccano le cose nostre vecchie, diventiamo cattivi"

a proposito dei furti di oggetti nella vecchia Erto.
La' si recano i collezionisti di cimeli della tragedia.
 

Sibyl_Vane

Fairy Member
Ti bastano 5 pagine e subito ti ritrovi catapultato tra le montagne ad assaporare gli stessi attimi vissuti da Mauro Corona. Adoro questo scrittore per la sua capacità di trasmettere svariate sensazioni attraverso le parole. Rude, a volte, decisamente poetico, altre. Consigliato a chi vuole assaporare un'atmosfera diversa, più genuina e antica. :)
 

malafi

Well-known member
Il migliore tra i libri di Corona che ho letto. Bellissimo: nella mia classifica merita un 5/5.
Forse anche perchè amo le montagne e ancor più perchè proprio pochi mesi fa ho visitato Erto e visto quelle case .... I Fantasmi di Pietra.

I fantasmi di pietra sono le case della vecchia Erto, abbandonata dopo il disastro del Vajont, nella quale sopravvivono, salvo rare eccezioni di abitazioni ancora in piedi ed abitate, case diroccate in rovina.

E' un Corona diverso, meno eccessivo, più indulgente.
Il sentimento che lo anima, mente passeggia per le vie del suo paese e racconta le storie di ognuno degli abitanti, è un misto di malinconia nostalgica, rabbia per quel che è stato, tristezza per quel che non sarà più.

E' un'antologia di Spoon River in chiave ertana: di ogni casa, come in un epitaffio, racconta le storie che le hanno animata mentre erano in vita.
Storie semplici, storie fantastiche, storie di montagna. Storie di fatica, ma anche di allegria e cose genuine.

Corona in questo libro ha dato un'anima al suo paese, gli ha dato una seconda vita.
Badate bene: il paese ha di suo un'anima pulsante. La si coglie passeggiando per le sue viuzze.
Ma Corona l'ha fatta emergere al meglio. E viene voglia di tornarci.

Questo libro è un elogio alla lentezza: non va divorato, ma centellinato, assaporato. E' sempre uguale a se stesso, perchè ogni casa ha la sua storia.
Non ha una trama che si dipana, dunque nessuna fretta di vederne la fine.
Anzi, man mano che si avvicinava la fine si impadroniva di me una sottile tristezza: come se quel bel sogno, il sogno di una Erto che vive ancora, si stese spegnendo a poco a poco col finire del libro.

Leggetelo :)
 

malafi

Well-known member
Alcune foto dei fantasmi di pietra scattate a dicembre 2014

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malafi

Well-known member
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Ho caricato questa foto perchè possiate rendervi conto:
- dell'immane cataclisma che è stata la frana del monte Toc. Credo che neanche nel filone di film apocalittici si potesse immaginare un'onda alta 230 metri, che ha superato la diga di oltre 150 metri, riversandosi poi su Longarone a valle
- della frase di rara efficacia con la quale il grande Dino Buzzati commentò la cosa sui quotidiani dell'epoca
 

Grantenca

Well-known member
Il ricordo del tempo passato è l’argomento principale di questo libro di Mauro Corona. Egli visita Erto vecchia, un paese praticamente abbandonato dopo la più grande tragedia della storia italiana provocata dall’incuria e dalla presupponenza umana. Egli ricorda il suo paese, addirittura prima della costruzione della fatale diga, un paese di montagna, probabilmente simile a molti altri paesi di montagna ,comunità a quei tempi abbastanza isolate, ma era il SUO paese, erano le SUE amate montagne, erano i SUOI amici e la SUA gente. Persone che, anche e soprattutto per necessità, avevano imparato a costruirsi da se tutto quello che serve per una vita decorosa. E così, nel visitare le case abbandonate e ormai cadenti egli ne ricorda gli abitanti: grandi personaggi, agricoltori, falegnami, fabbri, incisori, ciabattini, bracconieri, osti, costruttori ed anche pittori e scultori, con una giusta esaltazione dell’opera manuale che naturalmente solo chi non è più troppo giovane riuscirà ad apprezzare pienamente. Una manualità che richiede lunghissimo uso e pratica e conoscenza totale del materiale (soprattutto il legno) che si lavorava. Ciò non è più possibile ai nostri tempi. E’ questo un fatto che può dispiacere, perché il lavoro manuale di alta qualità è senz’altro un fatto molto importante e per il quale una persona può “realizzarsi”, ma i tempi non si possono fermare, e le costruzioni “in serie” hanno permesso una vita di qualità almeno moderatamente migliore a larghissimi strati della popolazione. Il rimpianto di Corona è il rimpianto del tempo che passa, e con più passa più ritornano nitidi i ricordi dell’infanzia e dell’ adolescenza, soprattutto di chi queste età le ha vissute in piena libertà, nella scoperta , progressiva e affascinante, del mondo reale che ci circonda. E’ il rimpianto di un mondo più semplice, dove la solidarietà umana non era solo una vaga parola ma si manifestava con fatti ed azioni, e l’osteria era il luogo deputato a dimenticare gli affanni e disagi. Tutto questo descritto con una scrittura di alta qualità, che ti fa “vedere” i paesaggi che descrive, ma che, inevitabilmente, ritorna sempre al “tempo che passa”, e la lenta morte del paese abbandonato sembra una metafora della vita.
 

