Alfaroli, Marco - Archon

Marco Alfaroli

New member
Ciao a tutti, mi chiamo Marco Alfaroli, sono un appassionato di disegno e fantascienza e ora anche di scrittura.
Metto qui di seguito il prologo del mio libro: ARCHON - edito da Runa Editrice.
Ho aperto anche un blog, in cui ho inserito tutte le illustrazioni relative ad ARCHON, insieme ad altri contenuti.
ecco il link: ARCHON

Archon Preludio​


Il corridoio dell'Hangar, della stazione commerciale Taurus era deserto. Ossian Larsson teneva sotto tiro l'entrata rimanendo coperto dietro alcune casse. Chiunque fosse entrato, con intenzioni ostili, sarebbe finito fulminato. Dietro di lui nella stanza, legati e imbavagliati, c'erano i due custodi; quelli incaricati di catalogare la merce: li guardò per un attimo.
«Mi dispiace, sarete liberi fra poco, quando ce ne saremo andati».
L'uomo che arrivò correva, era emozionato. L'atteggiamento era del tipo “ce l'abbiamo fatta!”
«Siamo quasi pronti, Ossian!» urlò.
«Ma quanto ci vuole a far salire tutti? Più tempo passa e più si moltiplicano i rischi».
«Hanno le loro cose, lo sai che è gente comune, non sono mica soldati».
Soldati! Questa parola fece rabbrividire Larsson. Lui che aveva convinto tutti a seguirlo. Lui che si era preso sulle spalle la responsabilità delle loro vite.
Lui, ora, sentiva una forte fitta al cuore. Sentiva che qualcosa stava per andare storto e tutti forse, sarebbero morti per colpa sua.
No! Non doveva finire così. Era finita male per molti, per tanti che avevano dei conti in sospeso col governo come alcuni di loro.
Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente.
Il piano era stato messo giù con attenzione, non poteva fallire: era in atto una tremenda battaglia con Luyten e quasi tutte le forze imperiali erano fuori dal sistema solare. Le poche corvette spaziali lasciate al controllo in entrata e uscita le aveva ingannate Wilson.
Il vecchio Wilson era veramente troppo vecchio per scappare e si stava sacrificando per loro. A bordo del suo “Fendi Stelle” modificato si era già tirato dietro tutti i mastini dell'Imperatore che pattugliavano quel quadrante. E non l'avevano ancora preso.
Se la fortuna avesse proseguito su quei binari loro avrebbero avuto l'ambita via di fuga.
Certo, la nave che stavano rubando era solo un cargo. Ma il vantaggio accumulato sarebbe stato sufficiente per trasformare la Terra in un brutto ricordo.
Ossian scrutò oltre il vetro del corridoio: la sagoma del trasporto mercantile che sarebbe diventato la loro “Arca della salvezza” si stagliava sullo sfondo. Il suo nome, “Conestoga”, gli faceva venire in mente i pionieri che erano partiti alla conquista dell'America, quando ancora si chiamava America.
Rivolse l'attenzione all'uomo accanto a lui. La radio cantò proprio in quel momento.
«Tutti a bordo: possiamo partire».
«Arriviamo. Dì a Zac di attivare i motori» i due iniziarono a correre. Erano importanti anche i secondi.

