Yalom, Irvin - Il problema Spinoza

Dallolio

New member
Questo è il terzo romanzo dell'autore con un filosofo come protagonista; questa volta è il turno di Spinoza, la cui vita viene analizzata in parallelo con quella del nazista Rosemberg, facendo ruotare tutta la vicenda sul tormento del gelido nazista per il "problema Spinoza".
Per chiarire cosa tormenta Rosemberg bisogna risalire alla sua adolescenza quando venne rimproverato per alcuni suoi atteggiamenti antisemiti dal preside ebreo Epstein; per potersi diplomare il Nostro sarà costretto a studiare alcuni brani di Goethe dove viene esaltato Spinoza e la sua profondità; il problema nasce da questo, in quanto Spinoza era un ebreo e per tutta la vita Rosemberg cercherà di comprendere come un ebreo potesse essere stato teoreticamente rilevante per Goethe.

Nella parte del romanzo dedicata a Spinoza invece, il filosofo è costretto a confrontare il proprio pensiero con l'emotività, la passione e il concetto di comunità, mostrando al lettore il proprio lato umano pur nell'alta rivendicazione di un ruolo superiore della cultura e della ragione.

Questo romanzo è un grande capolavoro sia dal punto di vista narrativo che dal punto di vista teoretico.
Voto: 10/10
 

bouvard

Well-known member
Questo libro non è un thriller, ma tiene incollati alle sue pagine più di un thriller, cosa davvero sorprendente se si considera che parla di filosofia e religione. Cosa lega il Filosofo Baruch Spinoza ed il teorico del nazismo Alfred Rosenberg? Apparentemente nulla. Invece Yalom prendendo spunto dalla confisca della biblioteca di Spinoza ad opera dei nazisti crea una storia che pur non essendo vera, potrebbe, come egli stesso dice, benissimo esserlo.
Sembra strano, quasi assurdo, accostare queste due figure - Spinoza e Rosenberg – perché sono l’uno l’antitesi dell’altro: da una parte il filosofo che sopra ogni cosa ha esaltato la Ragione, ed il diritto per ogni uomo di pensare con la propria testa - anche a costo di andare contro le tradizioni della propria religione, qualora in esse si scorgessero errori o superstizioni - e dall’altra l’uomo che ha contribuito alla nascita di un regime politico che negava alle persone il diritto di pensare con la propria testa e che, per le atrocità commesse, della Ragione ha rappresentato proprio la negazione.
“Sia maledetto Baruch Spinoza di giorno, e sia maledetto di notte. Sia maledetto quando si corica e sia maledetto quando si alza. Sia maledetto quando esce e sia maledetto quando rientra. Il Signore non lo risparmierà, ma poi l’ira del Signore e la sua collera si poseranno su di lui, e il Signore cancellerà il suo nome da sotto il cielo (…) Noi ordiniamo che nessuno comunichi con Baruch Spinoza, né per iscritto né accordandogli alcun favore, né stando con lui sotto lo stesso tetto né in sua vicinanza per almeno quattro cubiti, e che nessuno legga alcun trattato da lui composto o scritto”.
Questo è una parte del testo del cherem (scomunica) con cui Spinoza venne allontanato da ogni comunità ebraica per tutta la vita, a causa della sua convinzione che ogni uomo dovesse interrogarsi criticamente sulla validità dei testi religiosi – Bibbia compresa – prima di accettarli. Io mi chiedo come sia possibile che degli uomini possano, in nome della Fede, pronunciare simili parole di odio verso un altro uomo. Il Dio della Bibbia – per quel poco che ho letto – è vendicativo e talvolta spietato, ma è anche il Dio che ha fermato la mano di Abramo, allora perché gli uomini che agiscono in suo nome non mostrano mai la stessa pietà, apparendo più spietati di Dio stesso? Quello che traspare da questo libro è che la religione non è quasi mai scevra da interessi terreni, per cui la foga, la violenza con cui talvolta se ne difendono alcune idee, principi, non trovano giustificazione nella religione stessa, o nella salvezza spirituale dei credenti, ma unicamente nei suoi interessi materiali. Queste sono alcune delle ipocrisie e falsità della religione contro cui Spinoza ha lottato anche a costo di rimanere solo per tutta la vita.
Una cosa che non condivido del libro è il fatto che quando si parla delle possibili soluzioni, valutate dai nazisti, per il problema degli ebrei in Europa, si parla solo della possibilità di relegarli in qualche angolo del mondo, ma non si fa minimamente cenno ai campi di sterminio. Capisco che questo serva a giustificare la difesa tentata poi da Rosenberg durante il Processo di Norimberga di non essere a conoscenza dell’esistenza di questi campi, ma visto che nei capitoli a lui dedicati, Rosenberg non parla in prima persona, ma è l’autore a raccontare i fatti avrei trovato quanto meno doveroso, fosse anche solo per onestà storica, farvi cenno.
 
