Faulkner, William - Le palme selvagge

pigreco

Mathematician Member
Dal risvolto di copertina:

"Due storie narrate a capitoli alterni e che mai s’intersecano: quella dei due amanti che fuggono dalla società per chiudersi nel loro rapporto esclusivo e che nel tentativo d’interrompere una gravidanza finiscono con l’autodistruggersi; e quella del detenuto che durante la grande inondazione del Mississippi viene mandato in cerca di una partoriente aggrappata a un albero semisommerso, la trova, fa nascere il bambino, porta entrambi in salvo e poi, invece di darsi alla fuga, rientra nella monastica società del penitenziario. Estraneo a qualsiasi genere conosciuto, Le palme selvagge non ha mai cessato di suscitare interrogativi. Si tratta di due racconti autonomi, intercalati per una qualche audace trovata? Di due racconti sotterraneamente legati? O di un romanzo, ancorché anomalo? Interrogativi ai quali ha fornito una risposta definitiva Kundera: «La Sonata opera 111 [di Beethoven] mi fa pensare a Palme selvagge di Faulkner, in cui si alternano un racconto d’amore e la storia di un evaso, due soggetti che non hanno nulla in comune, non un personaggio, e neanche una qualunque percettibile affinità di motivi o di temi: una composizione che non può servire da modello a nessun altro romanziere, che può esistere una volta e basta, che è arbitraria, non raccomandabile, ingiustificabile – ed è ingiustificabile perché dietro di essa si avverte un es muß sein che rende superflua ogni giustificazione». Le palme selvagge è apparso per la prima volta nel 1939."

Breve commento personale:

Un romanzo potente come uno schiaffo su una guancia. "L'urlo e il furore" era strutturato in modo che ogni personaggio raccontasse sostanzialmente la stessa storia dal suo punto di vista mentre qui si tratta di due storie che procedono parallelamente senza un apparente punto comune. In realtà di punti comuni (o meglio opposti) ce ne sono diversi che non svelerò per non sciupare la sorpresa della trama a nessuno. Sembra che in realtà Faulkner avesse scritto uno dei due racconti del romanzo in contrapposizione al primo... Periodi talvolta lunghissimi intervallati solo da qualche virgola, ma una forza narrativa di rara potenza e bellezza. Pur non essendo un libro di immediato apprezzamento e di facilissima lettura mi sento di consigliarlo a tutti nella speranza che piaccia come è piaciuto a me.
 

francesca

Well-known member
Faulkner scrisse Palme selvagge nel 1939: il libro è composto da due racconti ben distinti; il primo è Palme selvagge che dà appunto il titolo al libro e narra la relazione travagliata di due amanti nell’America degli anni ’30; nel secondo, “Il vecchio”, l’autore racconta l’improbabile storia di un detenuto che durante un’inondazione del Mississippi viene mandato a salvare una donna incinta rimasta intrappolata su un albero e inizia con lei un lunghissimo viaggio attraverso il mondo sommerso dall’acqua.
Come si ha modo di leggere in qualunque recensione, una delle cose che colpisce durante la lettura è la mancanza apparente di punti in comune dei due racconti, che di per sé non sarebbe così singolare, se non fosse che il libro è un alternarsi di capitoli dell’uno e dell’altro. Questa scelta in effetti pone degli interrogativi. Si capisce che non può essere solo per creare suspance o tensione narrativa, perché entrambi i racconti non sono racconti di azione, ma racconti introspettivi e psicologici.
Ma per quanto mi riguarda l’autore ha fallito il suo intento, perché non ha generato in me nessuna curisosità particolare nel dare una risposta a questo quesito, ma solo il desiderio di finire al più presto il libro, appartenendo io a quella schiera dannata di lettori che finiscono sempre i libri.
All’inizio sono rimasta entusiasta e colpita dallo stile, lussureggiante, come un vino speziatissimo, avvolgente. Ma alla lunga, ho trovato la narrazione noiosa in entrambi i racconti, ne Il vecchio più che in Palme selvagge.
L’infarcitura di metafore “barocche” mi è risultata indigesta e spesso anche incomprensibile.
Leggo a giro per il web recensioni varie che commentano la difficoltà dello stile di Faulkner dicendo che è uno stile pesante per un lettore superficiale e disattento, mentre è musica per le orecchie allenate. Mah, può essere, ma quando leggo cose del tipo:
“Ero fuori dal tempo. Ero ancora aggrappato a esso e ne ero sostenuto nello spazio come lo siamo stati fin da quando è sorto un non-io che doveva mutarsi in io, e come sarà fino a quando non avverrà la fine del non-io per mezzo della quale soltanto saremo potuti esistere –questa è l’immortalità- era il tempo che mi sosteneva, ecco tutto, mi adagiavo sopra, non-conduttore, come il passero isolato dalle sue zampe non-conduttrici è sostenuto dalla linea ad alta tensione, la corrente che passa attraverso il ricordo, che esiste solamente in rapporto a quel poco di realtà (ho imparato anche questo) che noi conosciamo, altrimenti il tempo non esiste.”
Questo è solo un esempio, perché il libro è pieno di riflessioni di questo tipo, non solo difficili da seguire da un punto di vista lessicale, ma anche difficili da capire.
Inoltre le metafore come quella del passero nel discorso che ho citato, oppure altre, (per esempio a proposito del remo che il forzato usa per pagaiare ad un certo punto per indicare che non era finito si legge la metafora: “come qualcosa che i castori prendono dai vecchi camini”. Perché i castori rubano le cose dai camini?), insomma queste metefore a me non piacciono in generale, le trovo forzatissime.
Comunque sicuramente un libro che mi ha colpito e mi imposto nella fatica di capire il senso profondo di quello che stavo leggendo, riflessioni coinvolgenti e non banali.
Il racconto “Palme selvagge” secondo me finisce con quella che è una delle più belle frasi d’amore che abbia mai letto in un libro, che non riporto però perché estrapolata dal contesto non rende molto.

