V Concorso Letterario di Forumlibri----> I racconti

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GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
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Ecco i racconti partecipanti al V Concorso interno che aveva per tema comune l'autunno o qualsiasi argomento ad esso correlato.
Questi sono i 7 titoli in gara:

1)L'alba d'autunno di Mofos4ever
2)Nonno va a funghi ogni anno di Alexyr
3)Un lungo autunno di Dory
4)31 ottobre di Hotwireless
5)Lo Stormo di Francesca
6)Un bell'autunno di Mauriziomos
7)Parole in autunno... di ClaudiaLL

Buona lettura a tutti!
 
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GermanoDalcielo

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L'Alba d'autunno

Ero da alcune ore nel mio letto cercando di addormentarmi, ma non vi riuscivo, a causa dei pensieri che occupavano la mia mente, nonostante avessi trascorso una faticosa giornata di lavoro. Trovando nello stare lì ad aspettare qualche cosa che sapevo, a mio malincuore non sarebbe avvenuto, come i bambini che la notte della vigilia si nascondono per scoprire Babbo Natale, decisi di alzarmi e uscire per una passeggiata e respirare la pura aria fresca del mattino presto, quando è ancora buio. Presi la mia giacca preferita che avevo appoggiato sulla sedia la sera prima, e mi recai verso l’uscita di casa, ma delicatamente, per il timore di disturbare il sonno di mia sorella. Appena misi il naso fuori dalla porta, sentii di aver scoperto qualche cosa che non avevo mai notato prima, qualche cosa di insolito. Mi accorsi infatti che era giunto l’autunno! Era miracolosamente arrivato sino a qui! In codesto villaggio sconosciuto, purtroppo, a molti.

Il paesaggio circostante aveva assunto un aspetto incantato e suggestivo, come se una piccola fata di questa stagione avesse diffuso la sua magia. Le foglie degli alberi erano di ogni colore, con tinte che variavano dal rosso, al giallo, all’arancione, e di ogni loro sfumatura. Alcune, pochissime, volavano trasportate dal vento, creando delle specie di vortici, e parevano bambini che giocano ad inseguirsi; altre, sempre una minoranza, giacevano, dopo mesi di lavoro, al suolo stanche; altre ancora, le più numerose, erano ancora “appese” alle piante da ove erano nate, e non cedevano nemmeno alle più potenti folate del soffio della Natura, perché volevano vivere sino in fondo la loro breve vita di foglie. Quest’atmosfera era resa ancora più romantica ai miei occhi dalla vista del firmamento di codesta mattina, misterioso, un cielo così assopito e allo stesso momento attento, che caratterizza solamente l’autunno.

Misi quella scena nel mio cuore e nella mia memoria, e mi promisi di ricordarla per sempre . . . E non l’avrei né raccontata a nessuno, né l’avrei descritta su un foglio, perché volevo rimanesse il mio piccolo segreto. Quest’ "egoismo dei ricordi" non l’avevo mai provato prima e quindi costituiva per me,che ho pure molti anni, una novità. Pensai a tutte quelle persone che vivevano in una città o, peggio ancora, in una grande metropoli dove, dalle loro finestre, non potevano far altro che osservare lo smog delle auto, il fumo che usciva denso dai camini di abitazioni e fabbriche, e gli alti palazzi oppure le luminose insegne dei negozi, che avrebbero potuto essere notate anche da un astronauta. Io non li invidiavo perché non potevano provare quell’emozione così forte, tuttavia non come l’Amore, che provavo in quell’istante.

Essendo ancora troppo presto per iniziare a prepararmi per la novella giornata, decisi di fare una passeggiatina per i boschi qui intorno. Mi portai dietro una borsa di carta(possedevo solamente quelle) in modo che, se avessi trovato delle castagne, avrei potuto coglierle. Dopo aver percorso non moltissimi metri, scoprii che la mia previdenza era stata utile, infatti trovai molti di questi timidi frutti che si nascondevano dietro ad una corazza, resistente e spinosa. Cercai di prenderne una decina, facendo attenzione a non pungermi perché, anche se non erano poi così “taglienti”, era comunque più conveniente per le mie mani non provare alcun tipo di dolore, anche se lieve. Adoravo il suono che facevano le foglie quando le calpestavo e, unito al canto dei pochi uccelli che ancora non erano migrati e ai versi degli insetti, mi parevano una grande orchestra di mille archi e altrettanti fiati, e di cui io ero il maestro. Mi guardai un attimo intorno, scoprendo che intorno a me v’era il mare, ma non una d’acqua, bensì di mille colori!

Trascorsi un’abbondante mezz’ora nel mondo del sogno, dopodiché mi incamminai verso la strada del ritorno.

Giudizi

Darida
raccontino delicato, stile ecologista...attento ai particolari, forse troppo, rende leggermente artificiosa la storia, belle le descrizioni, buona adesione al tema.

