Lermontov, Michail Jur'eviĉ - Un eroe del nostro tempo

ayuthaya

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Wow... ero convinta che fosse già presente, e invece tocca a me l’onore di aprire la discussione su quest'opera breve ma di grandissimo interesse!
Più che un romanzo unitario, l'opera è articolata in cinque storie (Bela- Maksim Maksimyć- Tamàn’- La principessina Mary- Il fatalista) incentrate sulla figura cupa e affascinante di Peĉόrin, ufficiale russo in servizio nel Caucaso. La cosa più interessante dal punto di vista stilistico è il mutarsi continuo dell’io narrante, che si avvicina progressivamente all’oggetto narrato fino a identificarsi con esso (Peĉόrin si racconta in prima persona attraverso le pagine di un diario). Questo modo di procedere suscita in noi che leggiamo un interesse sempre maggiore: quanto più ci avviciniamo al protagonista, tanto più ci sentiamo attratti da lui, desiderosi di comprendere la sua anima.
Riporto da Wikipedia non la trama completa, ma una sintesi di poche righe:

"La storia del protagonista è quella di un uomo dai buoni sentimenti, che la società e il destino hanno in qualche modo deformato e alla fine in lui prevalgono lo scetticismo e una visione pessimistica della vita che si tramutano in uno spirito di vendetta, su innocenti e colpevoli."

In realtà, non sono del tutto d’accordo con quanto scritto: non credo infatti che il personaggio ritratto da Lermontov sia un “buono degenerato”, così come non credo che alla fine egli diventi intenzionalmente “cattivo”. Anzi, credo che l'autore non si sia neanche posto il problema di giudicare (o di far giudicare a noi) la natura morale del protagonista; ciò che gli interessa non è tanto l’interiorità di Peĉόrin fine a se stessa, quanto il suo rapporto con gli altri personaggi, sui quali sembra esercitare un forte ascendente. Che si tratti di pseudo-amici (come Maksim Maksimyć o il dottor Wèrner), nemici dichiarati (Gruŝnìckij), donne amate (Vera o Bela) o oggetti di un cinico divertimento (la principessina Mary), il protagonista si pone nei confronti degli altri quasi fossero “burattini” nelle sue mani.
Come ci riesce? Perchè lo fa? La risposta potrebbe essere la medesima: perchè lui non si interessa veramente di niente e di nessuno, forse neanche di se stesso: non ama, non odia davvero, le passioni nella sua vita hanno lasciato il posto a una fredda razionalità.
Lui stesso ammette che a guidare le sue azioni è la noia (un termine che usa spesso a “giustificazione” della propria condotta) e che in lui esiste un doppio “io”: uno che vive e uno che guarda e giudica. É questo “secondo io” l'autore di alcune lucide riflessioni che costituiscono le pagine più belle del romanzo: con uno stile asciutto, limpido e assolutamente privo di qualsiasi forma di retorica o autocommiserazione, il protagonista analizza se stesso, cercando invano le ragioni del proprio comportamento, e finisce persino per credersi schiavo di una sorta di “fatalismo al rovescio”, che lo costringe a essere lo strumento crudele e risolutivo dei destini altrui. Queste pagine, di grande introspezione, trovano spazio all’interno della storia La principessina Mary, vero “cuore” del romanzo, ma sono in qualche modo anticipate dal discorso che l'ufficiale fa a Maksim Maksimyć in Bela: “la mia anima è stata rovinata dal gran mondo, ho un’immaginazione irrequieta, un cuore insaziabile; nulla mi soddisfa: mi abituo con altrettanta facilità alla tristezza che al piacere, e di giorno in giorno la mia vita diventa sempre più vuota.”
Trovo che questi passaggi, nei quali il protagonista si "confessa" a un estraneo, siano molto interessanti. A un certo punto, rivolgendosi alla principessina nel corso del suo ipocrita corteggiamento, Peĉόrin descrive se stesso come un uomo originariamente “buono” che l'incomprensione degli altri e una serie di circostanze hanno trasformato in una persona priva di sentimenti e di scrupoli (interpretazione sulla quale, come ho scritto sopra, ho qualche riserva). Bè, la mia personale impressione è che persino qui, laddove sembra che il protagonista ceda a un sincero slancio emotivo, persista comunque un intento velatamente canzonatorio. Leggendo questa confessione così ardente (sembra quasi l’invocazione disperata di chi voglia essere finalmente compreso) rivolta a una fanciulla di cui dichiaratamente poco gli importa, risulta difficile capire se si tratti di una vera apertura del cuore o piuttosto di un ennesimo tentativo di soddisfare il proprio orgoglio, dominando i sentimenti altrui.
Quale che sia la “verità”, alla fine credo che sia proprio l’ambiguità della natura di Peĉόrin, che non viene mai del tutto spiegata o dissolta, a renderlo un personaggio così affascinante e attuale, un “eroe” non solo del “suo” tempo, ma anche del “nostro”.
Consigliatissimo!
 