Ultima modifica:

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Un’altra bella prova per un autore che mi aveva già convinto con un romanzo che resta (per me) tuttora insuperato, Le lacrime di Nietsche.
Ancora una volta due personaggi reali, storici, qui appartenenti a due diversi mondi ed epoche, con nessun apparente punto di contatto fra loro: il filosofo ebreo olandese Bento Spinoza (XVII secolo) e il teorico nazista Alfred Rosenberg; ancora una volta un intreccio inventato, necessariamente virtuale (dato l’evidente “salto” temporale), ma verosimile. Ancora una volta, al centro degli interessi di Yalom, psichiatra prima che scrittore, esplorare la mente dell’uomo e in particolare, appunto, di alcuni personaggi realmente esistiti che, in un modo o nell’altro, hanno cambiato le sorti della storia e dell’umanità.

Le ragioni che mi hanno tenuto incollata, per poco più di una settimana, alle oltre 400 pagine di questo romanzo sono diverse: prime fra tutte la trama indubbiamente avvincente. La sola (ri)scoperta della vita e del pensiero di Spinoza – in una forma chiaramente molto più romanzata e accattivante, ma non per questo priva di fondamento, anzi – è stata una vera rivelazione: non si può non restare conquistati da quest’uomo che in un’epoca e in una condizione (quella di ebreo, quindi per certi versi ancora più soggetto rispetto ad altri a un sistema rigido, dogmatico e a volte dominato dalla superstizione) decisamente difficili, ha avuto il coraggio di affermare il valore della razionalità al di sopra di qualsiasi imposizione politica e religiosa. Una lezione difficile allora (che infatti gli è costata la perdita della propria identità di ebreo e delle relazioni con la propria comunità) e difficile ancora oggi, in un’epoca che crediamo votata alla libertà e alla “ragione” e che invece ci vede (tutti, non solo determinati popoli e culture) schiavi dei nostri pregiudizi e delle nostre passioni.
In particolare, Spinoza – probabilmente proprio a causa delle sue origini – si è scagliato con grande fermezza contro l’ebraismo e, idealmente, contro qualsiasi religione che ingabbi e inganni l’uomo impedendogli di usare la propria testa alla ricerca della verità. Ho apprezzato molto tutto questo sebbene, come credente, sia stato difficile per me accettare totalmente la radicalità delle sue posizioni (soprattutto rispetto alla natura della mia fede, quella cattolica, che secondo me presenta delle differenze sostanziali, ma mi fermo qui o rischierei di andare off topic!). Allo stesso tempo, però, non credo che il valore e l’interesse di questo romanzo si esauriscano nell’indubbia forza della filosofia spinoziana.

