Jackson, Shirley - Abbiamo sempre vissuto nel castello

nici

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Dalla copertina:
"A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce"; con questa dedica si apre "L'incendiaria" di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo "La lotteria". Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai 'cattivi', ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.

Non è un vero libro dell'orrore, piuttosto una storia inquietante. Sembra sempre che debba succedere qualcosa da un momento all'altro, il tutto è permeato da una base di follia. Si racconta di gente strana facendo apparire tutto così normale che a volte pensi di aver sbagliato a leggere! Tutta la storia è narrata da punto di vista di Merricat Blackwood, gli altri personaggi sono pochi, ma molto particolari...compreso il gatto Jonas, sempre presente e silenzioso, ma più eloquente di mille parole!
Mi è un pò dispiaciuto per il finale inconcludente...ma forse ci sono rimasta male perchè le mie aspettative erano diverse. Tutto sommato però è un buon libro.
 

darida

Well-known member
Lo stile è scorrevole e incuriosisce l'approccio iniziale, poi si entra nel "vivo" della storia e ci si perde in una dose abbondante di noia e ripetizioni irritanti . Qualche guizzo verso la fine,mi riferisco alla rivolta del paese e alla successiva ammenda. Questo genere di storie gotico-horror secondo me ha il preciso dovere di infondere ansia a chi legge, quando questo non avviene, be', direi che un obiettivo importante è mancato.
Senza infamia e senza lode :)
 

Yamanaka

Space's Skeleton
Dell'autrice avevo letto il molto bello l'orrore di Hill House, un romanzo molto sottile e contorto, molto concentrato sull'aspetto psicologico.
Avevo sentito dire che abbiamo sempre vissuto nel castello fosse il suo lavoro più maturo, ma a giudicare dai vostri commenti non è così...
 

Jessamine

Well-known member
Se da questo libro cercate terrore, mostruosità, paura esagerata (temo che il fatto che Stephen King consideri Shirley Jackson come maestra e fonte d’ispirazione abbia generato non poche aspettative fuorvianti), be’, probabilmente resterete delusi. Shirley Jackson ha, a mio parere, pochissimo a che fare con le atmosfere di King. La paura che serpeggia in questo libriccino è qualcosa di estremamente più sottile, sta sospesa fra le pagine e la mente del lettore, ha ben poco a che vedere con gli avvenimenti narrati. A ben pensarci, non si potrebbe nemmeno considerare questo romanzo un romanzo horror, perché non lo è. “Abbiamo sempre vissuto nel castello” è una favola seducente e perturbante, che con toni sommessi – quasi una vocina di bambino, cantilenante e ammaliante – si trasforma in un sogno distorto e disturbante.
Non sono tanto gli avvenimenti narrati ad inquietare il lettore, perché a dire il vero in queste duecento pagine non succede granché, ma sono piuttosto le atmosfere claustrofobiche e dirstorte a tenere il lettore incollato alle pagine, incapace di smettere di leggere e bisognoso di conoscere quello che verrà dopo, nonostante non avvenga quasi mai nulla. E in effetti questa mancanza di colpi di scena, di conclusioni, di raggiungimento di un acme di tensione che sfoci in qualche cosa potrebbe risultare irritante: nelle prime pagine infatti il romanzo è molto accattivante, e sembra porre tutte le premesse per una storia ricca di colpi di scena e rivelazioni spiazzanti; nel proseguire, però, questa tensione si trasforma in un continuo temere che qualche cosa possa accadere, senza mai sfociare in uno stravolgimento vero e proprio. Ma non è questo il vero punto focale del romanzo, non è questo che interessa alla Jackson: il punto fondamentale di tuttto il romanzo è piuttosto l’irrespirabile atmosfera malata e sinistramente venata di follia che aleggia sui (pochi) personaggi principali. La voce narrante è infatti quella di Mary Katherine, la “Marricat, sciocchina”, una diciottenne che sembra rimasta intrappolata nella mente di una ragazzina di dodici anni, che vive con la sorella Constance e lo zio in una imponente dimora che sembra essere cristallizzata e sospesa nel tempo da sei anni, dalla sera cioè in cui tutti gli altri membri della famiglia persero la vita a causa dell’arsenico mescolato allo zucchero. Le abitudini, i rituali, la ripetizione dei gesti quotidiani verranno ad assumere tinte sempre più inquietanti e parossistiche, fino ad un epilogo che, pur lasciando irrisolte molte domande, pur non risolvendo moltissime questioni, finisce col risultare come la chiusura di un cerchio. O meglio, più che un cerchio, la struttura di “Abbiamo sempre vissuto nel castello” assomiglia molto di più a quella di una spirale, che parte da lontano, accarezza dei temi, assume dei toni e via via comincia a stringersi, ad aumentare la tensione, a ripetersi in maniera sempre più angusta, strozzata, soffocante.
Non è un romanzo che toglie il sonno la notte, nonostante le premesse sembrerebbero portare in quella direzione, ma è piuttosto un romanzo che conduce a brividi sommessi, a scene che inevitabilmente resteranno impresse, a riflessioni sulla natura umana e sulla malvagità.
Ho trovato meravigliose le pagine in cui si descrivono le diverse reazioni degli abitanti del paese, qualcosa che davvero non mi sarei aspettata.
Shirley Jackson è stata una scoperta inaspettata, solitamente non leggo quasi mai romanzi di questo genere, e devo dire che lei ha rappresentato qualcosa di inconsueto ma senza dubbio piacevole.
 

Nefertari

Active member
Curiosità e inquietudine mi hanno accompagnata per tutta la lettura. Ero continuamente stimolata a proseguire pagina dopo pagina perchè attendevo sempre un possibile colpo di scena o comunque qualche comportamento strano da parte di una delle due sorelle - che però non è arrivato - magari nei confronti del cugino che ho mal sopportato. Il finale mi è piaciuto molto, mi ha sorpreso e non me lo aspettavo proprio come lo ha pensato l'autrice.
 
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