Marco_1988
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Riporto quanto scrissi sul mio blog a riguardo:
Voglio partire dal libro a me più caro: il De Profundis di Oscar Wilde.
L'opera consiste nella lunga lettera che l'artista scrisse, durante la detenzione nel carcere di Reading, ad Alfred Douglas, suo amante.
Si tratta di una confessione che getta luce sul lato più umano dell'autore. Il ritratto che emerge fin dalle prime pagine è infatti quello di un uomo segnato dalla delusione, logorato dalla prigionia, avvilito dalla pubblica infamia, lontano dal brillante "dandy" di salotti che tutti siamo abituati a conoscere. E' bene fare un breve accenno all'elemento biografico che fece da sfondo al testo: il marchese di Queensberry, padre del giovane amato da Wilde, attaccò lo scrittore trascinandolo fino in tribunale con l'accusa (oltremodo scandalosa per l'epoca) di sodomia. Wilde, che non era estraneo a discutibili frequentazioni, fu inevitabilmente condannato. Il 13 Novembre 1895 varcava le mura del carcere di Reading, andando incontro a 2 anni di lavori forzati.
Da qui la fine e l'inizio.
Innanzitutto la delusione per Douglas è totale. Il giovane rimane assente sia col corpo che con la penna, anzi, notizie dall'esterno riferiscono di come egli si arricchisca con le pubblicazioni non autorizzate del compagno. Ma proprio perchè la delusione è così terribilmente consapevole essa non sfocia nella rabbia, al contrario: colpisce la rassegnazione e la serenità con cui Wilde condanna la relazione ma ancor di più condanna se stesso per avervi ceduto.
Assistiamo ad un uomo privato di tutto e rinnegato da tutti che nel momento più tragico della sua esistenza per il fautore di tutto ciò ha parole di consiglio e, se vogliamo, di amore. Simbolo che la Poesia eleva, la Poesia è pace:
"(...) mi arresi a te. Moralmente fosti per me ancora più distruttivo di quanto non lo fossi stato per la mia Arte. Mi resi conto di come un'indole meno colta ti si sarebbe maggiormente convenuta. Non dico questo con animo amreggiato ma semplicemente come una constatazione da amico (...) Il vizio supremo è la superficialità, ricorda anche che tutto quanto ti rende infelice a leggerlo, ha reso me ancor pù infelice a scriverlo"
Ma il dramma biografico finisce ben presto col passare in secondo piano. Wilde scopre un mondo tutto nuovo non tanto in prigione quanto in sè stesso. Nel dolore, aspetto fino a quel punto alieno nella sua vita, viene a contatto con sensazioni nuove, assapora ciò chegli era passato inutilmente sotto gli occhi. Emblematici sono i passi:
"(...) non avevo alcuna intenzione di mangiare il mio pane nel dolore o passare le mie notti piangendo in attesa dell'alba. Ignoravo che fosse una di quelle cose tutte speciali che il Fato mi avrebbe riservato (...) Il dolore è una rivelazione. Si scoprono cose mai prima dissepolte (...) Ora capisco che il Dolore essendo la suprema emozione di cui l'Uomo sia capace sia paragone ed archetipo di tutta la grande Arte (...) Avevo toccato la mia anima, oserei dire, nella sua ultima essenza. Ne ero stato il nemico, in molti modi, ma infine la trovai ad aspettarmi come un amico"
Ed il verso più noto:
"Li dov'è il dolore è terra benedetta"
è la scoperta della Poesia in Terra, del contatto fra l'umano e l'invisibile, contatto che esige però il passaggio sotto la volta dell'umiliazione e della perdita.
Non solo quindi una lettera, non solo una confessione ma una vera e propria elevazione dell'Uomo ad un'armonia universale, la scoperta del divino nell'umano e viceversa. Lontano da qualsiasi influenza religiosa Wilde stesso percepisce di aver toccato con mano "qualcosa" e il suo fine ultimo sarà rimanerci in contatto:
"(...) Eppure ora sono consapevole che dietro tutta questa bellezza, per quanto soddisfacente essa possa essere, si cela qualche spirito, le cui figure e forme dipinte sono solo modi della sua manifestazione, ed è con questo spirito che io desidero entrare in armonia (...) Il mistico nell'Arte, nella Vita, nella Natura, questo vado cercando"
Un libro che insegna a cogliere in noi stessi e nel mondo il significato stesso della Vita.