Continuo volutamente a tralasciare tutto il capitolo “Rosenberg” (e la pur brillante e interessantissima analisi psichica della sua vita, che costituisce l’altra metà del romanzo, altrettanto affascinante e ricca di spunti) per concentrarmi sul filosofo olandese. Dicevo che l’apporto di Spinoza nella storia della filosofia e del pensiero occidentale sono innegabili, io stessa non ne ricordavo la portata e i risvolti, e per più metà di romanzo mi sono chiesta per quale motivo, nonostante siano trascorsi quasi quattro secoli (ma molti di più, se pensiamo al suo “maestro” Epicuro), non riusciamo ancora a fare nostri i concetti di ataraxia – libertà dalle passioni –, di ricerca e identificazione della felicità con qualcosa di immutabile ed eterno (non necessariamente Dio, se non quando si identifica in Lui la Natura intera), di fiducia nella forza della propria mente e della propria innata capacità di discernimento... per poi rendermi conto che neppure la “ragione” invocata dal grande filosofo spiega tutto.
Una prima percezione di ciò l'ho avuta fin dall’inizio, quando Spinoza espone la sua teoria del determinismo, un qualcosa contro cui quasi istintivamente mi sono ribellata, io che (come tutti, ma ancora di più per carattere) sono pensiero e istinto, razionalità (o almeno ci provo!) ma anche tanta, tanta irrazionalità.
Andando avanti nella lettura, ho trovato nel romanzo stesso una sorta di conferma: la presa di coscienza di questa irriducibile dualità si afferma come una componente, se non fondamentale, comunque importante.
Ci farà i conti lo stesso Bento nel corso della sua vita; la rappresenta, in pagine che a mio avviso sono fra le più belle del libro, il suo amico-confidente inventato, Franco (l’unico personaggio, concordo con alcuni recensionisti, che per il suo intuito, la sua intelligenza, la sua maturità – benchè non abbia avuto lo stesso coraggio del suo esimio mentore di sfidare l’ordine costituito – risulta leggermente anacronistico e poco credibile; in lui, nel suo tentativo di conciliare, persino cedendo al "compromesso" una mente libera e una vita “rispettabile”, mi sono totalmente identificata); la dimostra, purtroppo, la lucida follia di Rosenberg, che pur non capacitandosi del “problema Spinoza” soccombe alla propria “malattia” con i risultati catastrofici che tutti conosciamo.

Be’, devo ammettere che se fin oltre metà romanzo, per quanto mi stesse piacendo ho avuto qualche piccola riserva, non tanto sullo stile e il ritmo narrativo – impeccabili –, ma su una certa “univocità” di messaggio (una critica, pur corretta, a qualsiasi dottrina e sistema imposti dall’alto), verso la fine mi è sembrato di ritrovare lo Yalom de Le lacrime di Nietsche (che, ripeto, personalmente considero un romanzo ancora più riuscito): complesso, per certi versi irrisolto, ma vero, intenso, completo.

Consigliatissimo. :wink:
 
Ultima modifica:

Trillo

Active member
Da un lato Bento Spinoza, il suo pensiero e le sue vicende gravitanti attorno alla sua scomunica dalla comunità ebraica a cui apparteneva; dall'altro Alfred Rosenberg, l'ideologo nazista della superiorità della razza ariana e della sua purezza da preservare contro le contaminazioni ebraiche; al centro il cosiddetto problema Spinoza, ossia il motivo incomprensibile (per i nazisti come Rosenberg), che ha spinto una delle più alte espressioni della razza germanica come Goethe ad apprezzare ed esaltare le idee di un uomo come Spinoza, che in quanto ebreo apparteneva ad una razza inferiore.

Se Il problema Spinoza fosse stato il mio primo approccio con Yalom, probabilmente ne sarei rimasto entusiasta. Avendo però già avuto modo di conoscere e apprezzare questo autore in altre opere, mi sono sentito insoddisfatto durante tutta la lettura. Sicuramente lo stile, i contenuti, il tipo di protagonisti e dei dialoghi de Il problema Spinoza sono in qualche modo già familiari per chi ha letto altri romanzi di Yalom, e ciò forse potrebbe avermi impedito di essere avvinto da questo romanzo. Credo però che questo non sia il reale motivo della mia insoddisfazione. Sono invece più incline a pensare che la scelta di basare un romanzo sulle storie di due figure realmente esistite, all'interno del loro ben definito contesto temporale sempre specificato e in progressione, seppur romanzandole con alcuni elementi di fantasia, abbia comportato dei vincoli che hanno lasciato poco spazio all'inventiva dell'autore e alla possibilità di sviluppo di temi, personaggi e situazioni.

