Szabó, Magda - Via Katalin

praschese89

New member
Dalle tre case di via Katalin dove vivono Irén, Blanka, Henriett e Bálint si intravede il Danubio. I quattro bambini crescono insieme nella Budapest degli anni Trenta del secolo scorso, e insieme affrontano, ormai giovani adulti, il clima di insicurezza provocato dalla guerra e dalle persecuzioni antisemitiche. Presi come sono a districare quell’ingarbugliata matassa che è l’esistenza, nessuno di loro riesce a presagire con quanta violenza e tragica arbitrarietà il destino svierà il corso delle loro vite.

Commento:
Questo è un libro meraviglioso,ma è duro e pieno di malinconia;è la storia di tre famiglie che vivendo nella stessa via,in tre case l'una attaccata all'altra,diventano un'unica essenza;i figli diventano grandi insieme,giocando e crescendo in loro profondissime amicizie e amori e prima che possano avere il tempo di rendersene conto,la guerra irrompe nel loro mondo e lo distrugge per sempre!Alcuni vengono deportati,un'altra uccisa da un soldato giovane e impaurito,un'altra abbandonata dall'amore della sua vita e tutti gli altri in via katalin sopravvivono,ma in realtà muoiono anch'essi insieme a loro!Tutto si sgretola e a guerra finita via katalin c'è ancora,ma non esiste più!Quelli che sono rimasti vivono nel ricordo di come tutto era prima del conflitto,anche il fantasma della ragazza uccisa torna a visitare via katalin...tutti insomma restano aggrappati a quel passato felice che non c'è più,incapaci di andare avanti!
La Szabò riesce a farti entrare nell'esistenza degli abitanti di via katalin e a trasmetterti ogni emozione che essi provano!
Via katalin,come ho detto all'inizio,è un libro duro e difficile da leggere,ma è sicuramente un grande romanzo!!
Da leggere!4/5
 
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francesca

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All'inizio ho trovato il libro abbastanza difficile. Non capivo niente, non riuscivo ad entrare nella storia, a capire chi erano i fantasmi, le rievocazioni, le persone vere. Continuamente dovevo rileggere la prima pagina dove c'è la lista dei personaggi per raccapezzarmi di quello che stavo leggendo.
Tanto che mi sono chiesta più volte: ma come si fa a dire che questo è un capolavoro?
Ma poi tutto è andato a posto, il mosaico si è composto ed è diventato una cosa meravigliosa.
In più punti della lettura ho provato delle emozioni fortissime, è un libro che suscita emozioni, più che riflessioni.
I personaggi sono tutti vivi, l'intreccio fra passato, presente, fra parti raccontate in prima persona da Iren e quelle raccontate in III persona, è magistrale, approfondisce ogni momento, dà spessore.
Ammetto che la II parte mi è piaciuta un po' meno, quella del dopo guerra per intendersi, l'ho trovata meno emozionante.
Bella la trovata dell'autrice che fa tornare nel mondo dei vivi una delle protagoniste, quella dalla storia più drammatica: mi è piaciuta molto, perchè permette un intreccio fra presente e passato assolutamente nuovo e inusuale.
E mi è piaciuto molto l'ultimo capitolo, in cui nelle nuove case di fronte rinasce il trio di famiglie, ma in tempi diversi, e, sì, i bambini delle nuove famiglie sono quasi la rincarnazione di quelli delle vecchie, sono Blanka, Erin, Balint e Henriett, sono e non sono loro, e non solo perchè ci sono delle piccole differenze, e i tempi sono diversi, ma perchè ormai la storia di via Katalin così come l'hanno vissuta e creata la famiglie Elkes, Birò e Held è finita ed era solo per loro.
Un gran bel libro, fra l'altro avevo letto La porta, che mi era piaciuto tantissimo, e non mi aspettavo un libro di un genere così diverso rispetto alla concretezza de La Porta. Un gran merito dell'autrice.
Voto: 4/5

Francesca
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Vorrei iniziarlo stasera, l'ho preso ieri in ebook su Ibs. La porta mi era piaciuto davvero tanto. Ripasserò :wink:.

Edit: finito. Per ora dico solo che mi aspettavo qualcosa come La porta, questo è diverso ma altrettanto appassionante, ma forse neppure tanto diverso...
 