«Corvetta di Sorveglianza 23 a stazione Valhalla. Abbiamo quasi raggiunto la posizione. Potete fornirci ulteriori informazioni?».
«Non ce ne sono, capitano Castillo. È solo una precauzione. Sulla Taurus sono confluite troppe piccole navette private. Temiamo un concentramento di dissidenti per un tentativo di fuga».
«Eravamo impegnati in un'operazione di inseguimento. Una missione concreta. Così si dividono le poche forze disponibili».
«Seguiamo gli ordini della Polizia Speciale. In questi casi la loro competenza è superiore a quella della Marina Spaziale».
«Ricevuto, Valhalla. Raggiungeremo le coordinate fra quindici minuti».
Il capitano Alejandro Castillo chiuse la comunicazione e tornò a sedersi sulla sua poltrona di comando. Davanti a lui, sullo schermo video, le stelle venivano incontro, vomitate dal cosmo nero.
«Dobbiamo prenderli vivi, colpite la nave solo per fermarla. Intesi, capitano?».
L'uomo che aveva parlato stava in ombra alle spalle di Castillo. Occupava una delle poltrone per gli osservatori ed era l'unico non impegnato con gli strumenti di navigazione.
Il capitano si voltò. Non cercò neppure di nascondere la sua espressione di disappunto di fronte al commissario politico. Ogni nave pattuglia che faceva operazioni di polizia ne aveva uno.
«Non avevo intenzione di distruggerli, commissario».
«Qualche capitano troppo zelante l'ha fatto. Non è uno sbaglio: in fondo sono dei fuorilegge. Ma io devo interrogarli, possono parlare e denunciare qualcun altro che ancora sfugge ai nostri controlli».
Castillo gli dette le spalle, senza rispetto. Sapeva quali erano i metodi dei commissari per far parlare i prigionieri. E lui, questo, non riusciva a digerirlo. La guerra, imbarcato come primo ufficiale sulla Chronos, l'aveva tenuto lontano dal lavoro sporco che veniva fatto sulla Terra per mantenere l'ordine. Ma poi, appena passato di grado, era stato assegnato a questo servizio nelle retrovie. Eppure, una cosa era lottare contro guerrieri insetto Arghass armati e pericolosi, un'altra cosa era perseguitare civili che coltivavano idee diverse, sogni di libertà nelle decisioni, utopie forse... ma niente che meritasse di finire nelle mani di quei macellai della Polizia Speciale.
Mantenendo le spalle al suo interlocutore rispose con tono secco.
«Li prenderemo vivi, non tema...».

Gli ormeggi del Conestoga “saltarono” e la nave iniziò a muoversi; dapprima lentamente, poi acquistando sempre più velocità.
«Cargo Conestoga, non avete l'autorizzazione al lancio! Voglio il comandante in comunicazione» urlò qualcuno via radio dalla torre di controllo.
Naturalmente non ricevette risposta.
Larsson e i suoi compagni, attraverso i finestrini del trasporto guardarono sfilare l'immensa stazione, con le sue dodicimila persone che la popolavano. Con le sue trenta navi commerciali ormeggiate e con la miriade di piccoli velivoli di assistenza che si muovevano intorno.
«Motori al massimo. Dobbiamo allontanarci in fretta per fare il salto».
Zac abbassò tutte le leve di potenza e una luce intensa abbagliò il retro della nave.
«Fatto Ossian, ce ne andiamo».
Il Conestoga accelerò in modo impressionante, lasciandosi alle spalle la stazione e la sua gente, che si parava gli occhi accecata. E soprattutto, lasciandosi dietro la Terra.
Marte, Giove, Saturno... la fuga era iniziata, Wilson aveva fatto la sua parte e nessun mastino arrivava alle calcagna. Tutto filava liscio.
Troppo bello per durare.

Una luce rossa si illuminò sulla consolle.
«Ossian... ci sono problemi».
«Imperiali?».
«Una corvetta... distanza 2.3 in avvicinamento».
La faccia di Larsson divenne funerea, come avevano fatto ad anticiparli in quel modo? Tutto il vantaggio che sperava di aver accumulato se ne andava in fumo. Stavano per prenderli.
«Imposta le coordinate per il salto, presto!».
«Ma è rischioso, con questa ferraglia... senza essere usciti dal sistema solare...».
«Meno rischioso che farsi raggiungere». L'espressione scura in volto di Ossian convinse il pilota che non c'era altro da fare. Subito le sue dita corsero veloci sulla tastiera e la sua fronte s'imperlò di sudore.
Attraverso il vetro della plancia, quello che all'inizio sembrava solo un puntino diventò qualcosa di più grosso, metallico... fino a definirsi come una corvetta imperiale. Ormai troppo vicina per riuscire a scappare.
Due lampi saettarono micidiali. La struttura del cargo fu scossa dai colpi andati a segno, forse non avrebbe retto a un secondo attacco. I fuggiaschi fermarono la nave sperando di evitare la prossima scarica.
«Catene magnetiche!» ordinò Castillo. E una serie di fulmini azzurri scaturirono dalla corvetta e avvolsero il Conestoga.
«Ci hanno presi! Non posso fare il salto bloccati in questo modo: metà della nave resterebbe qui, ancorata a loro» gridò Zac.
Larsson si sentiva addosso gli occhi di tutti quelli che aveva portato in una trappola, girò di poco la testa per guardarli: uomini, donne e bambini. Lesse nelle loro facce la disperazione e questo lo devastò.
«Esplodere è l'ultima cosa che voglio. Prendiamo le armi e prepariamoci a difenderci» fu tutto quello che riuscì a dire.