bouvard

Well-known member
Anni fa una sera facendo zapping mi sono imbattuta in una trasmissione in cui un uomo su un palcoscenico spoglio raccontava qualcosa. Incuriosita dalla sua bella voce mi fermai ad ascoltarlo, pensando comunque di cambiare canale non appena avessi capito di cosa si trattava, invece due ore dopo ero ancora lì ad ascoltare. Quell’uomo era Marco Paolini. La tragedia del Vajont io l’ho scoperta così. Toc, Vajont, Lavarone, Erto erano per me nomi sconosciuti, troppo lontani geograficamente per potermi essere familiari, ed anche anagraficamente quella tragedia era abbastanza lontana da me perché potessi averne sentito parlare nei discorsi degli adulti.

1917 morti, 25 milioni di metri cubi d’acqua che fuoriuscirono dalla diga, polemiche, falsificazioni, processi e accuse questo è il disastro del Vajont che non troverete leggendo questo libro, perché Mauro Corona ci parla di un “altro” Vajont. Non ci parla infatti dei numeri e delle polemiche, ma delle persone, quelle persone che – in un modo o nell’altro – quella sera “morirono”. Non c’è infatti solo la morte fisica, c’è anche quella dell’anima, che è molto peggio. Si è vivi, ma non si riesce a trovare una ragione per continuare ad esserlo, perché la vita non è – e non sarà - più quella di prima. Troppe assenze che pesano, troppe voci che non si ascolteranno più, troppi amici con cui non si potrà più scherzare, bere o giocare, e soprattutto non ci sarà più la propria casa. Dire 1917 morti fa impressione, ma quella cifra spaventosa fa ancor più impressione quando si conoscono alcune di quelle persone che la formano, quando si conosce la loro storia, la casa in cui vivevano e la loro famiglia. Questo è il Vajont di Corona, piccole storie di abili scalpellini, fabbri ingegnosi e donne dalla tempra eccezionale. E così mentre ci vengono raccontate le loro piccole astuzie o i grandi gesti di generosità queste persone tornano a vivere. Le stufe - lungo queste 300 pagine - tornano finalmente a diventare incandescenti e a scaldare quelle case abbandonate, così i “fantasmi di pietra” cessano per un attimo di essere tali e ritornano, come un tempo, a popolarsi dei loro abitanti, mentre nelle vie tornano a risuonare le voci e le risate e non più solo il mugghiare del vento.
Ecco questa è forse una delle cose che più resta impressa di questo libro, il contrasto tra il parlare continuo di un tempo – bellissima l’immagine della gente che alla sera usciva sui gradini di casa con il piatto in mano e mangiando chiacchierava e scherzava con i vicini – e il silenzio assordante di adesso. Un silenzio che a ben guardare non è solo quello di questo paese abbandonato, ma è quello di tutta la società attuale, in cui le persone “parlano” con gli altri quasi solo per sms, mail e messaggini vari.
Se non ci fosse stato il disastro del Vajont sicuramente oggi Erto vecchia non sarebbe spopolata, ma non sarebbe neppure il paesino “congelato” in quei fantasmi di pietra che oggi possiamo guardare. Il progresso avrebbe sicuramente portato i servizi igienici dentro le case, le concimaie sarebbero comunque scomparse, così come il trasportare foglie nelle grandi gerle per dare un giaciglio caldo alle mucche in inverno. Anche ad Erto sarebbe arrivata la tecnologia e parte di quel parlare, condividere sarebbe finito, probabilmente anche qui ognuno si sarebbe chiuso nella sua casa. Il dramma è proprio questo, quelle case non hanno avuto la possibilità di “evolvere” con il tempo, di adeguarsi ai cambiamenti e così ora con il loro silenzio ci buttano in faccia in maniera dura tutto ciò che con il progresso – e non solo con il Vajont - abbiamo perso.
Bello, nonostante qualche ripetizione.
 
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