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Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Emerenc, coprotagonista de La porta, mi resterà per sempre nel cuore, ma anche questa lettura con i suoi tanti protagonisti me la porterò dentro per un po', l'argomento è diverso, meno individuale, più collettivo, ma sempre coinvolgente.
Anche io, come fra, ho avuto qualche difficoltà iniziale per capire quali personaggi erano reali ed attuali e quali non lo erano più, però poi piano piano sono riuscita ad entrare meglio nella storia e nelle vicende narrate e mi sono fatta completamente travolgere dal loro ritmo.
E' vero che sono più le emozioni provate che le riflessioni scaturite perciò è inutile aggiungere altro e vi posso solo dire che lo consiglio a chi ama questa scrittrice ed ho già in mente il prossimo titolo di Magda da leggere :wink:.
 

Jessamine

Well-known member
Trovo sempre molto difficile parlare della scrittura di Magda Szabò, perché se da un lato si tratta di una delle mie scrittrici preferite, e quindi vorrei parlarne per ore e ore, elencando in una sorta di flusso di coscienza disordinato tutte quelle cose a cui le sue parole hanno il potere di farmi pensare, dall'altro mi rendo anche conto che il mio rapporto con la sua scrittura è piuttosto viscerale e intimistico, per cui gran parte di quello che avrei da dire parlerebbe di me, più che di lei. Oltretutto, i suoi sono libri che meritano molto più spazio di quello che hanno, dunque mi piacerebbe essere in grado di mettere insieme un commento sensato e in grado di portare attenzione a lei, e la paura di finire fuori strada è sempre tanta.
Quando guardo alla sua bibliografia, provo sempre una piccolissima fitta d'angoscia notando che i suoi libri che mi restano da leggere sono sempre meno, li sto centellinando, e mi approccio alla lettura successiva con il timore forse un po' stupido che il romanzo successivo possa deludermi. Non leggevo Magda Szabò da agosto, quando avevo uno stato d'animo abbastanza diverso e avevo divorato “Ballo in maschera” in una giornata sola, una giornata strana, in cui avevo avuto il coraggio di restare da sola e me ne stavo a combattere con il vento su una spiaggia semideserta della Camargue, avevo freddo e forse anche la febbre per colpa di un'insolazione. Avevo letto “Ballo in maschera” in una giornata a modo suo perfetta, eppure quel romanzo non mi aveva soddisfatta del tutto, non ci avevo ritrovato il respiro lento e ampio di altri capolavori della Szabò, e la delusione che ho provato è stata più simile a quella che si prova guardando un caro amico non riuscire a dare il meglio di sé. Non delusione da, ma delusione per, se mai questo può avere un senso.
Ho aperto le prime pagine di “Via Katalin” con una circospezione che ha sorpreso anche me, e mi sono ritrovata a bermi questo breve romanzo in un paio di pause pranzo. Di certo non la stessa atmosfera un po' surreale che aveva accompagnato “Ballo in maschera”, ma dopo un paio di minuti di lettura, non mi importava più.
“Via Katalin” non è un romanzo accogliente, nonostante la prosa di Magda Szabò sia sempre estremamente precisa e scorrevole. “Via Katalin” parla di un legame profondo e viscerale, parla di casa e dei rituali che solo chi fa parte della famiglia può cogliere, e così le prime pagine del romanzo non sono fatte per accogliere il lettore: è come entrare all'improvviso nella casa di una famiglia che non si conosce, è inevitabili sentirsi spaesati ed estranei, in un primo momento. Ci vuole tempo per conoscersi, e ci vuole un minimo di fiducia reciproca: per poter avere qualcosa, bisogna cedere qualcos'altro in cambio. Ma se si è disposti a faticare per qualche decina di pagine, il sollievo dato da ogni più piccolo dettaglio che va a incastrarsi perfettamente al posto giusto è a dir poco impagabile.
E subito dopo il sollievo, arriva il dolore. Quello sordo e pulsante, quello di un pugno che continua a risuonare nello stomaco anche quando la testa sembra apparentemente lontana dal romanzo.
Sarebbe estremamente semplice descrivere la trama di questo romanzo: in via Katalin vivono tre famiglie, tre famiglie che sembrano assorte in una bolla di amicizia e piccoli rituali, e tutto sembra procedere nel migliore dei modi fino a quando non arriva la guerra, che significa campi di concentramento per i dentisti ebrei e una fucilata al chiaro di luna per la loro figlia sedicenne. Si potrebbe dire che via Katalin è un romanzo sulla memoria e su che cosa voglia dire sopravvivere, ma in realtà è tutto questo e anche molto di più.