«Bene capitano. I fuggitivi sono stati catturati» disse vittorioso il commissario «come al solito non potremo trasferirli sulla nostra nave... non c'è abbastanza spazio. Prepari l'abbordatore, andrò io con i miei uomini».
«Quei disperati si difenderanno» ribatté Castillo, visibilmente tirato per dover sottostare agli ordini di quell'essere traboccante di sadismo.
«Siamo incredibilmente più forti, quei folli cercano l'inferno e l'hanno trovato. E pensare che potevano continuare a vivere sulla Terra: bastava non farsi domande e seguire la legge... invece pretendono di pensare. La nostra società non gli piace. Cercano di scappare, per ricominciare da un'altra parte» sbuffò. «Folli!» questa volta rise di gusto.

Castillo entrò nella sua cabina, si fermò davanti all'ampio specchio. Guardò serio se stesso chiedendosi chi fosse l'uomo riflesso sul vetro. Un ufficiale dell'Impero terrestre, quello di sicuro. Ma poi nient'altro? Un guerriero che aveva combattuto mille battaglie, contro nemici che avevano la possibilità di difendersi; anche questo era lui. Ma ultimamente, da quando comandava la corvetta, avevano intercettato solo tre navi cariche di civili. Era il lavoro sporco che aveva sempre cercato di evitare. Ogni volta, il commissario politico e i suoi sgherri avevano abbordato il vascello dei fuggitivi e coloro che non erano morti subito, tentando di resistere, avevano subito torture ingiustificabili inflitte senza neppure l'obiettivo di estorcere informazioni. I superstiti, e fra questi non aveva mai visto bambini, erano stati inviati sulla Terra per un processo farsa seguito dalla fucilazione.
Questa volta sarebbe stato lo stesso. E lui che avrebbe fatto? Niente, perché opporsi significherebbe finire davanti alla corte marziale.
Si lavò forte la faccia con acqua fresca. Osservò ancora il suo viso riflesso e si rese conto che non bastava per pulire la sua coscienza.

L'abbordatore era un'unità sganciabile dalla corvetta. Sostituiva la navetta che non avrebbe trovato posto su un vascello così piccolo. Non aveva nessun sistema di propulsione e nessuna possibilità di essere guidata. Funzionava scorrendo in mezzo ai quattro fulmini azzurri, le “catene magnetiche”, che portavano l'abbordatore come gli antichi binari dei treni, dalla corvetta al mezzo abbordato. Una ventosa permetteva l'attracco e un perforatore meccanico apriva il varco nella struttura permettendo l'ingresso dei soldati.

L'abbordatore si staccò dalla corvetta, lentamente iniziò ad avvicinarsi al Conestoga. Gli uomini della Polizia Speciale controllarono le armature leggere e caricarono le armi a raggi, il commissario accese il monitor interno.
«Voglio il capitano Castillo sul comunicatore. Deve inviare alla Terra il mio rapporto e le prime immagini dei prigionieri».
«Non è qui, signore» rispose imbarazzato il secondo pilota «non riusciamo a trovarlo».