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ayuthaya

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PS non c'è niente da fare... non ho il dono della sintesi!!! :( :boh: :ad:
 

Yamanaka

Space's Skeleton
Molto interessante!
Di quest'autore conosco solo il demone, un autentico capolavoro, un poema drammatico e intenso che consiglio vivamente.
Da come hai descritto l'opera nella tua ottima recensione, sembrano riecheggiare i temi cari a Turgenev, Dostojewsky e compagnia bella. Mi ispira e credo lo leggerò. Grazie per il tuo lavoro :)
 

Des Esseintes

Balivo di Averoigne
Lieto tu l'abbia apprezzato tanto Ayu!! La parte del duplice corteggiamento m'è piaciuta n sacco, mi sono segnato diverse constatazioni e riflessioni! :D
Invece nella parte iniziale, quella con Maksim M. alla "locanda", ci sono un paio di pagine in cui il rapporto col servo m'ha ricordato il medesimo intercorrente tra Oblomov ed il suo maggiordomo (Zachar) ;)
 

praschese89

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Difficile aggiungere qualcosa all'ottima presentazione fatta da Ayuthaya!
Questo libro ha davvero un fascino particolare,proprio come il suo protagonista.
Pecorin è un uomo con un grande istinto ed una personalità talmente forte da piegare a se le volontà altrui,grazie a giochetti psicologici di una bassezza e spietatezza spiazzanti;la vita in società e avvenimenti casuali lo hanno reso privo di sentimenti positivi e incapace di legarsi a persone,anche a quelle che dimostrano un affetto sincero nei suoi confronti come Maksimyc;il punto è che,all'interno del libro,noi non veniamo direttamente a conoscenza di tutto il suo passato ed è proprio questo fatto che ci attrae;come ha già ben detto Ayuthaya è la sua ambiguità che porta il lettore ad una difficile comprensione del suo animo e della sua onestà;lettore che sente di volersi fidare di lui,ma che non ci riesce fino in fondo!
Lermontov è stata veramente una grande scoperta e Pecorin un personaggio dalla complessità affascinante.
Lettura consigliatissima!

Inserisco qualche citazione dal libro:

Il male genera il male; la prima sofferenza risveglia l'idea di quanto sia piacevole tormentare gli altri; l'idea del male non può penetrare nella mente dell'uomo senza che egli non senta il desiderio di applicarla.

Le passioni non sono altro che idee nella loro prima forma di sviluppo: appartengono alla giovinezza del cuore, ed è sciocco colui che crede di poter essere tormentato a causa loro per tutta la vita; molti placidi fiumi hanno origine da fragorose cascate, ma nessuno corre a precipizio e spumeggia fino al mare. Ma questa calma è spesso indizio di grande forza, sebbene nascosta; la pienezza e la profondità dei pensieri non ammette profondi impeti.

