Ferrari, Giorgio - Le cinque giornate di Radetzky

maurizio mos

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In tempi di ritrovata retorica risorgimentale è piacevole scorrere questo agile libretto di Ferrrari, rigorosamente basato su documenti storici originali del Comando di piazza austriaco, del governo di Vienna, della Polizia milanese e su quel "L'insurrection de Milan en 1848" pubblicato a Parigi da Carlo Cattaneo, indiscusso protagonista di quel periodo.
Si conosce così la posizione della nobiltà milanese, per la maggior parte lontana da ambizioni indipendentistiche ma semplicemente irritata per pagare più tasse di ogni altra provincia dell'impero, tasse che finivano a Vienna (quasi un "Vienna - anziché Roma - ladrona ante litteram) e la sincera ammirazione di Cattaneo per l'organizzazione dell'impero asburgico, che assicurava buone condizioni di vita a tutti (compatibilmente per l'epoca e in confronto al resto dell'Europa), la pubblica istruzione, una macchina burocratica di efficienza mai più raggiunta e una giustizia equa e rapida.
Su tutti e tutto spicca però la figura di Joseph Wenzel Radetzky, vater (papà) Radetzky come lo chiamavano i suoi soldati (che avevano per lui un vero fanatismo) e (udite udite) il popolo di Milano, che ogni sera, finito il lavoro al comando, lo vedeva tornare a casa passo passo, a piedi, senza scorta, attraversando la città. Un Radetzky abilissimo stratega, mise in difficoltà Napoleone, amato quasi come un padre da Francesco Giuseppe (che aveva servito sotto di lui), con il vizio del gioco, che quasi lo rovinò, che adorava la figlia alla quale scriveva quasi ogni settimana (era in Ungheria, moglie di un nobile magiaro) e che amava Milano, che rifiutò di far bombardare (aveva a disposizione una quarantina di cannoni) nonostante le pressioni di Vienna. E che nella sua Milano rimase anche da pensionato, amato e stimato dai milanesi
 
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