La porta pneumatica della sala magnetica si aprì scorrendo. Castillo entrò e fece fuoco con la sua pistola; gli addetti all'arma, colpiti dal raggio regolato a bassa intensità, caddero a terra tramortiti.
Lucido nella sua azione disperata, afferrò un'ascia dalla sezione antincendio e poi si avventò sulle tubazioni dell'energia. Colpi decisi e fendenti micidiali tranciarono anche i cavi più grossi, scintille divamparono ovunque.
Alla fine, tutto il sistema andò in crisi. Il capitano abbandonò l'ascia e trascinò fuori gli uomini svenuti. Prima uno e poi l'altro, richiuse in fretta la porta e si gettò a terra con loro aspettando l'esplosione.
E esplosione fu.
La struttura della corvetta vibrò forte per il boato, in plancia altre spie d’emergenza si aggiunsero a quelle già accese durante l'assalto con l'ascia. Fuori, nello spazio, le quattro scariche azzurre si interruppero di colpo e l'abbordatore, senza più guide, finì alla deriva.
Attraverso il monitor interno, il commissario urlò di rabbia.
«Voglio sapere cosa diavolo è successo! Chi ha sbagliato pagherà!»
Non ebbe il tempo per una risposta. Procedendo per inerzia l'abbordatore finì addosso al Conestoga, fracassandosi. Il commissario morì all'istante con tutti i suoi uomini, i corpi straziati per l'effetto atmosfera zero uscirono lentamente fuori, poco dopo.

«È successo qualcosa» disse esultante il pilota del cargo «le catene magnetiche si sono spezzate, possiamo fare il salto!»
«Qualcuno, su quella nave, ci ha dato un aiuto» sospirò sottovoce Larsson.
Il pilota azionò la sequenza di tasti per il salto e una lunga scia di led si illuminò sulla consolle, poi, il Conestoga sfrecciò via, più veloce della luce.

La sala magnetica era in fiamme, Castillo si alzò a fatica e chiamò la plancia col suo comunicatore.
«Incendio in sala magnetica, ho con me due feriti. Togliete ossigeno alla sezione e inviate soccorsi».
«Ricevuto capitano, arriviamo subito».
Il capitano Alejandro Castillo pensò a quello che aveva fatto: si chiese se ne era valsa la pena. Poi sorrise, il solo sapere che il commissario politico era diventato un “corpo celeste” che vagava nello spazio gli mise il buon umore.




FINE ?...​
 

Marco Alfaroli

New member
book trailer

Metto il booktrailer e il poster da me realizzato.

Runa Editrice Booktrailer - Archon - Marco Alfaroli - YouTube
advanced.jpg
 
Ultima modifica:

Marco Alfaroli

New member
Spie dell'Impero

Gorsky azionò il bioscanner. Alcuni led cominciarono a brillare, lui se ne disinteressò. Era il primo pilota e aveva molte altre cose da fare. Per esempio controllare l'assetto in orbita. Controllò... tutto regolare.
Il pianeta Archon riempiva la visuale del finestrino anteriore; lo guardò schifato. Quella palla piena di nuvole verdi... quel sasso privo di risorse... Gorsky pensò a quanto fosse stupido essere lì. Eppure era lì. Lui e il suo copilota Connors.
Connors uscì proprio in quel momento dalla piccolissima sezione eliminazione rifiuti biologici: il cesso, in parole povere.
Tutto era stretto nel Ricognitore Spia; i due piloti, quando erano entrambi seduti, si urtavano continuamente i gomiti.
«C'è qualche novità?»
«Sto passando al bioscanner l'intero pianeta: ha rilevato i fuggitivi, ora faccio un controllo delle identità, erano tutti schedati quando hanno lasciato la Terra».
«Ghost è attivo, vero?»
«Mi prendi per un novellino? L'ho attivato prima del salto, non possono averci visto».
Connors andò a sedersi al suo posto... i gomiti si urtarono, come al solito.
Il monitor fu inondato dai dati elaborati: comparvero velocissime le foto di ogni dissidente con nome e età anagrafica all'epoca della fuga. E man mano che il computer analizzava un soggetto, venivano subito calcolati lo stato fisico, psichico e l'età attuale riferita a un tempo terrestre.
Gorsky sgranò gli occhi.
«Ma... deve esserci un errore!»
Sul monitor le foto e i dati scorrevano più lentamente. Comparve un uomo, Ossian Larsson...
Età al momento della fuga: 32 anni. Età attuale 336 anni. Situazione fisica: in perfetta salute.
Il bioscanner passò al prossimo: Klaus Leeber...
Età al momento della fuga: 27 anni. Età attuale 284 anni. Situazione fisica: in perfetta salute.
«Che significa?» disse serio Connors.
«Non lo so, ma dobbiamo riferire».
«Avremmo dovuto trovare i loro pronipoti. Come fanno questi qua, ad essere ancora vivi?»
«Ti ho detto che non lo so! Ci hanno mandato qui a raccogliere informazioni importanti... bene: mi sembra che questo sia abbastanza importante».
Connors trafficò con la consolle del computer, dalla sua parte.
«Che stai facendo? Aspetta almeno che il sistema abbia archiviato i dati di tutti».
«Faccio un controllo in parallelo, sulle bestie indigene».
«Perché? Io le avevo già escluse dalla scansione, dobbiamo indagare sui dissidenti. Sulla Terra non sanno che farsene di quelle creature».
Partì la seconda scansione, si sovrappose alla prima e accanto alle piccole sagome rosse che rappresentavano gli esseri umani presenti sul pianeta, si affiancarono altre sagome gialle, più grandi... dalla forma decisamente inumana.
«Ecco, vedi?» esultò Connors «vedi come stanno vicini, umani e creature aliene?»
Gorsky si avvicinò al video, interessato, grattandosi il mento.
«Troppo vicine. Le avevamo classificate come bestie feroci, che sia possibile addomesticarle?»
«E se fossero intelligenti e si fossero alleate con i fuggitivi?»
«Impossibile: non c'era traccia di tecnologia quando, trecentocinquanta anni fa, i primi esploratori fecero la scansione dall'orbita. E non ce n'è neppure oggi, a parte il piccolo insediamento che però è opera dell'uomo. Ti dico che quelle sono solo bestie, non possono allearsi con nessuno».
Connors scrisse il rapporto, le sue dita correvano veloci sulla tastiera mentre Gorsky continuava a guardare quelle figure. Si chiese quale intreccio perverso poteva essersi verificato tra uomini e alieni... se lo chiese ma non riuscì a darsi una risposta.
La comunicazione Kammax partì poco dopo per la Terra, schizzò via a velocità luce. Il rapporto aveva allegati tutti i dati sulla misteriosa longevità dei dissidenti, e in più, evidenziava la possibile simbiosi tra umani e alieni. Il che era da considerarsi innaturale e pericoloso, nel caso di propagazione su altri mondi controllati dall'Impero.
«Dici che decideranno di intervenire?»
«Non lo so, non ci sono risorse utili da prendere. A che serve venire qui e piazzare una base?»
«Il nostro Imperatore è vecchio, e questi campano almeno trecento anni. Cosa credi che farà quando apprenderà queste notizie?»
Gorsky rimase in silenzio, a pensare.
Connors, invece, si accorse che qualcosa pensava in lui: vide degli occhi che lo guardavano, vide degli occhi... ma li vide solo nei suoi pensieri. E non erano i “suoi” occhi. Si sentì osservato da dentro. Fu una sensazione tremenda che durò poco, ma bastò a inorridirlo.
«Andiamo via di qua, presto! Ci hanno scoperti».
Abbassò la leva principale, quella dei motori di spinta. La nave schizzò via senza meta, senza un briciolo di calcolo rotta impostato. I due piloti furono schiacciati ai sedili per via dell'accelerazione, Gorsky voleva mandarlo al diavolo ma non riusciva a parlare, si ripromise di farlo appena avessero decelerato.
Proxima Centauri ha due pianeti, il secondo è Archon; e il Ricognitore Spia, impazzito per la maldestra manovra di Connors, sfrecciò casualmente proprio verso il primo pianeta... più grande e con una piccola luna.
Finalmente decelerarono.
«Testa di *****! Stai cercando di farci ammazzare?» sbraitò Gorsky.
Connors lo guardava pallido ma non parlava, Gorsky non seppe più che dirgli, con un cenno stizzito lo mandò al diavolo e si interessò agli strumenti. Già due spie rosse avevano cominciato a lampeggiare e non era buon segno.
Controllò utilizzando il computer.
«Ecco, lo sapevo! Hai sforzato due giunti di potenza. Abbiamo un problema: se non ripariamo il danno non potremo fare il salto a velocità luce, per il ritorno».
«Mi dispiace» balbettò Connors «ho avuto paura, quello là era entrato nella mia testa».
«Quello là, chi?»
«Non lo so, forse una di quelle creature aliene che convivono con i fuggitivi».
«Ma erano tutte sul pianeta. Come avrebbe fatto, una di quelle, a entrarti nella testa?»
«Ti dico che l'ha fatto! Non so come, ma ad un tratto ci ha visti. E questo nonostante il sistema Ghost che ci rendeva invisibili. È come se mi avesse visto... in un sogno».
«Bah!...» sbottò Gorsky. Poi tornò a occuparsi dei comandi: afferrò la cloche e virò, aveva già in mente cosa fare.
«Atterriamo su quella piccola luna» disse «faremo le riparazioni necessarie prima di ripartire».