Alla fine un libro che non consiglierei, anche se non mi ha tolto il desiderio di leggere qualcos’altro di Faulkner per capire se in altri suoi romanzi questo suo stile così particolare ha dato risultati migliori.

Francesca
 

ayuthaya

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Mi sento un po’ combattuta nel commentare questo romanzo, opera di uno dei miei autori preferiti. Fino a questo momento Faulkner mi aveva abituato a uno stile difficile, difficilissimo, ma per quanto mi riguarda assolutamente magnetico, folgorante. Mentre morivo e L’urlo e il furore non sono stati due romanzi, ma due esperienze sconvolgenti, due fulmini a ciel sereno, oserei dire. Con Una rosa per Emily, breve raccolta di soli tre racconti, ho scoperto che Faulkner è Faulkner anche senza mettere a così dura prova i suoi lettori come nei due citati capolavori.
Con Le palme selvagge ho conosciuto un altro Faulkner ancora, ugualmente complesso ed enigmatico, dallo stile decisamente più “abbordabile”, ma che in alcuni punti mi ha fatto “trascinare" la lettura più che se stessi affrontando un compito più arduo.

Come si è già letto, il romanzo si articola nell’alternarsi di due storie, con nessuna apparente connessione fra l’una e l’altra se non l’ossimoro “bambino non voluto e non nato”/ “bambino da far nascere a tutti i costi, nonostante il contesto calamitoso”. Se negli altri romanzi da me letti il linguaggio era “tecnicamente” ostico, qui non è così, lo stile non presenta particolari difficoltà, ma molte descrizioni sono difficili da seguire (in particolare quelle relative all’inondazione del Mississipi del 1927) e, come dicevo, rallentano un po’ il ritmo narrativo: di fatto la “trama”, da un certo punto in poi e per gran parte del romanzo, è poca cosa, e in questo specifico caso a volte pesa. Detto questo, la scrittura di Faulkner resta magnetica: a chi lo ama lo consiglierei senz’altro; un po’ meno, forse, a chi non ha letto nulla di lui e rischia di restare un po’ spiazzato, come scrive Francesca.