Bianca
Un bel racconto dolce, originale e scorrevole. Bella e piacevole la descrizione del paesaggio autunnale e dei suoi piccoli abitanti.

Nerst
Bellissima scena autunnale, descritta, trovo, accuratamente in ogni dettaglio. I sentimenti provati dal protagonista sono dolci e spingono alla riflessione di una pausa che, ahimè, ci sfugge ogni dì. L’unica nota, attendevo lo sviluppo di una storia a questa romantica premessa.

Irene
Innanzitutto, preferirei il titolo senza l'articolo, suonerebbe meglio.
Poi, lo scritto è imperfetto dal punto di vista grammaticale (credo che manchi qualche verbo, e ci sono diversi refusi). Oggettivamente, il racconto è scritto benino, in modo dolce (anche se c'è una sovrabbondanza di parole che si poteva evitare, rendendolo anche meno infantile), ed è sicuramente in tema, ma non riesce a coinvolgere il lettore. È poco originale, non si percepisce un grande sforzo inventivo da parte dell'autore.
 
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GermanoDalcielo

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Nonno va a funghi ogni anno

Gita a funghi.
Nonno va a funghi ogni anno, con uno slancio che si potrebbe dire quasi religioso.
Che diluvi, fulmini, coli lava da ogni parte o sia in corso un’invasione aliena, nulla lo puo’ fermare. E’ fine ottobre, si va a funghi, punto. C’e’ qualcosa di fanatico e contemporaneamente meraviglioso nel modo in cui si prepara. Aspetta le grandi piogge di settembre con trepidazione e passa i giorni a gli olmi delle foreste ammantati dall’acqua e piegati da un vento foriero di inverno. Nei suoi occhi assorti puoi leggere un ripasso delle mappe segrete dei migliori nascondigli di funghi.
Poi, appena il terreno smette di essere una palude, ma ancora lontano dal concetto di asciutto, si prepara all’alba e affronta lunghissime passeggiate al limite dell’impervio. Guai a essere il secondo a passeggiare sui crinali, o ad avvistare un gruppo di pellegrini porcini sbucato sotto una roccia muschiosa. Non lascia il vantaggio neppure ai cinghiali.
Il suo e’ un legame atavico e profondo con la natura, un amore indissolubile, che nessuno di noi capisce, ma tutti ammiriamo.
Fin da bambino, poter andare con lui ha sempre rappresentato una conquista a base di buoni voti, ottimi risultati sportivi, e turni infiniti di corvees (non avete idea di quante siepi da potare ci possano essere in un singolo giardino). Il primo giorno per’ no, quello e’ sempre stato un rituale del tutto privato. Un tempo ci andava in compagnia del suo unico vero amico, l’Alfio,( prima che scappasse in America con la prima fidanzata di nonno, l’Ada). A lui pero’ sono rimasti gli ovoli. Non so chi ci abbia guadagnato
Ma quest’anno, nonno sempre fatto di ghiaccio e polvere, un guscio vuoto. Trema.E’ troppo debole per muoversi ma lo vedo scrutare con ansia fuori dalla finestra. Domani sarebbe la giornata perfetta, e non puo’ alzarsi. In realta’, il giorno dopo, il nonno non riesce neppure ad aprire gli occhi. Senza dire nulla mi vesto , bevo un caffe’ alle 5 di mattina ed esco, mosso da un fuoco atavico, vado a rispettare il desiderio di un uomo.
Il bosco e’ splendido, silenzioso e molto vivo. Seguo sentieri che si sono insinuati sottopelle nella mia memoria senza fatica, fino a un vecchio albero colpito da un fulmine abbarbicato alla roccia. Meta’ nel vuoto e meta’ nella montagna. Tutte le peregrinazioni del nonno finivano qui, al bordo tra cielo e foresta. Mi siedo e penso a come vorrei essere sereno ed equilibrato come il nonno, mai scosso da nulla, solido e inamovibile. Poi vedo spuntare, tra un gruppo di funghi, una piccola cosa bianca. Una mano. Quelle sono ossa di una mano. E insieme ci sono un avambraccio, un teschio, delle ulne. Quello e’ l’Alfio. E ci dev’essere anche l’Ada.
Faccio un respiro profondo, e li copro con abbondante terriccio .
Tutti i riti meritano di essere onorati.

Giudizi

Darida
Scritto bene, scorrevole, colpo di scena finale che a mio vedere stride un po' con l'impostazione precedente... be', basta prenderla con la giusta filosofia, come ha fatto l'autore, buona adesione al tema.

Bianca
Un racconto a tratti simpatico, triste, scorrevole ed originale, ben fatta la descrizione del bosco. Incredibile il colpo di scena finale, non me lo aspettavo, ora si spiegano tante cose.