“All'improvviso si accorsero che l'invecchiare aveva disgregato quel passato che negli anni dell'infanzia e della giovinezza consideravano così compatto e solido: il Tutto era caduto a pezzi e, anche se non mancava nulla, perché quei frammenti contenevano ogni cosa successa fino a quel giorno, niente era più come prima. Lo spazio era diviso in luoghi, il tempo in momenti, gli eventi in episodi, e gli abitanti di via Katalin avevano infine capito che nelle loro vite soltanto un paio di luoghi un paio di momenti ed alcuni episodi contavano davvero. Il resto era stato un semplice riempitivo delle loro fragili esistenze, come i trucioli che si versano nelle casse prima di un lungo viaggio per impedire al contenuto di rompersi. Ormai sapevano che la differenza fra i morti e i vivi è solo qualitativa, non conta granché e sapevano anche che a ciascuno tocca un solo essere umano da invocare nell'istante della morte.”
Ne “La ballata di Iza” credevo di aver trovato uno degli approcci più sinceri e gentili a che cosa significhi invecchiare, ed è evidente quanto questo sia un tema caro alla Szabò. Tuttavia, l'approccio e la ferocia nascosta sotto una prosa sempre misurata e precisa di “Via Katalin” donano alla tematica un colore del tutto diverso.
Perché gli abitanti di via Katalin invecchiano senza mai aver superato davvero quei pochi momenti salienti della loro esistenza, e qualcosa, nelle loro vite, rimane bloccato a quei pochi attimi che qualcuno potrebbe chiamare essenza.
“Tutti gli altri volti della signora Temes - quello bagnato di lacrime, quello spaventato, vuoto, inquisitorio, vorace - oggi per me sono irreali. Allora non sapevo ancora che alcune persone muoiono parecchio prima della loro vera morte, non avevo idea che la loro ultima immagine reale rappresentasse il loro ultimo giorno reale.”
Con una giravolta stilistica in grado di dare qualche senso di vertigine, ma che in ultima analisi è forse la cosa più salda di tutto il romanzo, la Szabò dà voce proprio al personaggio di Henriett, la ragazza uccisa all'inizio del romanzo: tutto il suo riavvolgersi su sé stessa, la sua insistenza a ricostruire un presente sempre uguale e stabile in via Katalin è l'emblema più forte di tutto il tono del romanzo. I personaggi si avvolgono su loro stessi, vivono in una spirale in cui è impossibile uscire, presi come sono da un passato che sembra non poterli lasciar andare. Blanka, che osservando le onde calde del mare greco invoca la neve, il ghiaccio e via Katalin. Bàlint, che il giorno del suo matrimonio non riesce a fare altro che ridere amaramente, Irén che si aggrappa ai suoi doveri come se questo bastasse a salvarla. Tutte le loro esistenze si fermano in un unico punto, come se la loro vita non fosse mai andata oltre via Katalin, e tutto ciò che quel luogo rappresenta.
Alla fine, il personaggio più vivo dell'intero romanzo sembra essere proprio Henriett, tanto che verrebbe da domandarsi quale sia la reale differenza - e se una tale differenza possa esistere - tra i sommersi e i salvati.
Mi rendo conto di non aver rispettato nessuno dei miei buoni propositi, con questa recensione (eppure avrei ancora così tante cose da dire, eppure ho detto così poco del libro, e ho parlato così tanto di me), ma non credo di saper fare di meglio.
Di nuovo, ripensando a questo romanzo non posso fare altro che vedermi danzare davanti agli occhi delle immagini dalla forza commovente: Irén che sostiene e accompagna suo padre lungo la navata della chiesa, Blanka circondata dai suoi piccoli e numerosi Henriett, un uomo disperato che sfoglia i compiti di una bambina delle elementari sotto il busto di Cicerone.
E di nuovo, non posso fare altro che esortarvi a farvi un regalo, e a leggere Magda Szabò.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Romanzo mai scontato, mai banale, scritto in maniera superba, tanto da imprimere nella memoria sia la storia che i personaggi. La Szabò compie il miracolo dei grandi scrittori, regalare non solo il piacere della lettura ma anche una profonda riflessione su se stessi e il mondo che ti circonda.
 

