Premessa: questo commento contiene spoiler. Mi scuso in anticipo per la lunghezza del post, ma questo racconto mi è piaciuto talmente tanto che non sono riuscito a trattenermi.
Non avrei mai creduto che un libro come questo, senza una vera e propria trama ma intessuto con un semplice susseguirsi di immagini e di pensieri che accompagnano una normale passeggiata, potesse rivelarsi così splendido ed entrarmi nel cuore. Pagine di pura poesia si dispiegano in questo breve racconto, in una passeggiata che mai avrei potuto immaginare così ricca di sentimento, di accorate esortazioni, di pensieri nobili e sublimi, che vanno intrecciandosi in modo tanto naturale a scene e momenti di normale vita quotidiana. Una passeggiata che non si svolge solo fra strade, boschi e uffici di un tranquillo paese di inizio Novecento, ma anche fra i vicoli del mondo interiore dell'autore, che con delicatezza ci accompagna nei meandri della sua anima con questo canto apparentemente leggero e spensierato, ma in realtà molto profondo e malinconico.
"In un bel canto si concentra e si condensa sempre un'esperienza, un sentimento, un agglomerato esplosivo di energia di vita oppressa e di animo commosso."
Con questa frase si potrebbe esprimere bene ciò che questo racconto racchiude in sé, potrebbe essere stata scritta da qualcuno appositamente a tale scopo, e invece si tratta di alcune delle parole di cui Walser fa dono alla fanciulla cantante incontrata per caso durante il suo cammino, per complimentarsi con lei. Sì, perché le parole che lo scrittore caldamente rivolge a persone sconosciute, o i pensieri che gli sovvengono a seguito di un incontro inaspettato o di una particolare visione sembrano spesso svelare proprio qualcosa del suo mondo interiore. Tutto ciò però lo si comprende solo nel finale, al termine della passeggiata che, rivelandoci la solitudine e la tristezza del viandante-scrittore, trasporta la mente indietro nel racconto per conferire pieno significato a quanto in precedenza apparso solo come un fugace pensiero in quel flusso di parole e riflessioni che accompagnano il suo vagabondare.
Ne sono un ulteriore esempio i pensieri che gli balzano in mente sul senzatetto Tomzak dopo averlo incrociato per strada, che a posteriori sembrano proprio parlare di sé:
"Dai suoi occhi brillava l'angoscia di mondi sepolti e di mondi eccelsi, e un dolore inesprimibile parlava da ogni stanco, flaccido gesto. [...] E mi sembrava pure che dovesse vivere eternamente, per essere eternamente non vivo. Moriva ogni momento, eppure non riusciva a morire."
Proprio come per Tomzak, anche gli occhi di Walser, pur sognando mondi eccelsi nel suo girovagare, nascondono dei mondi ormai sepolti ma che non smettono di esalare fumi dolorosi di azioni passate di cui lui sommessamente si pente chiedendo intimamente perdono agli uomini così come in fondo anche a se stesso, con il rimpianto forse più grande di aver lasciato andare il suo grande amore senza comunicarle il reale sentimento che nutriva per lei. E seppur in modo diverso, anche Walser come Tomzak muore ogni momento, pur non riuscendo a morire.
"Cerca di passartela per il meglio" mormora Walser fra sé, rivolgendosi idealmente a quel Tomzak ma indirettamente a se stesso, schivando senza indugio il senzatetto, quel riflesso della sua condizione che lui va rifuggendo per lasciarsi completamente inondare dagli attimi di intensa felicità che si schiudono nella contemplazione della vita e della bellezza del mondo.
Ed è forse proprio perché ha imparato su se stesso l'amara lezione della vita, che ora non si lascia trattenere dal rivolgere a persone sconosciute le parole belle e sincere che gli sgorgano dal cuore, e che esorta noi lettori a preservare e a lasciar fiorire tutto ciò che è espressione di bellezza, ogni senso di onestà, ogni forma di talento e sentimento puro. Sono tante le occasioni in cui Walser ci parla di queste preziose qualità da custodire e coltivare, così come si sente forte l'impegno dello scrittore nell'invitarci a combattere i "distruttori del bello", ogni marchio di egoismo, vanità, avidità, ogni peccato "contro lo spirito del bello e del degno".
"Al diavolo la miserabile frenesia di voler apparire più di quel che si è! È un'autentica catastrofe. Cose come queste diffondono sul mondo pericoli di guerra, morte, miseria, odio e vilipendio, e impongono a tutto ciò che esiste una deprecanda maschera di cattiveria, di egoismo abominevole".
Parole forti come quelle proferite in questi casi si alternano a pensieri dolci e sublimi e a faccende di vita quotidiana in un equilibrio perfetto, il tutto con uno stile sempre molto ricercato e affascinante, per poterci forse trasmettere la forza e l'assoluta necessità del bello e del puro, così da poter come lui esclamare "com'è bella la bellezza, come può affascinare il fascino", e renderci forse uomini migliori.
Il finale, con la passeggiata che giunge al termine, è di una bellezza disarmante nella sua infinita tristezza, con una fusione di pensieri, visioni ed elementi naturali che fanno rimbombare fortemente in lui quella "nota grave" che gli riempie il cuore di tristezza e che lui aveva cercato di coprire con la dolce melodia della sua passeggiata.
Concludo con un'ultima osservazione. A fine libro, dopo la nota del traduttore, c'è scritto che Walser ci ha lasciati durante una delle sue passeggiate solitarie. In questo accadimento si può vedere quasi l'avverarsi dell'augurio che l'autore rivolge a se stesso attraversando il bosco durante la passeggiata immortalata in questo racconto:
"Tutt'a un tratto mi invase un indicibile sentimento dell'universo, e insieme, strettamente unito, un fiotto di gratitudine prorompente con forza dall'anima lieta. [...] Suoni di un mondo primordiale giungevano, provenienti chissà da dove, al mio orecchio. Così sarei contento anch'io di morire, se così dev'essere. Un ricordo mi ravviverà ancora nella morte, una gioia mi allieterà nella tomba: un atto di grazie per quanto goduto e il gaudio per l'atto di grazie. [...] Giacere qui discretamente sepolto nella fresca terra silvestre, oh, sarebbe dolce! Sentire e gustare da morto anche la stessa morte! [...] Forse potrei udire sopra di me gli uccelli cantare e gli alberi stormire. Ecco quel che mi auguro".
Spero che Walser possa aver davvero provato queste sensazioni nel suo momento fatale, e lo ringrazio per questo piccolo, splendido racconto con le parole che lui rivolge alla giovane cantante:
"Bisogna dirlo: lei è veramente un essere che per sua natura è portato a cantare, che solo quando incomincia a cantare sembra riuscire a vivere e a godere la vita, convogliando ogni slancio e forza vitale nella sua arte a tal punto che tutto quanto ha un significato umano e individuale, ogni pienezza d'animo e d'intelletto, si sublima in qualcosa di più alto, in un ideale".