Nerst
Bellissimo. Mi ha fatto sorridere fin dalle prime righe. Questo nonnino me lo immagino carico di ottimismo e sfida. Nulla lo può fermare…troppo simpatico. Ho sentito un po’ di tristezza nella seconda parte del racconto, ma il finale mi ha scompisciata (lasciatemi la colorita opinione).
Complimenti

Irene
Unica precisazione: una rilettura, la prossima volta, non farebbe male, ed eviterebbe il titolo poco evidente, i refusi nella punteggiatura e altre sciocchezze, come la ripetizione di “atavico”.
Per il resto, è davvero buono: il punto di vista sembra decisamente straniato, non si capisce bene se il protagonista sia ancora un ragazzo o un adulto, in quanto le azioni rimandano alla seconda opzione ma lo stile è abbastanza infantile e slegato. Inoltre, il finale è costruito benissimo, forma un contrasto perfetto con l'atmosfera calma e cristallina della prima parte del racconto.
 
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GermanoDalcielo

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Un lungo autunno

L’autunno è la stagione degli inizi. Tutto comincia in autunno, perché l’autunno ha il potere del cambiamento: cambiano i colori, gli odori, i sapori, e vento e pioggia spazzano via il vecchio per accompagnare le cose, nude e minimali, ma ricche di potenzialità, verso il rinnovamento e la rinascita.
Questo penso mentre mi vedo, riflessa nello specchio, che arrotolo una ciocca di capelli (in realtà stavo controllando che il trucco non fosse troppo pesante o la pettinatura troppo pomposa). Poi qualcuno mi chiama e mi volto: è Andrea che mi tende una ciotola di patatine.
Anna era bellissima nel suo abito d’avorio. La casa era piena di gente e di fiori quella mattina d’estate. Continui flash mi passavano di fianco e sopra la testa, ed io mi sentivo un po’ Matrix un po’ ape Maya, volteggiando qua e là per evitarli. Ma il mio momento infine giunse: la foto della sposa con genitori e fratelli. Cinsi Anna per la vita e tirai fuori un sorriso, sperando che non mi fosse rimasto tra i denti un pezzo d’insalata del tramezzino che avevo appena ingurgitato. Non avevo per niente fame, ma non sapevo che fare. Amici e parenti sciamavano nel nostro salotto, non abbastanza grande per contenere tutta quella folla; mi abbracciavano e baciavano e mi dicevano quanto ero bella con quel vestito lungo rosa con stampe cashmere. Oh mio Dio, una tenda! Questo sembravo. Una tenda!
Il fotografo stava chiedendo ad Anna di guardare lontano fuori dalla finestra. In quel momento, promisi a me stessa che non avrei mai guardato lontano fuori da una finestra, neanche se me l’avesse chiesto Steve McCurry in persona. Invece, ahimè, mi puntarono una telecamera a un centimetro dalla faccia e mi chiesero di fare un augurio agli sposi. Balbettai, sudai e mi tremarono le gambe prima di riuscire a dire le prime parole “Un augurio..”; poi la mia testa divenne una landa desolata, le labbra si seccarono e non so quanto tempo passò prima che dalla mia gola uscisse “di tutto cuore”, a cui seguì inaspettatamente un “sono un po’ emozionata”, detto contorcendomi come un verme appeso a un amo.
Almeno per il momento avevo finito la mia parte. Ricordo che tirai un sospiro di sollievo e mi apprestai a scendere le scale, cavandomi di nuovo un bel sorriso sulla faccia (non prima di aver controllato dallo specchio nel corridoio la famosa foglia di insalata che, per mia fortuna, non c’era).
La chiesa aveva un soffitto altissimo, l’organo risuonava, le lacrime scendevano, gli anelli venivano collocati nel posto da cui, presumibilmente, non si sarebbero mossi mai più, e una pioggia di riso sigillava anche questo momento, che fu in verità il mio preferito. Anna e Lorenzo si volevano bene, avevano un lavoro solido e una bella casa.
Dopo l’antipasto, eccomi di nuovo a ballare sulla pista un lento con Andrea. Accidenti, il mio vestito sembrava proprio una tenda!, e noi due ondeggiavamo come se fossimo in metropolitana. Com’erano belli e felici Anna e Lorenzo. Facevamo cerchio intorno a loro, che ballavano stretti e si guardavano negli occhi, sognanti. Sfilavano secondi e contorni, quando qualcuno mi afferrò trascinandomi in un trenino intorno ai tavoli: “Lallàlaaallàà, lallàlallaàlallaaàllaaa..”.
Mentre scorrevano le foto degli sposi da bambini, la nonna mi stringeva forte una mano con i lucciconi negli occhi. Ogni tanto mi guardava come per dire “quando tocca a te?”. Me l’avevano già chiesto quasi tutti gli invitati, ma lei ha avuto la delicatezza di farmelo solo capire con lo sguardo, ha paura di non fare in tempo ad esserci.
Il buffet di dolci, ecco la torta, nooo, di nuovo le foto!, i fuochi d’artificio.
Un’ultima carrellata di scatti della giornata in bianco e nero chiude il video del matrimonio che stiamo guardando mentre proviamo il nuovo divano nella nuova casa di mia sorella, e ci scrolliamo di dosso, allegramente, le briciole delle patatine sul nuovo tappeto. Sono passati due mesi da quel giorno d’estate caldo e assolato. Ora una pioggia battente riga i vetri. Per Anna e Lorenzo questo nuovo autunno segna l’inizio della loro vita insieme; per me, è quello in cui sono sicura che presto qualcosa nella mia vita cambierà, che le vecchie foglie finalmente cadranno e un seme verrà posto in attesa della rinascita. Lo è stato anche l’anno scorso, e quello prima ancora: il problema è proprio che l’intera mia vita è stata finora un solo, unico, lungo autunno, e sto ancora aspettando che questa stagione finisca e arrivino le altre.
Mi sorprendo a guardare lontano fuori dalla finestra. Ma non c’è nessuno a scattarmi nessuna foto.