(DA QUI BLANDI SPOILER) Fatta questa premessa sullo stile, però, mi piacerebbe spendere qualche parole sul contenuto di questo romanzo, che non è così facilmente individuabile appunto perché passa attraverso due canali diversi, due storie che, oltre a quanto già scritto, secondo me hanno un altro e più profondo punto in comune: il tentativo (che, neanche a dirlo, si rivelerà fallimentare), da parte dei protagonisti, di uscire dalla società così come essa è convenzionalmente strutturata. Questo tentativo disperato è raccontato in due modi opposti: da una parte la coppia di amanti che cerca volutamente di sottrarsi a qualsiasi ordine prestabilito, a qualsiasi cosa possa inquinare la loro passione... Magnifico il passaggio in cui "lui" condivide con un amico la propria “rivelazione”, in un profluvio inarrestabile di parole:

La Rispettabilità. É lei la causa. Ho scoperto che è l’ozio che coltiva tutte le nostre virtù, le nostre qualità più sopportabili: la contemplazione, l’equanimità, la pigrizia, il lasciare in pace la gente; la buona digestione mentale e fisica: la saggezza di concentrarsi nei piaceri materiali dei quali non v’è nulla di meglio, nulla di altrettanto bello, nulla a questo mondo se non vivere per il breve tempo in cui si ha in prestito la vita, se non esser vivi e saperlo. Ma è solo da poco che ne ho tratto la conclusione logica, e ho visto chiaramente che è qualcuna delle cosiddette virtù principali – la frugalità, l’operosità, l’indipendenza – ad alimentare tutti i vizi: il fanatismo, l’autocompiacimento, l’indiscrezione, la paura e, peggio di tutto, la rispettabilità.

Bè, non c’è che dire... un punto di vista molto particolare, lo sforzo timido e allo stesso tempo sovrumano di rompere gli schemi, di cercarsi un rifugio in cui ridefinire la propria esistenza senza chiedere nulla in cambio. Eppure, sappiamo bene, questo non è possibile: c’è sempre un conto da pagare. Ci sarà per i protagonisti della prima storia, i due amanti disperati, e ci sarà per il protagonista della seconda storia, l’evaso suo malgrado, il cui tentativo di “uscire dalla società” non è cercato, nè voluto, e diventerà una beffa.
Due modi diversi, insomma, di (cercare di) sfuggire alla morsa infernale della “gabbia della Rispettabilità”, i cui esiti gettano uno sguardo un po’ cupo sul destino di questa pretesa libertà, ma che non tolgono nulla alla poesia (perché con Faulkner, a parte le riserve già accennate, è sempre ruvida poesia) di queste pagine.
 
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alessandra

Lunatic Mod
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Spoiler

La penna di Faulkner è inconfondibile, sebbene questo romanzo dimostri che scrive storie molto diverse tra loro e, volendo, anche con uno stile differente. Rispetto a L’urlo e il furore e Mentre morivo questo libro è scritto con un linguaggio e una forma meno sperimentale, ma senz’altro più comprensibile nell’immediato. Due storie parallele apparentemente del tutto slegate - e questo si scopre solo nell’ultima pagina, quando ancora ci si aspetta di vedere svelato un filo conduttore che in realtà non esiste - ma è davvero così? Nella prima il giovane medico, suo malgrado, interviene sul corpo della compagna, con conseguenze drammatiche; nel secondo un detenuto che sfida una situazione climatica, e non solo, disastrosa pur di far sì che una donna sconosciuta metta al mondo un figlio. Cosa voleva dirci, Faulkner? La compagna del medico abbandona, con dolore pur se convinta, le figlie per amore e poi convince il compagno a liberarsi del bimbo in arrivo. Essere madre per lei è stata una sofferenza, e non vuole che la cosa si ripeta. La donna dell’altra storia, al contrario, vuole quel figlio a tutti i costi. Non so se l’autore intendesse parlare di questo, però io ho visto in questo libro una riflessione profonda sulle diverse sfaccettature dell’amore materno e sui diversi modi di affrontare la maternità/paternità, sia da parte delle donne che da parte degli uomini, e da parte di persone che vivono in un contesto sociale e culturale completamente diverso. Considerando che l’ha scritto un uomo e che l’ha scritto all’inizio del 900, direi che è decisamente innovativo: l’autore non è mai giudice e sembra accompagnare con rispetto e comprensione le scelte anche scomode - e anche opposte - dei personaggi, come sempre tratteggiati con sapienza e originalità. Mancano gli “esperimenti” soliti di Faulkner - salti spaziali e temporali continui e privi di segni di riconoscimento, coralità delle voci, non sempre riconoscibili -; la sperimentazione qui sta proprio nel “mischiare” due storie completamente differenti e senza alcun collegamento concreto. Il tutto espresso con la prosa lirica e l’espressività tipica dell’autore, fatta di flussi di pensieri e di parole, sempre quelle giuste, che cadono lievi come la prima pioggerellina d’autunno e insieme squassano l’anima come lame di vetro.
 
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