Un libro intenso e bellissimo che mi ha fatto riappacificare con Marai, dopo la delusione che mi aveva suscitato la lettura de Le braci, considerato unanimemente il suo capolavoro.
Questo romanzo non è sicuramente facile, nè privo di difetti (il più grande, a parer mio, è la prolissità), per cui le mie non sono solo lodi, eppure mi è piaciuto, sento che mi è arrivato dentro, che mi ha lasciato qualcosa.
La quarta di copertina mi aveva intrigato;: un racconto a più voci (e già qui, un punto a favore), in cui ogni personaggio racconta la stessa storia dal suo punto di vista, ed è una storia di passioni, un triangolo amoroso se vogliamo. Ma se siete alla ricerca di un romanzo sentimentale, cambiate libro: non vi è nulla di più lontano. Marai ci parla di desiderio, sì, dell’amore, ma anche dell’illusione di questo amore, della disillusione che ne deriva, della progressiva consapevolezza della propria incolmabile solitudine e, alla fine, del dovere di non tradire se stessi, soprattutto di fronte alla morte.
Torno un po’ indietro... Prima parte: una donna racconta a un’amica di quando era sposata a un uomo, un borghese molto benestante e colto, e di come, nonostante tutti i suoi sforzi, non sia riuscita a conquistare il suo cuore. La donna è una piccolo borghese (un livello inferiore, quindi, sebbene le differenze siano sottili) e guarda il marito con un’ammirazione che sfiora l’idolatria: lo pone su un piedistallo talmente alto, da non riuscire probabilmente ad amarlo davvero e, soprattutto, a farsi amare da lui. L’uomo, infatti, che da giovane si era irrazionalmente innamorato di una popolana, serva in casa dei suoi genitori, a un certo punto della sua vita sente il richiamo di questa donna, che su di lui ha conservato un fortissimo ascendente, divorzia e la sposa.
Seconda parte: è l’uomo, questa volta, a confessare a un amico la storia della propria vita. Come fin da piccolo si sia sentito investito della responsabilità di conservare la cultura della propria “classe” e allo stesso tempo abbia sentito forte, dentro di sè, il desiderio di rivoltarsi commettendo una “follia” agli occhi del mondo: unirsi a una donna estremente più in basso di lui nella scala sociale. Ci riuscirà apparentemente, la sposerà, ma nel momento stesso in cui la prenderà in moglie, si renderà conto di averla persa. Anzi, di non averla mai avuta.
Terza parte: a raccontare la sua versione, adesso, è questa fatidica donna, di umilissimi origini, ma dotata di grande orgoglio, sobrietà, perseveranza. Sarà proprio la sua capacità di attendere pazientemente il momento giusto a farle ottenere ciò che vuole: non tanto la mera ricchezza, quanto una rivalsa nei confronti del “sistema”.
Quarta parte: l’ultimo a parlare è l’amante della donna, che nella sua semplicità e pochezza culturale è forse l’unico a capirla davvero o almeno a intuire la sua lotta interiore, condividendo con lei lo stesso rango.
A questo punto risulta chiaro che tutte le relazioni umane e amorose che ci vengono presentate sono talmente tanto intrecciate ai rapporti sociali, economici, culturali, da non potersene distinguere. È proprio questa complessità a trasformare un potenziale “romanzo rosa” in un’opera di profondo spessore, che analizza tutti gli aspetti della vita di una persona: la famiglia, la classe sociale, la coscienza del proprio ruolo e il desiderio insopprimibile di ribellarsi a questo stesso ruolo, per seguire il proprio istinto e la propria individualità, l’incapacità o forse l’impossibilità di riuscirci. Questi aspetti acquistano tanto più significato se caliamo la vicenda nel suo contesto storico: il periodo immediatamente precedente alla fine della guerra che ha segnato, di fatto, la fine della borghesia in quanto tale.
D’altra parte sarei ingiusta verso Marai se parlassi solo di rapporti fra classe sociali. Questo libro è una bellissima riflessione sul bisogno di amare e di essere amati, sulla difficoltà di imparare a stare da soli (per prepararsi alla morte ma anche, a volte, per godere della vita) e, soprattutto, sull’esistenza della “persona giusta”. Chi è la persona “giusta”? Esiste una persona “giusta”? Se pensiamo a questa donna, o a quest’uomo, come l’unico essere in grado di darci la felicità, sicuramente no.
“Non esiste nè in terra nè in cielo nè da nessun’altra parte, puoi starne certa. Esistono soltanto le persone, e in ognuna c’è un pizzico di quella giusta, ma in nessuna c’è tutto quello che ci aspettiamo e speriamo. Nessuna racchiude in sè tutto questo, e non esiste quella certa figura, l’unica, la meravigliosa, la sola che potrà darci la felicità.”
Queste sono le parole della prima moglie e non so se in esse, proprio all’inizio del romanzo, Marai abbia affidato la propria visione, però io credo che si tratti di una verità molto bella, che non sminuisce l’amore (neanche quello a lieto fine), ma anzi lo valorizza. E che, anche se abbiamo accanto la persona più perfetta del mondo, la felicità dipende solo da noi e la coscienza di questa responsabilità che abbiamo nei confronti di noi stessi sia tutt’altro che scontata.