Giudizi

Darida
Stile non molto fluido, ho fatto un po' fatica a seguire la storia, qualche immagine efficace di buon impatto, bella la conclusione, solo accennata ma non carente l'adesione al tema.

Bianca
Un racconto originale, scorrevole, a tratti simpatico e a tratti triste. Bello il finale anche se dolce amaro, in cui la protagonista spera in nuovo inizio.

Nerst
Simpatica la protagonista, l’ho trovata dolcemente impacciata in un mondo che non sente suo, ma che non snobba a priori. Ho apprezzato la metafora dell’autunno come “stagione di vita”, nell’attesa dei cambiamenti che non sempre arrivano, ma quello che resta sono gli affetti. Bello.

Irene
A una prima lettura sembra poco attinente; ho potuto cogliere e apprezzare la metafora generale solo rileggendo con più attenzione. È molto originale; si coglie un senso prima di leggero fastidio, poi di tristezza, che pervade tutto il racconto. Lo stile non è eccezionale, ma è sufficiente per l'argomento trattato.
 
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GermanoDalcielo

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31 ottobre

Wednesday, October 31th, 2012

08:30 PM


Quanti erano? Sentiva le loro voci. Il bussare insistente.
Ineluttabile. Come la morte.

E sia. Si tirò su, con grande fatica ma insospettata determinazione, da quello che un tempo fu un divano Chesterfield. La bottiglia di bourbon ormai vuota -l’ultima di una lunga serie- finì in frantumi sulla moquette già devastata da giorni di delirio; subito raggiunta dall’ennesima Marlboro, inutile mozzicone tra le sue labbra ingiallite dalla nicotina.
Il coraggio della disperazione?

08:46 PM


Fanculo. Almeno sarà finita. Le gambe lo reggevano a malapena, tuttavia procedette, a tratte brevi e dolorose, puntellandosi alla parete ogni pochi passi barcollanti, gettandovisi contro di schiena; ogni volta prendendo fiato ansimando, l’aria rubata con rantoli ostinati da malato terminale, come nella stanza invasa dal fumo di un incendio fatale.

Quel brusio inizialmente indistinto, in inesorabile crescendo, che gli feriva il cervello, ossessivo. Stormi di bombardieri in avvicinamento. Ogni colpo alla porta di casa la scarica elettrica di un Taser, nei suoi nervi ormai alla frutta. Cannoni, mortai, stordenti esplosioni, martelli pneumatici nelle tempie.
Fiotti di sudore, esondando attraverso le ciglia, deformavano le immagini in nebulose tavolozze di un artista folle, dai colori deliranti: mostruosi anfetaminici caleidoscopi gelatinosi.
E quegli aghi nel petto…

08:58 PM

Un moto di orgoglio: la dignità del condannato di fronte al boia incappucciato.
Spalancò con rabbiosa rassegnazione la porta, facendola sbattere nel muro, premendosi la spalla sinistra dolorante con l’altra mano, piegato in avanti a reggere contro l’addome l’intero braccio come un infante da proteggere.
La violenza della luce improvvisa gli fece reclinare la testa da un lato, le nocche alla fronte in un istintivo moto di protezione degli occhi trafitti, semichiusi.

Erano piccoli, mostruosi nell’aspetto. E lo fissavano. Immobili.
Forti del branco, come un esercito di insetti affamati, immondo tappeto di luridi topi di fogna, già avevano colonizzato l’intero giardino; e presto si sarebbero impossessati di tutta la casa.
Di lui…

09:00 PM


Urlò tutta la sua impotente frustrazione: “Che c*zzo volete da meee!”.

Accasciandosi al suolo, stroncato dall’inesorabile infarto, non udì la loro risposta:


DOLCETTO O SCHERZETTO…



Giudizi

Darida
Stile scattoso, alla Palahniuk, originale, con un finale prevedibilmente azzeccato e una buona adesione al tema.