Grantenca

Well-known member
Via Katalin è una strada di Budapest dove le case sono costruite su un solo lato e dalle abitazioni si vede il Danubio. In tre case adiacenti comunicanti tra loro attraverso i rispettivi giardini abitano tre famiglie medio – borghesi (hanno anche la governante). Un direttore scolastico, un militare di carriera e un dentista ebreo.
In questo contesto i figli (un maschio più grande e tre femmine in scala di età giocano insieme, litigano insieme, crescono insieme in perfetta simbiosi con l’ambiente e le persone che li circondano. Il maschio, figlio del militare, bellissimo, affascinante e intelligente a cui tutti pronosticano un futuro meraviglioso come medico, dirige tutte operazioni e le femmine sono naturalmente tutte innamorate di lui ma solo ad una, Irén, la maggiore, molto matura per la sua età e per il fatto che quasi deve far da “mamma” ad una madre che ha sempre la testa fra le nuvole e alla sorella minore (Blanka) disordinata, pasticciona, irascibile e con qualche problema di apprendimento, è consentito coltivare speranze concrete di amore, come un fatto naturale accettato da tutti, anche dall’altra bambina, la più piccola (figlia del dentista), tenera, fragile e timorosa di tutto.
In questo ambiente si vive, e partecipano anche i grandi; si fanno feste insieme per tutte le ricorrenze e addirittura il dirigente scolastico elabora rappresentazioni teatrali con tutti i bambini protagonisti.
Questo ambiente è un intero mondo, un intero universo, anche le governanti, che sembrano persone di famiglia, ne fanno parte a pieno titolo. Poi viene la guerra, che spazza via, senza pietà, persone, progetti e sogni.
Non dico altro per non privare i futuri lettori del piacere della lettura di questo bellissimo libro.
Ho trovato geniale anche il fatto che qualche parte del libro sia narrata da una persona defunta, probabilmente per sottolineare il fatto che chi è nel cuore di tutti non è mai effettivamente scomparso . Devo dire inoltre che non ho mai trovato in alcuna altra lettura chi sia riuscito a rappresentare con tanto realismo, perfezione e profondità i sentimenti degli adolescenti.
E’ vero che il nostro sommo poeta diceva che non c’è dolore maggiore che ricordarsi dei tempi felici nella disgrazia, ma è anche vero che i ricordi più belli riescono ad alleggerire il peso che il trascorrere inesorabile del tempo e i dispiaceri producono nel nostro animo.
E’ opinione ormai consolidata che ogni lettore valuta un autore anche in base al fatto che quanto racconta sia nelle sue “corde” e devo dire che questo tipo di narrativa è quella che più mi affascina e quindi potrei avere esagerato negli elogi, Purtuttavia non solo consiglio, ma esorto tutti, a leggere questo testo che per me è di serie A.
 

Grantenca

Well-known member
Leggo le considerazioni degli altri solo dopo aver posto la mia, per non restare influenzato dagli altri giudizi. E puntualmente scopro tutte le cose che non ho notato o che non ho capito!
 

Roberto89

MODerato
Membro dello Staff
Come altri prima di me condivido il fatto che il libro inizi in modo un po' confuso. La scheda dei personaggi è sicuramente utile.
La storia non è raccontata in modo né classico, né moderno. L'autrice fa leva su alcuni elementi, fra cui luoghi (in particolare la via Katalin del titolo), ricordi, date (e quindi il tempo), oggetti. È un libro che va letto tutto prima che gli si possa fare qualche domanda e aspettarsi qualche risposta, è un libro che chiede pazienza.
Sullo sfondo c'è la guerra e ci sono i ricordi, principalmente narrati da Irén, che si sviluppano lungo un arco di poco più di 30 anni.
Altro elemento chiave che ho notato è la morte e il nostro rapporto con gli oggetti e le persone che ci circondano. O meglio, solo quelle importanti, che alla fine si rivelano sempre essere davvero poche. "Le cose non rispondono agli estranei" dice l'autrice, ed è vero, perché tutto ciò che vale per noi vale per i nostri ricordi, per il valore che gli diamo, e per gli altri può essere anche solo spazzatura. Siamo noi a dare loro un senso profondo che va oltre la materia e che solo in noi può scatenare emozioni e ricordi a volte anche sopiti da tempo.
Altri due elementi chiave del libro sono un senso continuo di malinconia (o nostalgia, non saprei ben dire) e il cambio libero di punto di vista, fino ad arrivare a toccare dolcemente il surreale (evito spoiler).
Tutti questi elementi si fondono e anche molto bene nel creare una storia di cui, sono sicuro, non ho afferrato appieno il significato. Sento che c'è ancora qualcosa da scoprire e capire. Ma sicuramente è una bella lettura anche senza approfondire, se non altro per i temi filosofici e metafisici che tocca, lasciando al lettore il compito libero di approfondire, perché ognuno di noi, in fondo, ha la sua via Katalin.
 

MonicaSo

Well-known member
Bellissime le riflessioni scritte qui sopra da tutti.

Io vorrei solo dire che non conoscevo questa scrittrice ed è un'altra bellissima scoperta che ho fatto grazie a questo forum, non potrò mai smettere di ringraziare chi propone questi libri bellissimi da leggere tutti insieme.