Quella luna aveva un'atmosfera. Le condizioni non erano certo invitanti: quell'atmosfera era talmente densa da impedire qualsiasi osservazione diretta della superficie. Il computer l'analizzò velocemente mentre scendevano:

Diossido di carbonio 82,3%
Azoto 17,5%
Vapore acqueo 0,01%
Ossigeno <20 ppm

«Sei pazzo! Così rischiamo di sfracellarci» protestò Connors.
«Non abbiamo scelta, guarda quanto velocemente scende la nostra energia, grazie al capolavoro che hai fatto».
Effettivamente Gorsky aveva ragione, Connors guardò il display coi livelli energetici e vide che erano in picchiata. Non parlò più, si sentiva in colpa.
Scesero con la maggior cautela possibile, ma non fu sufficiente. Arrivarono sulle rocce, in un punto che non aveva niente di piano. I pattini di stazionamento trovarono appoggio da una parte sola e la nave si inclinò.
Gorsky cercò di riprendersi, voleva risalire e riprovare ma i giunti di potenza esalarono l'ultimo respiro. I motori ebbero un cedimento improvviso e il ricognitore crollò al suolo. Paurosamente inclinato iniziò a scivolare sulle rocce causandosi chissà quali danni. Si fermò più in basso, addosso a un muro di pietre.
I due piloti erano spaventati: quello era senza dubbio un naufragio. Persero perfino la voglia di imprecare.
«E ora? Che si fa?» disse Connors.
«Mettiamo le tute e usciamo, voglio vedere in che condizioni è questa carretta!»

Più tardi, il portello esterno del Ricognitore Spia si aprì, non era stato facile indossare le tute nello spazio angusto dell'abitacolo ma, alla fine, c'erano riusciti. Il primo a uscire fu Connors, calò la scaletta e scese. Subito dietro apparì Gorsky che lo seguì.
«Non si vede niente qui, come facciamo a controllare i danni alla nave?» disse Connors, cercando invano di spostare la nebbia con il guanto, anche se sapeva che era inutile.
«Dobbiamo riuscirci» replicò Gorsky. E intanto avvicinò il casco alla lamiera liscia dello scafo, sforzandosi di vedere.
Connors fece altrettanto in un altro punto, si aiutò tastando coi guanti.

Li videro subito: erano piccoli batuffoli di pelo, di un simpatico color fucsia. Si erano attaccati qua e là sul metallo.
«E questi cosa sono?» disse Gorsky.
Connors ne prese uno, non stava appiccicato, lo raccolse con facilità. Quando l'ebbe sul guanto questo si mosse, lui se l'avvicinò al casco per osservarlo meglio.
Il batuffolo mostrò tre piccoli occhi, prima stavano nascosti in mezzo al pelo, chiusi. Ma ora si erano aperti e lo guardavano.
«È un alieno, un piccolo buffo alieno».
«Piccola luna, piccolo alieno» rise Gorsky «buttalo, abbiamo problemi più importanti da risolvere, piuttosto che giocare con quelle palline».
Connors gettò via il batuffolo, che si perse nella nebbia. Poi però si guardò la tuta: ne aveva altri attaccati addosso, soprattutto sugli stivali.
Perché?