Bianca
Un racconto originale e scorrevole, ben fatta la descrizione ed il carattere dell’anziano scorbutico, sia nei suoi stati d’animo, che negli acciacchi che contraddistinguono l’avanzamento dell’età.

Nerst
Trovo che il racconto rispecchi a pieno quello che alcune persone provano nei giorni di festa, quando si è costretti a vivere le cose che gli altri si aspettano debbano piacere a tutti. Complimenti, il racconto è irriverente e sarcastico.

Irene
Di sicuro delirante e pieno di suspence. L'ho trovato esagerato, sembra si riferisca ad un'invasione di zombie o alla fine del mondo, renderebbe molto meglio come tale. Il finale, seppure a sorpresa, non è molto incisivo, non rompe abbastanza con la tensione creatasi prima. Forse esiste un intento parodico/ironico, ma se è così non si coglie più di tanto, in quanto la vicenda sembra già finita con il protagonista che cade a terra morto e l'ultima frase sembra aggiunta lì per caso in modo un po' triste. In sostanza, sembra un po' forzato. Apprezzo lo stile, nervoso e allucinato.
Più che in tema con l'autunno, è un racconto esclusivamente su Halloween, e questa mi sembra una scorciatoia poco furba.
 
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GermanoDalcielo

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Lo Stormo

Cascina era un paesello nella vallata del fiume Sverio: 800 anime, un bar, una scuola elementare, un emporio. Case strette, addossate l’una all’altra in un dedalo di viuzze medievali su cui vegliava un umile campanile. I turisti diretti ad Assisi o a Gubbio lo attraversavano quasi senza accorgersene, con gli occhi fissi sulla cartina stradale. Ma Cascina non era un piccolo borgo come tanti altri, perché quando l’estate cedeva il passo all’autunno, quando il cielo si faceva alto e cristallino dopo le fatiche del caldo di agosto, esattamente nella prima settimana di ottobre, accadeva qualcosa di straordinario. In quella settimana, ogni abitante di Cascina scrutava il cielo per ore in cerca di ombre fugaci, con gli orecchi tesi a cogliere il più piccolo fruscio. Perché quella settimana lì, ogni anno da che memoria d’uomo potesse ricordare, passava lo Stormo. Si narra che un solo abitante all’anno riuscisse a scorgerlo, quando in un battito d’ali appariva dal nulla e spariva nel nulla, come una visione fatata dal potere consolatorio. Allora il fortunato prescelto avrebbe visto esaudire il suo desiderio più segreto. Non importava esprimerlo, né pensarlo, né preoccuparsi di sceglierlo fra i mille desideri che dimorano in un cuore: lo Stormo sapeva.
Era apparso al piccolo Giacomo, in una girandola di grandi ali colorate, pochi giorni prima che i suoi gli regalassero la tanto agognata bicicletta. Era apparso ad Anna, una famiglia di bianche e sottili cicogne, e ad agosto era nata la piccola Chiara. Era apparso al vecchio Tonio, portando nel becco rametti di fiori sconosciuti, e proprio quell’ anno il fico del suo giardino, che non aveva mai dato un frutto in vita sua, si era riempito di dolcissimi fichi tardivi. Tutto il paese aveva fatto festa attorno all’albero miracolato, molti chiedendosi come poteva Tonio avere un desiderio tanto piccolo e umile. E nemmeno lui lo sapeva, ma andava bene così, perché lo Stormo sapeva tutto, e Tonio era solo contento che gli fosse apparso proprio quell’anno che la sua povera moglie l’aveva lasciato.
Gli abitanti di Cascina avevano ormai rinunciato a spiegarsi l’origine dello Stormo. L’anziano Don Silvano, che aveva visto lo Stormo una volta da giovane, era convinto che le miti colombe su quell’albero spoglio fossero le stesse che ai tempi della Porziuncola avevano ascoltato le prediche di San Francesco, ma questa era una spiegazione buona come tante altre. L’unica certezza era che lo Stormo appariva sempre quando il prescelto era da solo, e quindi nella prima settimana di ottobre gli abitanti si salutavano frettolosi, evitavano di fare i consueti capannelli davanti al bar o alla chiesa, cercavano di starsene per conto loro, passando in rassegna i propri desideri.
Lo Stormo appariva anche a chi non ci credeva, come era successo all’antipatica proprietaria dell’emporio un giorno in cui il sole indebolito non riusciva a mandar via la nebbia mattutina.
Le strade erano completamente deserte quando Vanessa era uscita per sistemare le ceste della frutta: melagrane rosse vermiglie, diosperi arancioni, uva verde dorato. C’erano tutti i colori dell’autunno in quelle ceste. Poi un fruscio, un alto grido roco e lei, uno dei pochi abitanti che non teneva gli occhi al cielo in quella settimana, quasi senza volerlo aveva alzato il capo e l’aveva visto: cento, duecento sagome di uccelli neri e sgraziati che passavano gracchiando sopra di lei. Era rimasta a guardarli come ipnotizzata, con la cesta delle castagne fra le mani, sentendo che si portavano via tanta tristezza senza senso, tante recriminazioni contro non si sa chi, lasciando nel suo cuore soltanto pace e serenità. Quando infine lo Stormo era scomparso, la tosse che la tormentava da mesi se n’era andata con lui. Allora Vanessa aveva fatto una grande festa, come era usanza, perché chi vedeva lo Stormo festeggiava e veniva festeggiato da tutti.
Ma a chi sarebbe apparso quell’anno?
E quando? In un tramonto carico di nostalgia per l’estate e preoccupazione per l’inverno, come era successo ad Elisabetta? O nel mezzo di un giorno che l’estate sembrava ricordarla per il calore forte del sole, come era accaduto a Filippo? Di lunedì, di giovedì? In quale giorno?
Ma quell’anno la prima settimana d’ottobre si era spenta con una domenica piovigginosa senza che nessun abitante avesse visto lo Stormo. Il lunedì la gente si incrociava incredula, parlottando a bassa voce, come se una disgrazia si fosse abbattuta su tutto il paese. Le male lingue insinuavano che chi lo aveva visto non volesse rivelarlo, ma sembrava impossibile che qualcuno potesse tenere per sé una tale esperienza. Tutti si chiedevano come avrebbero fatto a sopportare per un anno intero il dubbio angoscioso che lo Stormo li avesse abbandonati per sempre.
Nessuno si era reso conto che il venerdì di quella settimana la piccola Elena aveva mosso i suoi primi passi, con una soddisfazione tutta sua, che aveva espresso con i suoi “lala, pappa, babba” davanti ai genitori che l’ascoltavano estasiati, senza riuscire a descrivere gli uccellini rosa e celesti che l’avevano circondata in quel momento, il fatidico momento del suo primo passo, quando la mamma era sul retro della casa a stendere i panni.
E lo Stormo fu il suo primo ricordo.