Così, il nazista Rosenberg, di cui seguiamo le vicende dagli anni della scuola fino alla sua morte, non può che rimanere fermo nelle sue illazioni sulla razza e sugli ebrei, nella sua ossessione dalla figura di Hitler e dal bisogno continuo di approvazione e riconoscimento da parte del fuhrer. La figura del dottor Pfister, personaggio di fantasia con cui si immagina che Rosenberg occasionalmente si confidi, non può quindi risultare così incisiva da poter cambiare né l'atteggiamento mentale di Rosenberg verso Hitler, né soprattutto da riuscire (almeno) a toccare la questione razziale, che resta sempre una strada fallimentare non appena si accenni ad imboccarla, e verso la quale restano impensati e intentati strategie e processi alternativi per eludere le resistenze in gioco.

I vincoli storici che il romanzo si pone impediscono cioè all'autore di dare vita ad una relazione profonda tra i due personaggi che sia in grado di scavare a fondo in loro stessi, nei processi in gioco e in quelli potenziali da indagare, nelle questioni tanto razionali che irrazionali, e quindi di cambiare sia i loro atteggiamenti mentali che le loro azioni pratiche, al punto che le possibili direzioni che possono prendere i loro rari incontri rimangono sempre inesplorate.

Sporadici, brevi e inefficaci sulle questioni importanti risultano allo stesso modo anche gli incontri tra Spinoza e il suo amico Franco (storicamente fittizio). Pur ammirandosi reciprocamente, ognuno procede per la propria direzione nella sua vita senza mai essere sostanzialmente influenzato dall'altro, al punto che il loro rapporto intellettuale sembra per lo più soltanto di curiosità reciproca dei loro pensieri, oltre che un'occasione per mettere alla prova le proprie credenze.

Pfister e Franco, i personaggi principali con cui interagiscono i due protagonisti della storia (Rosenberg e Spinoza), sembrano quindi unicamente funzionali a dar voce al pensiero e al carattere dei rispettivi interlocutori, non avendo i necessari presupposti per riuscire mai veramente né a portarli ad un cambiamento, né ad esserne cambiati.
Nella sostanziale staticità dei personaggi, il romanzo mi è sembrato spesso anche ridondante con certi temi e situazioni che vengono ripresi ma senza a mio parere portare a niente di nuovo o di rilevante per gli sviluppi della storia.
Sfrondato da quella complessità di relazioni, meccanismi e indagini che caratterizzano invece altri romanzi di Yalom, Il problema Spinoza mi è sembrato a volte troppo didascalico nel ripercorrere i temi del pensiero spinoziano, e alcuni suoi dialoghi mi sono parsi innaturali (quelli tra Spinoza e Franco in particolar modo), per quanto in fin dei conti il romanzo risulti sicuramente istruttivo.

Non è sicuramente facile scrivere un romanzo di questo tipo, ed è evidente ed ammirevole il lavoro di studio, di ricerca, e di ricostruzione del pensiero e dei fatti storici che c'è dietro la scrittura di questo libro, oltre all'abilità dell'autore di aprire un squarcio nell'interiorità dei personaggi che fosse quanto più possibile rispondente ai loro tratti di personalità che sono giunti a noi.

Tuttavia, per quanto Il problema Spinoza sia un buon libro, istruttivo e scritto in modo sapiente, mi aspettavo qualcosa che andasse al di là della mera divulgazione filosofica e storica e del tentativo di rappresentare la sfera interiore dei protagonisti, sviluppando quel tipo di dinamiche, analisi, ricerca, indagine a cui l'autore mi aveva abituato nei suoi romanzi precedenti che ho letto.
 
Alto