L'anima, godendo e soffrendo, si rende perfettamente conto di tutto e si persuade di ciò che deve essere; l'anima sa che, senza tempeste, l'incessante calura del sole finirebbe per inaridirla; essa si compenetra della sua propria vita, accarezza e punisce se stessa come il bimbo prediletto.

Amo i nemici, sebbene non in modo cristiano. Essi mi procurano dello svago, mi agitano il sangue. Stare sempre in guardia, afferrare ogni sguardo, il significato di ogni parola, indovinare le intenzioni, mandare all'aria i complotti, fingersi ingannato e poi d'un colpo rovesciare tutto l'immenso e complicato edificio di astuzie e trame, ecco ciò che io chiamo vivere.

Mi piace dubitare di ogni cosa: questa disposizione di spirito non toglie risolutezza al carattere, anzi, quanto a me, mi sento più coraggioso proprio quando non so quel che mi aspetta.
 
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fabiog

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Un romanzo decisamente di grande interesse e coinvolgimento soprattutto per il personaggio che viene descritto, Pecorin, un " eroe " che mi sembra costruito molto sul modello degli eroi romantici byroniani.
Pecorin si muove in una società che fondalmentalmente disprezza così come nelle pagine del suo diario mostra spesso di disprezzare sè stesso, le pagine del diario sono forse tra le più belle del libro, soprattutto le confessioni che Pecorin fa su di sè, su come sia diventato. Il problema che si ha però con Pecorin mentre lo si legge, o almeno quello che io ho avuto mentre lo leggevo, è quello di aver a che fare con un uomo profondamente immaturo ed incompleto.
Pecorin si rende conto delle azioni negative che compie ( il rapimento di Bela, il sedurre la principessa Mary ), ma non cerca mai di porvi rimedio, nelle sue confessioni critica profondamente sè stesso, ma mai cerca di correggersi, mai cerca di interrompere la serie di disgrazie che compie. Pecorin si diverte esclusivamente a distruggere quello che altri vogliono semplicemente perchè non li sopporta e li disprezza , la noia che lo pervade la vince solo rovinando qualcun altro.
Nonostante questo lato negativo Pecorin è un personaggio che affascina, di cui si cerca di capirn il tomento, un uomo estremamente moderno che non riesce a trovare il suo posto in una società di cui , con mezzi dubbi, si diverte svelarne le debolezza e le ipocrisie
 

elisa

Motherator
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dal gdl

Ecco, l'ho finito e la prima cosa che mi viene in mente a caldo è che il romanzo è veramente innovativo e ha dato il via al romanzo russo psicologico di altissimo livello. Come tutte le innovazioni è allo stato di diamante grezzo per cui non completo come lo saranno poi i romanzi di Dostoevskij o Tolstoj ma ha in sè tutto quello che poi verra sviluppato nel futuro dai grandi scrittori russi. Anche la struttura è innovativa e complessa mettendo insieme tante modalità di racconto, rendendolo quindi variato e a diversi livelli di coinvolgimento da parte del lettore. La materia di cui si parla poi è incandescente, fuoco vivo, insomma la realtà sviscerata davanti ai nostri occhi con eleganza. Il personaggio è "un eroe" senza retorica, molto ironico già dal titolo perché rappresenta tante sfaccettature creando un personaggio moderno, ambiguo e contraddittorio. Per chi ama la letteratura russa è imprescindibile.
 