Giudizi

Darida
Ottimo, scritto bene, evocativo e commovente senza essere stucchevole, belle immagini e una adesione al tema costante.

Bianca
Una bella storia interessante, originale, fantasiosa e scorrevole. Bella la descrizione dell'autunno con i vari tipi di stormi e frutti che lo caratterizzano.

Nerst

Che bel racconto. Ne ho apprezzato il crescendo, che mi ha portata a leggere avida le righe a mano a mano che la lettura procedeva. Mi ha fatto pensare a quanto siano importanti le cose che per alcuni sono assai piccole e scontate, ma che per altri possono essere assai grandi e desiderate.

Irene
Mi è piaciuto molto. È irreprensibile da ogni punto di vista: storia originale, ottimo stile, logica perfetta, non una parola al posto sbagliato, e perfettamente in tema senza risultare banale. Apprezzo il fatto che il paese dov'è ambientata la vicenda non sia un posto noto, cosa che permette di collocare il racconto tra la realtà e la leggenda.
 
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GermanoDalcielo

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Un bell'autunno

Mentre percorreva lentamente il sentiero che si snodava nel bosco, scendendo dolcemente verso la strada, l’uomo si guardò intorno sorridendo e respirò a fondo l’aria fresca di fine ottobre.
Amava l’autunno. Amava i suoi colori, il giallo, l'ocra e il ruggine delle foglie degli alberi, il verde sbiadito dei cespugli tra cui occhieggiava il rosso delle bacche. Amava l’accorciarsi delle giornate, i lembi di nebbia che si insinuavano tra le pieghe delle colline e il sole che tramontava presto lasciando nel cielo per qualche momento una struggente luminosità perlacea.
Non è che le altre stagioni non gli piacessero. L’inverno grigio e freddo che invitava a girare per le vie della città, magari sotto allo sfolgorio delle luci natalizie, la primavera che sapeva risvegliare nuove emozioni di vita, con il sole che d’un tratto si faceva più caldo e quasi non ci si accorgeva che era già estate, con le sue luminose, interminabili giornate da vivere fuori. No, lui amava tutte le stagioni, come amava la vita, ma… ma quando arrivava l’autunno… non sapeva bene come spiegarlo: si sentiva meglio, ecco. Forse perché era nato di novembre e venendo al mondo aveva subito percepito quell’atmosfera particolare dei giorni che precedono il grande sonno dell’inverno? Comunque fosse lui d’autunno stava bene.
Peccato che sua moglie amasse solo l’estate, il mare, il caldo ininterrotto. Se avesse potuto sarebbe andata a vivere in una di quelle isole tropicali dove fa sempre caldo e la gente passa tutto il suo tempo sulla spiaggia. Lui non l’avrebbe sopportato: non amava il mare, dopo un po’ che era sulla spiaggia cominciava ad annoiarsi, non sapeva cosa fare. Quando erano in ferie, naturalmente al mare, naturalmente tutto il giorno sulla spiaggia, sua moglie lo rimproverava di non stare mai fermo, di non avere pace: perché non andava a farsi una bella nuotata e poi si rimetteva in pace al sole? Solo che a lui non fregava niente della nuotata: voleva togliersi da quel sole a picco, andare in giro, camminare nei freschi carruggi del paese, curiosare nei negozi e nelle botteghe, esplorare i dintorni. Visitare chiese e musei, conoscere gli usi, il folklore… Ma per lei essere in vacanza significava stare tutto il giorno sulla spiaggia, a rosolarsi al sole, scambiando ovvietà con i vicini di ombrellone, pettegoli e impiccioni. Lui non li sopportava, con i loro farisaici discorsi da piccoli borghesi benpensanti, sempre pronti a criticare quel che esulava dal loro mondo di timorose ovvietà. Così spesso l’abbandonava al suo destino di lucertola e andava in giro per conto suo.