Mi ha colpito molto la scrittura: per me il grande scrittore non è chi racconta una grande storia ma chi ha il dono di trasformare, con le sue parole, ogni vita, anche semplice, in una grande vita degna di essere raccontata. E Magda Szabó ha sicuramente questo dono.
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Mi ha colpito molto la scrittura: per me il grande scrittore non è chi racconta una grande storia ma chi ha il dono di trasformare, con le sue parole, ogni vita, anche semplice, in una grande vita degna di essere raccontata.
Interessante considerazione. Mi fa riflettere.(y)
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Forse non quanto La notte dell’uccisione del maiale, ma Via Katalin mi ha comunque conquistato e ha innalzato Magda Szabò nell'Olimpo dei miei scrittori preferiti (a questo punto non mi capacito di come il suo romanzo capolavoro, nonché il primo che ho letto, La porta, non mi abbia invece entusiasmato).

C’è più di un motivo, comunque, che mi spinge ad associare i primi due titoli: innanzitutto entrambe le storie ruotano attorno alle relazioni che uniscono più nuclei familiari. Queste relazioni non sono immediatamente chiare, anche perché il libro si apre sul finale e solo successivamente la narrazione acquista un ordine cronologico. Tuttavia questa difficoltà nel districarsi fra nomi e parentele, questa necessità di attendere che tutto si spieghi io non l'ho percepita come un peso, anzi, mi ha fatto sentire maggiormente coinvolta. D'altra parte la stessa identica cosa mi era accaduta con La notte dell'uccisione del maiale, dove i rapporti di parentela erano ancora più intricati. Fortunatamente in questo caso le relazioni fra i personaggi sono positive, di vicinanza non solo fisica (le tre famiglie protagoniste risiedono in case adiacenti nella stessa via di Budapest, affacciata sul Danubio), ma affettiva: gli Elekes, i Biro e gli Held condividono tutti gli avvenimenti più importanti della loro vita, e i rispettivi figli – le due sorelle Irèn e Blanka, Balint e la piccola Henriette, l’ultima arrivata – diventano amici inseparabili. I bambini, poi ragazzi, pur essendo molto diversi di carattere vivono in simbiosi l’uno con l’altro, in un mondo magico e protetto che appartiene solo a loro. Non che non vivano anche loro i piccoli drammi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma è come se il solo fatto di stare assieme li renda capaci di superare qualsiasi ostacolo. Siamo però alle soglie degli anni ’40 del secolo scorso: l’epoca delle leggi razziali è alle porte e cambierà la vita di ognuno di loro in modo irreversibile.

C’è poi un altro tema comune ai due romanzi ed è la morte, o per meglio dire, "i morti”: i morti non muoiono davvero, così come il passato non “passa” e il presente effettivo, reale (laddove vedremo che questo termine è più che mai ambiguo), è condannato a diventare un “altrove”. Via Katalin è quindi un romanzo di ricordi, di rievocazioni, di fantasmi... in questo senso mi ha ricordato moltissimo Menzogna e sortilegio di Elsa Morante, un'altra opera in cui i protagonisti sono “fantasmi”, ovvero figure talmente potenti da sopravvivere alla loro stessa morte, incatenando a sé i personaggi ancora in vita.

La conseguenza di questa drammatica osmosi fra passato e presente, aspettative e compimento, è che il concetto stesso di “realtà” viene messo in crisi: i personaggi del “qui e ora sono davvero più reali dei loro ricordi, resi più vivi dalla nostalgia? Se la rievocazione di un passato felice è l’unico rifugio da un presente doloroso, ci si può permettere di giudicare il secondo più reale del primo?
Alla ricerca della felicità perduta, i personaggi, ormai adulti, si costringono a interpretare ciò che sognavano da ragazzi, prima che la “realtà” distruggesse i loro sogni, e questa auto-condanna ha il sapore di una tragedia greca. Irèn, Blanka, Balint ed Henriette si illudono di poter tornare ad essere ciò che erano, ma questo non è possibile: i morti non sono morti per davvero, ho scritto prima, ma non sono nemmeno più vivi (o almeno non nelle forme a noi riconoscibili...). Bloccati quindi nell’impossibilità di riportare in vita il passato, così come di vivere il presente, i personaggi di questo romanzo sono vere figure tragiche, potenti e tragiche.

Sempre più mi convinco che la Szabò abbia il potere di trasformare in capolavoro tutto ciò che tocca con la sua penna, e questo romanzo ne è sicuramente una conferma.
Bellissimo.
 
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