Spilla

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Copio la mia recensione per il GdL:
A mio parere, questo libro trasmette un'idea di incompiutezza e frammentarietà. Ho avuto la sensazione che si tratti di un'esercitazione di stile, sia pure di altissimo livello, più che di un'opera compiuta. Certamente l'autore anticipa l'attenzione all'introspezione che sarà poi la cifra distintiva della grande letteratura russa, perciò il libro è assolutamente da leggere. Ma non ci si libera dall'impressione che sia tutto troppo costruito a tavolino: i diversi piani narrativi (di volta in volta abbandonati), i rapporti tra personaggi, che devono assolutamente rispondere alla "tesi" dell'autore (ossia che Pecorin sia del tutto incapace di abbandoni spontanei o di gioie comuni), le donne del racconto, che inevitabilmente soccombono al fascino del giovane protagonista. Insomma, bello, ma non del tutto convincente.
 

pitchblack

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Mi è piaciuto molto. Lermontov vuole essere un demistificatore, un maestro del sospetto. Nella prefazione precisa di volere smascherare e mettere in ridicolo i vizi di un' intera generazione. Si guarda bene dal proporre una cura, ma riesce in maniera lucida e caustica a mettere a nudo i vizi dell'umanità, un' umanità malata, che ha bisogno di medicine amare. Una denuncia sottile, irriverente, impietosa, volutamente irritante. La parola "eroe" non ha il significato che tutti comunemente gli diamo, ma diventa sinonimo di spregievole, abietto, cinico, disincantato, cartina di tornasole dei vizi degli uomini. Ciascuno di noi è eroe del proprio tempo nella misura in cui è portatore dei vizi dell'umanità. E' una colossale presa in giro, un clamoroso paradosso: il lettore rimane affascinato da un personaggio così immorale, è indotto ad avere misericordia di un uomo così malvagio. Eppure in questo dipinto c'è anche lo stesso Lermontov. Più precisamente compare la sua venatura romantica.
La cosa che mi ha colpito ancora di più sta in una riflessione chiave di Pecorin, il quale si interroga sul senso perduto del nostro peregrinare sulla terra, senza orgoglio, nè convinzioni, incapaci di essere felici e tormentati dall'inevitabile fine. Una riflessione con esiti novecenteschi.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Non ricordo più il motivo per cui non partecipai al GdL quando vinse questo romanzo breve, ma l'importante è che poi ho rimediato e sono riuscita lo stesso a leggerlo il mese scorso.
Questo personaggio ambiguo ma interessante, "eroe" sui generis, ci intrattiene con i suoi racconti attraverso i quali è facile perdersi (almeno lo è stato per me) al punto che non si sa più se credergli o se pensare che sia solo un fanfarone. Nonostante ciò ho gradito farmi affabulare dalle sue storie, spesso ho cercato di prendere le sue difese e di comprendere e giustificare le sue scelte.

Sono diventato un invalido morale; metà della mia anima non esisteva più, si era disseccata, era evaporata, morta,
l'avevo amputata e gettata via, mentre l'altra palpitava e viveva a capriccio di chiunque, senza che nessuno si accorgesse
di ciò perché nessuno sapeva dell'esistenza dell'altra metà perita. Voi però ora avete risvegliato in me il ricordo di essa e
io vi ho letto il suo epitaffio.

Io amo dubitare di tutto: questa disposizione della mente non è d'impaccio alla risolutezza del carattere, al
contrario; per quanto mi concerne vado avanti più arditamente quando ignoro che cosa mi attende. Nulla, infatti, può
accadere di peggiore della morte, e la morte non si può evitare!
:ad:
 

MadLuke

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Un precursore del nichilismo