Lasciò il sentiero per camminare per un po’ in mezzo alle foglie morte. Faceva lo stesso da bambino e come allora si divertì a scalciarle, sollevandole e facendole volteggiavano lentamente.
Sì, erano molto diversi, lui e Sara. Ad esempio per lui in autunno era piacevole andare in giro nei borghi. Ma lei si annoiava a girare così, senza senso. Oppure amava andare alle sagre, a quelle dei funghi magari: lui impazziva per i funghi, in stagione non avrebbe mangiato altro. Ma a Sara non piacevano: solo l’odore le dava la nausea, diceva. Quindi niente piatti di funghi, in casa, e anche quando andavano fuori a pranzo non mancava mai di sbuffare irritata che l’odore (profumo!) che saliva dai piatti che lui aveva scelto la infastidiva. Come per i cachi, quei meravigliosi frutti, dolci e zuccherini, che adornavano come precoci palle di Natale le piante spoglie. A lei ripugnavano, quindi non ne comprava mai. Quanto alle castagne, Sara aveva stabilito una volta per tutte, tempo addietro, che a lei non dicevano niente: ergo, niente castagne in casa, sotto qualsiasi forma.
Inutile negarlo ormai non c’era nulla che potessero condividere. Com'è che l'aveva sposata?, erano passati tanti anni, non lo ricordava più. Forse erano cambiati entrambi, da quando s’erano innamorati, quella sera, in riva al mare… Ma non aveva importanza: la sera prima avevano parlato tra loro come non facevano da tempo, ed era stato bello, s’erano confrontati e alla fine lui aveva trovato un accomodamento che aveva sistemato le cose.

Era arrivato alla strada asfaltata e si fermò dalla sua macchina, gettando un’ultima occhiata ammirata alla nuvola dorata degli alberi che i raggi del sole ormai al tramonto rendevano quasi luminosa. Che bello l’autunno. Oddio, non che non avesse dei difetti, l’autunno, ammise guardando le suole degli scarponcini inzaccherate. Il terreno era molle e umido e camminando sul sentiero aveva raccolto un po’ di fango. Ma anche quel difettuccio in fondo era un pregio: in un terreno così molle non era stato molto faticoso scavare una bella buca, grande e profonda, si disse gettando nel bagagliaio dell'auto la pala e la zappa.


Giudizi

Darida
Uno stile scorrevole nella lettura ma forse un po' troppo ricercato, belle le descrizioni delle stagioni ma il tema - l'autunno - che avrebbe dovuto guidare il racconto appare un po' troppo marginale. Un bel finale macabro.

Bianca
Un racconto originale e scorrevole. Ben fatta la descrizione del paesaggio del bosco e dei frutti autunnali.

Nerst
Ho apprezzato tutta la modalità di sviluppo del racconto, non avrei mai pensato che sarebbe arrivato un finale così. Per la maggior parte del racconto il protagonista sembra debole e senza spina dorsale, perciò mi ha sorpreso il cambiamento. Bello e sorprendente.

Irene
Ho il sospetto che il titolo sia una “leggera” presa in giro.
Anche qui, l'originalità non è al suo massimo splendore, ma non è niente male; il tema è perfettamente rispettato.
Mi è dispiaciuto leggere il finale, perché ormai avevo apprezzato il protagonista e condividevo i suoi sentimenti; l'autore ha fatto un ottimo lavoro, è difficile creare un personaggio simpatico in così poco spazio.
 
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GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
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Parole in autunno...

