Arminio Franco paesologo

10 cartoline dai morti di Franco Arminio





Qui la fine della primavera e la fine dell’inverno sono più o meno la stessa cosa. Il segnale sono le prime rose. Ne ho vista una mentre mi portavano nell’ambulanza. Ho chiuso gli occhi pensando a questa rosa mentre davanti l’autista e l’infermiera parlavano di un ristorante nuovo dove ti fanno abbuffare e si spende pochissimo.


Io avevo cinquantasei anni. Vivevo da solo, ero tornato al paese dopo vent’anni di Svizzera. La mattina uscivo in piazza, passeggiavo o stavo seduto sulle panchine. Il pomeriggio non uscivo e la sera nemmeno. Mi mettevo nel letto e aspettavo il sonno. Mi sono sentito male una notte che il sonno proprio non voleva venire. Saranno state le due. Non sono riuscito neppure ad alzarmi dal letto. All’improvviso non vedevo più niente. L’ultima cosa che ho sentito è stata la mano allungata per cercare di accendere la luce sul comodino.


Avevo appena finito di vedere la televisione. Mi sentivo debole. Mi sono disteso sul divano e ho sentito come una mano gigantesca che mi premeva il cuore. Ho pensato che stavo morendo e non avevo comprato il loculo. Sicuramente mi avrebbero messo sotto terra. E questo era l’ultimo fallimento della mia vita.


Sono morto in Canada. Avevo una brutta diarrea, avevo una brutta faccia. Mi sono ricoverato in ospedale e dopo un paio di giorni di analisi mi hanno detto che avevo pochi mesi di vita. Non ho più mangiato, non mi sono più alzato dal letto.


Dopo che mi ero laureato cominciai a bere. Insegnavo lettere in una scuola media. Mi sposai, mi accorsi che non potevo avere figli. Allora mi misi a fumare e bere ancora di più. Una mattina mentre scrivevo alla lavagna mi sono sentito male. Mi hanno portato in ospedale, il cuore batteva in mezzo al niente, non avevo più mani, non avevo più occhi, non avevo più gambe.


Stavo bene anche se avevo ottantadue anni. Poi sono caduto, mi sono rotto il femore. Ho smesso di uscire, non sono più andato al centro anziani a giocare a carte. Quando la gamba è guarita hanno scoperto che avevo un brutto male nella pancia. Sono stato solo un paio di volte in ospedale e per pochi giorni. Sono morto il giorno di Natale. Mia moglie mi aveva appena tolto la maglia di lana perché ero tutto sudato.


Mi hanno trovato sul pavimento. Ci pensavo ogni tanto di farla finita, ci pensavo appena sveglio, poi mi mettevo a fare qualcosa e l’idea mi passava. Una mattina non ho pensato a niente. Ho preso tutte le medicine che avevo nel tiretto. Ho bevuto gli sciroppi e tutte le gocce, ho ingoiato tutte le compresse. Mentre lo facevo speravo che arrivasse qualcuno e mi fermasse. L’ultima cosa che sono riuscito a fare è stato accendere la radio. Volevo sentire almeno una bella canzone.


Ho preso la corrente, sono morto fulminato. Stavamo lavorando nel cinema, il lavoro era quasi finito. Ero appena tornato dalla Svizzera. Ero contento.


Avevo cinquantasette anni quando mi è venuto il cancro ai polmoni. La malattia è durata pochi mesi. Ho sofferto molto, ma non è stato un periodo peggiore degli altri. Io avevo sempre campato con l’idea che la vita prima o poi ti frega e non mi ero mai goduto niente. Ho passato tutto il mio tempo a bestemmiare. Chi mi sentiva pensava che scherzassi, io bestemmiavo veramente, ero veramente arrabbiato.


Uscendo dal bar ho sbagliato strada. Il vento era fortissimo e nevicava. Il cuore si è gelato sotto il cappotto.
 
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