Voglio partire dal libro a me più caro: il De Profundis di Oscar Wilde.
L'opera consiste nella lunga lettera che l'artista scrisse, durante la detenzione nel carcere di Reading, ad Alfred Douglas, suo amante.
Si tratta di una confessione che getta luce sul lato più umano dell'autore. Il ritratto che emerge fin dalle prime pagine è infatti quello di un uomo segnato dalla delusione, logorato dalla prigionia, avvilito dalla pubblica infamia, lontano dal brillante "dandy" di salotti che tutti siamo abituati a conoscere. E' bene fare un breve accenno all'elemento biografico che fece da sfondo al testo: il marchese di Queensberry, padre del giovane amato da Wilde, attaccò lo scrittore trascinandolo fino in tribunale con l'accusa (oltremodo scandalosa per l'epoca) di sodomia. Wilde, che non era estraneo a discutibili frequentazioni, fu inevitabilmente condannato. Il 13 Novembre 1895 varcava le mura del carcere di Reading, andando incontro a 2 anni di lavori forzati.
Da qui la fine e l'inizio.
Innanzitutto la delusione per Douglas è totale. Il giovane rimane assente sia col corpo che con la penna, anzi, notizie dall'esterno riferiscono di come egli si arricchisca con le pubblicazioni non autorizzate del compagno. Ma proprio perchè la delusione è così terribilmente consapevole essa non sfocia nella rabbia, al contrario: colpisce la rassegnazione e la serenità con cui Wilde condanna la relazione ma ancor di più condanna se stesso per avervi ceduto.
Assistiamo ad un uomo privato di tutto e rinnegato da tutti che nel momento più tragico della sua esistenza per il fautore di tutto ciò ha parole di consiglio e, se vogliamo, di amore. Simbolo che la Poesia eleva, la Poesia è pace:
"(...) mi arresi a te. Moralmente fosti per me ancora più distruttivo di quanto non lo fossi stato per la mia Arte. Mi resi conto di come un'indole meno colta ti si sarebbe maggiormente convenuta. Non dico questo con animo amreggiato ma semplicemente come una constatazione da amico (...) Il vizio supremo è la superficialità, ricorda anche che tutto quanto ti rende infelice a leggerlo, ha reso me ancor pù infelice a scriverlo"
Ma il dramma biografico finisce ben presto col passare in secondo piano. Wilde scopre un mondo tutto nuovo non tanto in prigione quanto in sè stesso. Nel dolore, aspetto fino a quel punto alieno nella sua vita, viene a contatto con sensazioni nuove, assapora ciò chegli era passato inutilmente sotto gli occhi. Emblematici sono i passi:
"(...) non avevo alcuna intenzione di mangiare il mio pane nel dolore o passare le mie notti piangendo in attesa dell'alba. Ignoravo che fosse una di quelle cose tutte speciali che il Fato mi avrebbe riservato (...) Il dolore è una rivelazione. Si scoprono cose mai prima dissepolte (...) Ora capisco che il Dolore essendo la suprema emozione di cui l'Uomo sia capace sia paragone ed archetipo di tutta la grande Arte (...) Avevo toccato la mia anima, oserei dire, nella sua ultima essenza. Ne ero stato il nemico, in molti modi, ma infine la trovai ad aspettarmi come un amico"
Ed il verso più noto:
"Li dov'è il dolore è terra benedetta"
è la scoperta della Poesia in Terra, del contatto fra l'umano e l'invisibile, contatto che esige però il passaggio sotto la volta dell'umiliazione e della perdita.
Non solo quindi una lettera, non solo una confessione ma una vera e propria elevazione dell'Uomo ad un'armonia universale, la scoperta del divino nell'umano e viceversa. Lontano da qualsiasi influenza religiosa Wilde stesso percepisce di aver toccato con mano "qualcosa" e il suo fine ultimo sarà rimanerci in contatto:
"(...) Eppure ora sono consapevole che dietro tutta questa bellezza, per quanto soddisfacente essa possa essere, si cela qualche spirito, le cui figure e forme dipinte sono solo modi della sua manifestazione, ed è con questo spirito che io desidero entrare in armonia (...) Il mistico nell'Arte, nella Vita, nella Natura, questo vado cercando"
Un libro che insegna a cogliere in noi stessi e nel mondo il significato stesso della Vita.
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