Un forte dolore a un piede lo fece sobbalzare. Gridò.
Il sibilo che seguì gli fece capire che la sua tuta perdeva aria, qualcosa l'aveva forata. Subito dopo cominciò a sentire morsi ai piedi e alle gambe.
«Ahhhh!»
«Che ti prende, Connors!» disse Gorsky allarmato, e subito accorse. Arrivò dall'amico e lo sostenne perché questo sembrava afflosciarsi. Guardò la sua espressione attraverso il vetro del casco: era un'espressione di dolore.
«Ahhhhhhh!... Aiutami...» rantolò Connors.
Gorsky non sapeva cosa fare, esaminò velocemente la tuta di Connors e vide c'erano attaccate molte di quelle palline di pelo. Poi si accorse che in più punti, all'altezza degli stivali, il tessuto era strappato. E vide che le palline entravano.
Tornò a guardare il casco.
Erano dentro, ne aveva alcune dentro e, oltre agli occhi, ora mostravano anche delle bocche piene di piccoli denti. Lo stavano mangiando!
«Ahhhhh!» Connors urlò disperato, ma Gorsky lo lasciò. Aveva capito che non poteva più fare niente per lui. Si guardò a sua volta, si vide addosso i batuffoli color fucsia, erano meno di quelli che aveva Connors, ma molti stavano arrivando e cercavano di salire sui suoi stivali.
Imprecò e corse alla scaletta. Salì preso dal panico, appena fu sopra la sganciò... non c'era tempo per ritrarla. Entrò nell'abitacolo e cercò di chiudere il portello; ma si accorse che dentro era già pieno di palle di pelo color fucsia. Erano arrivate anche lì. Gli arrivarono addosso in massa e altre entrarono dal portello rimasto semi aperto, lo sommersero.
Un urlo agghiacciante uscì dal Ricognitore Spia, fu l'ultimo grido umano che si udì su quella luna, quel giorno.
Dopo, ci fu solo il rumore di mascelle che masticavano.



FINE
 

Marco Alfaroli

New member
Sinossi del libro

Agli inizi degli anni 2000 le economie mondiali collassarono. Il sistema capitalista aveva dominato la società per un certo periodo, creando diseguaglianze, ma anche benessere, soprattutto per i paesi industrializzati.
Quando ci si rese conto che la moneta non era più un valore e le nazioni in via di sviluppo avrebbero preso il sopravvento, si ricorse alla guerra.
Una nuova arma rese inutilizzabili gli ordigni atomici, ma chi la usò non poté avvantaggiarsene: venne derubato e così anche i suoi arsenali furono neutralizzati. La Terra quindi non si autodistrusse, ma piombò in una guerra tradizionale totale e sanguinosa che durò per molti anni.
Una fazione alla fine unificò il mondo sotto la dittatura del “Tiranno”.
Il nuovo ordine fu accettato dai popoli perché riportò la pace, anche se tolse molte libertà. Come è successo in tutte le guerre i progressi tecnologici furono notevoli e già nel 2400 la prima Flotta Terrestre riuscì ad aggredire il sistema Sirio: il governo “nazionalista” della Terra non era interessato all'amicizia con “E.T.”, voleva solo sottometterlo.
In 100 anni fu creato l'Impero dei tre sistemi: Sole, Sirio e Luyten.
Un gruppo di dissidenti in fuga, in un giorno in cui la libertà vinse il duello con l'oppressione, riuscì a raggiungere il secondo pianeta della stella Proxima Centauri. Non valeva la pena di inseguirli: quel mondo era stato classificato dall'Impero come “privo di risorse”.
Ma oggi, a trecento anni da quell'evento, l'attuale Imperatore ormai vecchio e malato scopre che quei fuggitivi vivono ancora di una vita incredibilmente allungata: forse sono immortali.
Il pianeta, che lui stesso aveva battezzato col nome di Archon diventa la sua prossima preda.

Quarta copertina

«Trecento anni fa, un gruppo di dissidenti politici fuggirono dalla Terra a bordo di un cargo spaziale.
Raggiunsero il pianeta che il nostro Imperatore ha chiamato “Arconte”. Di loro non si seppe più nulla,
fino a oggi.
Le nostre spie in missione osservativa occultata hanno riportato le seguenti informazioni: il leader dei
fuggiaschi, Ossian Larsson, vive ancora dopo trecento anni di permanenza su quel mondo.
Il pianeta è abitato da una forma di vita intelligente non ancora classificata; alieni e umani vivono in
simbiosi, quindi i fuggiaschi sono da ritenersi non più umani.
La nostra missione è duplice: conquistare tutto il sistema e scoprire il segreto della longevità dei ribelli.
Partiamo tra una settimana...»
Terra, 24 Maggio 2968
Ammiraglio della
 
Alto