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“L’eroe del nostro tempo” è l’esemplare precursore dell’uomo moderno che avrebbe profetizzato Nietsche pochi anni dopo la pubblicazione di questo romanzo. Dotato di indubbio talento ma che ben si guarda dal coltivare alcuna virtù, perché non riconosce alcun valore in alcuna tradizione dell’umano agire. L’amore, l’amicizia, l’amor di patria o l’attaccamento all’uniforme sono tutti campi in cui si applica con modestissimo impegno. Perfino gli eccessi della vita mondana di Pietroburgo non sono in grado di attrarlo completamente, perché qualsiasi cosa infine gli viene a noia.
Questo tratto caratteristico del protagonista sfocia poi in un mal celato desiderio di morte, l’unica possibilità a mio avviso nella quale questi non riesce a riporre almeno una flebile speranza. Sia perché segna inevitabilmente la fine degli affanni terreni, sia perché in qualche modo rimanda i pensieri dell’autore alle riflessioni sugli astri nel cielo, il cui significato è sconosciuto come lo è quello della vita, ma nel quale, come nella loro eterna presenza, il protagonista rimette qualunque possibilità di disegno divino, di destino per gli uomini. Ciò che poi pare demotivare il protagonista, e forse anche l’autore, considerati i tratti autobiografici dell’opera ben riassunti nella sua poesia citata da Nabokov in postfazione, è la constatazione di quanto gli uomini siano talmente distratti dalle urgenze terrene, dall’aver pure smesso di porsi le domande più importanti, così da relegare gli uomini già smarriti finanche nella solitudine.
Alla luce delle suddette considerazioni che mi sono sorte leggendo questo romanzo, l’opera appare quindi estremamente meritevole di attenzione, eppure i diversi eventi che vengono narrati, condensati in un numero di pagine tutto sommato ridotto, trovo siano andati a discapito dell’approfondimento psicologico dei personaggi, con eccezione appunto del protagonista. Peraltro proprio Pecorin, Vera e Mary mi paiono essere i semi da cui Tolstoj, considerato l’erede di Lermontov, avrebbe poi fatto germinare con ben altro spessore i personaggi di Vronskj, Kitty e la celebre Anna Karenina nel suo omonimo romanzo.
Una straordinaria opera che avrebbe necessitato tuttavia di maggiore spazio e approfondimento per diventare un capolavoro della letteratura russa e internazionale.
 

chiar_di_luna

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Giovane e triste

Purtroppo Mikhail Yurevich ha lasciato presto questo mondo. Ma nella sua breve vita ha riuscito a creare i veri capolavori ed a lasciare gli impronti storici. Nella programma scolastica russa ai miei tempi i suoi lavori erano fondamentali per studio di literatura ma dirrei anche che non è tanto faccile da capire ai ragazzini.
Leggendolo la persona matura sicuramente scoprirà la bellezza della storia dell'uomo a cognome Peciorin che non trova il suo posto in questo mondo. Buttandosi nei guai senza pensarci ma da un altro lato è un filosofo e psicologo forte.
Intanto si trovano le cose identici nella vita del personaggio del libro e del autore. E quindi consiglio il libro da leggere assolutamente anche perchè il suo stile di scrivere è molto ricco. Lermontov amava la natura e per i lettori viaggiatori è una bellissima presentazione delle terre di Caucaso, la gente del sud, con suo carattere particulare con suoi relazioni con i russi. (A proposito, scusate per l'ortografia e grammatica)
 

estersable88

dreamer member
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Riporto la sinossi dell'edizione Marcos y Marcos del 2017 (intitolata "Un eroe dei nostri tempi"), che mi sembra degna di interesse:

“C’è un piacere sconfinato nel possesso di un’anima giovane, appena schiusasi alla vita. È come un fiorellino il cui aroma migliore si volatilizza all’incontro col primo raggio di sole; bisogna reciderlo in quel momento, e, dopo averlo odorato a sazietà, buttarlo; qualcuno forse lo raccoglierà.”
Pečorin è uno scienziato nella scienza della vita; è abilissimo a farsi amare, ma il suo cuore resta vuoto. Non prova un briciolo d’amore, per la principessa che ha sedotto per capriccio, anzi peggio, per umiliare un amico; e anche la splendida selvaggia che gli ha fatto assaporare qualche brivido lo lascia presto insoddisfatto. Persino Vera, l’unica che forse ha amato veramente, non è altro che un’ombra, per lui, il conforto di una scintilla. La sua sete è insaziabile, vuole tutto e non gli basta mai; le sofferenze e le felicità degli altri contano solo in rapporto a lui. Prima lo vediamo da lontano, nel racconto di un viaggiatore incontrato per caso; si avvicina quando appare al narratore durante una tappa del viaggio. Pečorin ha un aspetto insieme fragile e forte, quella bellezza strana che piace alle donne. La sua biancheria è di una pulizia accecante, ma i suoi occhi non ridono quando ride lui. Arriviamo poi a sentire la sua voce, la sua inquietudine, nelle pagine dei suoi diari. Eppure resta sempre inafferrabile: una domanda senza risposta, una malattia senza cura, una provocazione bruciante. La letteratura è piena di personaggi malvagi; perché allora proprio l’immoralità di Pečorin dà tanto fastidio? ci chiede Lermontov. Forse perché è un ritratto fedele dell’uomo contemporaneo? Perché c’è in lui più verità di quanto vorremmo? Quasi due secoli dopo, i ‘vizi’ di Pečorin sono più attuali che mai. L’immagine di El’ Lisickij, suggerita da Paolo Nori per la copertina, pone la domanda frontale: E tu?



Il mio commento:
Quella qui sopra, più che una sinossi è una vera e propria analisi del romanzo – peraltro molto bella – perciò per parlarvi di quest'opera mi limiterò alle mie pure e semplici impressioni.
"Un eroe dei nostri tempi", o "del nostro tempo", è un'opera particolare perché ci narra le vicissitudini di un uomo, Grigorij Aleksandrovic Pecorin, da più punti di vista incluso il suo, ma più d'ogni altra cosa, ci racconta la sua psiche. Interessantissima per capire quest'opera è la prefazione in cui lo stesso Lermontov scrive che "Un Eroe dei Nostri Tempi, signori miei cari, è proprio un ritratto, ma non di una persona: è un ritratto dei vizi di tutta la nostra generazione nel pieno del loro sviluppo. Mi direte ancora che un uomo non può essere così malvagio, e io vi dirò: se avete creduto alla possibilità dell’esistenza di tutti gli scellerati tragici e romantici, perché non credete alla realtà di Pecorin? Se avete ammirato invenzioni molto più orribili e mostruose, perché questo carattere, nemmeno come invenzione, incontra la vostra misericordia? Non sarà forse perché c’è in lui più verità di quanto vi sareste augurati?". Ed infatti, per quanto beceri, meschini e gretti, i comportamenti di quest'uomo ci appaiono plausibili. All'inizio finanche ci sconvolgono perché, pur avendone visto tanto, fatichiamo a spiegarci, ad arrenderci a tanto sadismo gratuito, ma man mano che procediamo nella lettura, ci viene quasi più facile addentrarci nella mentalità distorta di Pecorin. E sebbene non sia consolante, ci risolviamo anche noi a dar per buona la spiegazione che ci fornisce lo stesso Lermontov: "Agli uomini han dato fin troppi dolciumi; il loro stomaco si è guastato: servono medicine amare, verità irritanti. Non pensiate, tuttavia, dopo quel che precede, che l’autore di questo libro abbia mai cullato il fiero sogno di farsi correttore dei vizi dell’umanità. Dio lo salvi da questa ingenuità! Si è semplicemente divertito a dipingere l’uomo contemporaneo così come lo comprende e, per sua e per vostra sfortuna, troppo spesso l’ha incontrato. Sarà allora così, che la malattia è stata individuata, ma come curarla lo sa soltanto Dio". Ed infatti l'autore non assolve né giudica Pecorin (semmai è solo lui stesso a giudicarsi e assolversi), né ammonisce noi dal diventare come lui… ci pone solo dinanzi a fatti, avvenimenti, interpretazioni diverse degli stessi. Starà a noi poi trarre le nostre conclusioni. Quanto a me, un'ultima osservazione: questo è il classico libro in cui per formulare un giudizio, è necessario operare una distinzione. Di certo non mi piace Pecorin, ma il libro in sé, invece, l'ho apprezzato molto.
 
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