In questo racconto breve, Verne lascia da parte per un momento gli scenari esotici delle sue avventure di capitani e viaggiatori, anzi lascia da parte proprio l’avventura per ritrarre un quadretto di vita in un luogo che meno avventuroso non potrebbe essere: il villaggio di Quiquendone, nelle Fiandre dell’800, dove la vita scorre immobile da centinaia di anni e nulla sembra poter mai turbare la vita serena dei suoi pacifici abitanti, tutti assorti nell’interpretare la parte che il loro ruolo sociale richiede: il saggio borgomastro e la sua docile figlia, il meditativo consigliere e la casta zitella, il commissario di polizia che non ha mai arrestato nessuno e così via. Finché in paese giunge uno strano scienziato, il dottor Ox che, con il suo assistente, si offre di sperimentare gratuitamente, e proprio a Quiquendone, un innovativo sistema di illuminazione a gas. I tubi del gas sono stati quasi completamente istallati, quando in paese la gente comincia a comportarsi in modo strano: i pacifici abitanti divengono sempre meno pacifici, scoppiano risse e antichi dissapori riemergono, amori sbocciano tra i giovani e passioni sconvenienti tra i più attempati. A tal punto che le cose sembrano in procinto di sfuggire di mano persino al misterioso dottor Ox ... Il racconto, scritto con leggerezza e ironia, sembra nient’altro che un divertissement. Eppure la data di pubblicazione, il 1871, in pieno boom industriale, autorizza a credere che con questa “favola” Verne abbia voluto interrogarsi su un tema oggi in gran voga: la scienza e i suoi limiti.