Il vento tirava forte quando misi piede su quella terra straniera. Erano passati anni dall'ultima volta che avevo incontrato lo sguardo di un'altro uomo. Inspirai profondamente gli odori di quel posto; i profumi del cibo si mischiavano al fetore delle strade e delle persone. Straccioni e mendicanti erano i padroni di quel regno nato dal fango, i ricchi signori si allontanavano in fretta da quel quartiere caduto in rovina e dai suoi abitanti.
Eppure c'era qualcosa nell'aria che ricordava la mia casa, ma estraneo com'ero ai miei stessi ricordi riconobbi l'odore delle caldarroste soltanto quando il mercante mi passò davanti con il suo carretto. L'autunno era arrivato discreto, come ogni anno, e dietro di lui una schiera di fantasmi,streghe e scheletrini urlavano felici in attesa del loro bottino prelibato. Sentivo il vecchio raccontar loro delle storie fantastiche, dove i vampiri erano i protagonisti assoluti di quelle avventure.
Stanco dal lungo viaggio mi sedetti appoggiando la schiena ad un muro; mi tappai bene nel mio mantello e come uno spettatore discreto iniziai ad osservare le persone che incuranti mi sfrecciavano davanti. Provavo pietà per loro; le donne come matte correvano per il mercato, ognuna doveva accalappiarsi la zucca migliore. Spintoni e urla, parolacce e graffi volavano ora qui, ora la. Avevano imparato a lottare per conquistare ciò che volevano, e così non ricordavano più il significato della parola "condivisione"... intente com'erano a litigare tra loro quasi dimenticavano di aver portato con se i pargoli irrequieti. Lontani dalla vista delle madri, anche loro correvano. Chi dietro il venditore di caldarroste, chi dietro i grossi tarponi, povere bestiole terrorizzate da urla e cerbottane.
Poi ecco che un piccolo folletto attirò la mia attenzione, alto poco meno di un metro e interamente vestito di verde e nascosto dietro un muro si divertiva a molestare i passanti tirando sassi un pò dove capitava ritirandosi subito nell'ombra per non farsi vedere; rideva, rideva di gusto di fronte agli sguardi confusi delle sue vittime ignare.
Rimasi così ad assaporare quell'ultimo frammento di giornata. Il buio era calato e il mercato quasi vuoto. Ma non mi spostai, dovevo ancora guardare le ultime scene prima di riprendere il mio viaggio. Avevo imparato che in ogni posto c'è sempre qualcosa da imparare, un emozione da incidere nel cuore e ricordare nei giorni a venire.
Solo gli ultimi intrepidi signorotti si affrettavano a passar oltre quel posto per recarsi nelle ricche dimore del quartiere successivo. E poi lei. Un angelo dagli occhi brillanti e i piedi nudi. Sul suo piccolo capo di ricci biondi un cappellino a punta ricordava quello di una streghetta. Uno straccetto nero era l'unico riparo per quel gracile corpicino di bambina divenuta donna troppo in fretta. La sua tenue vocina sussurrava filastrocche mentre con la manina elemosinava qualche solo a chi, con un gesto arrogante la scacciava via come se fosse una bestia. Dolente mi alzai e mi avvicinai a lei. Quell'angelo mi venne in contro tendendo le dita e con gli occhi chiedeva solo un pò di pietà.
Presi qualche moneta dal mio borzello e condivisi con lei il poco di cibo e di acqua che mi portavo appresso. Di nuovo un sorriso comparve su quel visino annerito dallo sporco e felice si accomodò su una panca a rimpiersi la pancia.
Poi, come per magia, dalle porte delle abitazioni bambini di tutte le età uscirono a gran velocità con le loro belle maschere del terrore. Erano loro i padroni di quella notte, l'unica sera in cui tutto era concesso. Bussavano alle porte del vicinato e con le loro burle si conquistavano qualche dolciume o un pezzo di pane.
Gli occhi della bambina sprizzarono gioia e ridendo si unì ai suoi coetanei; solo in quel momento poteva vivere la spensieratezza dei suoi anni. Solo li, in quell'attimo di tempo riuscì a dimenticare la miseria che la vita le aveva inflitto.
E io, pellegrino senza casa, mi lasciai dietro le spalle tutto ciò per avviai sul sentiero del non ritorno.


Giudizi

Darida
Stile un po' frammentario, ammetto di essermi persa un paio di volte durante la lettura, belle e fantasiose le descrizioni, poca adesione al tema.

Bianca
Un racconto interessante, originale, a tratti triste e commovente. Mi ha fatto molta tenerezza la bambina mendicante.

Nerst
L’ho trovato triste, ma la figura del passante mi è piaciuta, perché ha incarnato ciò che vuol dire osservare il mondo. Di fatto è l’unico che si accorge della bimba “non travestita”, che ha un solo giorno l’anno per nascondersi agli occhi di chi vede, ma non guarda.

Irene
Il titolo non è riportato; lo scritto è così fitto che la lettura risulta difficile. E rileggere, rileggere!!
Anche questo in tema Halloween, ma è scritto bene e la storia è interessante, e l'ambientazione autunnale c'è, quindi lo considero aderente al tema.
Ben costruito e molto equilibrato. Apprezzo il fatto che le creature descritte possano essere bambini in maschera o personaggi fantastici; l'atmosfera magica e un po' paurosa della festa è resa in maniera ineccepibile. È un peccato, però, che il titolo sia così poco azzeccato, sembra completamente slegato dal racconto.
 
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