Morante, Elsa - Menzogna e sortilegio

labonsai

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La storia parte da Elisa che racconta del suo volontario isolamento, nella stanza della casa di Rosaria, sua madre adottiva, appena deceduta. Qui, con in mano dei "ricordi" della madre, comincia a raccontare della sua famiglia, partendo dalla nonna Cesira, un'umile maestrina. Incontriamo Teodoro, marito di Cesira, da lei sposato perchè creduto nobiluomo, mentre in realtà era stato ripudiato dalla famiglia e dall'alta società per i uoi vizietti e più tardi proprio per questo matrimonio sconveniente. Dalla loro unione nasce Anna, una bellissima bambina adorata dal padre, che lo ama come allo stesso modo respinge la madre (che riterrà poi colpevole della morte di Teodoro). Quando cresce, Anna si innamora del bello e volubile cugino Edoardo, da lei sognato fin dall'infanzia dopo un casuale incontro. Edoardo si ammalerà e respingerà la cugina in malomodo. Anna allora sposerà per necessità l'amico di Edoardo, Francesco De Salvi, il quale per lei abbandonerà gli studi e comincerà a lavorare. La adorerà, per darle ciò che vuole lavorerà di giorno, di notte nel treno postale, farà di tutto per essere accettato senza riuscirci. Dalla loro unione nasce Elisa, colei che racconta questa storia e che respinge ogni tentativo del padre di avvicinarsi a lei, mentre aspetta disperatamente un gesto d'amore dalla madre. Elisa ama Anna che la respinge; Anna amerà per sempre il cugino Edoardo che l'ha respinta; Francesco ama Anna che lo odia... e Rosaria, una prostituta che fu fidanzata di Francesco prima del suo matrimono con Anna, ama Francesco che non la vuole(se non carnalmente). E' sempre il ripetersi di un amore a senso unico.
Un romanzo in cui ho trovato un mix di sentimenti negativi agghiacciante: odio, arroganza, vanità, egoismo, vanagloria, accidia, cattiveria... Tutti i personaggi sono alla dipserata ricerca di ricchezze, di posizione sociale e per questo i matrimoni sono tutti d'interesse.
L'unico personaggio in qualche modo "buono" è proprio la prostituta Rosaria, che accetta ed adotta Elisa rimasta orfana, proprio per amore di Francesco.
In tutto questo intreccio ci sono le fortissime presenze di "mondi paralleli" che ogni personaggio crea per sè. Ognuno di essi si crea un mondo di finzione dove è od ha quello che vuole...

E' stato lo stile ad essermi rimasto ostico.. uno stile d'altri tempi direi, con un sacco di termini arcaici ripetuti sin troppe volte. Uno stile pomposo.. a volte mi perdevo nei mille pensieri di Elisa e quel linguaggio non mi ha sicuramente aiutata a farmi sentire meno "pesante" il tutto.
Mi dispiae perchè ero partita con molto entusiasmo nella lettura, entusiasmo che si è affievolito pian piano, nonostante la storia sia interessante. Forse tra qualche anno lo riprenderò in mano e chissà, supererò lo scoglio che non mi ha lasciata coinvolgere.
 
Ultima modifica di un moderatore:
Ecco non ho mai letto libri della Morante pur essendomene documentata proprio per questo scoglio dello stile di cui parli, ma per farne una verifica un giorno ne prenderò una mano e vedremo!
Grazie
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Io adoro lo stile della Morante e non l'ho trovato per nulla ostico,meno male,altrimenti mi sarei persa 2 capolavori come questo e La storia :ad:.
Penso anche che li rileggerò entrambi perchè a distanza di parecchi anni tendo a dimenticare la trama,quindi li riprenderò volentieri.
Mi è rimasto comunque il ricordo di una storia coinvolgente che nasce dal racconto della protagonista e se ricordo bene,insieme a lei c'è un gatto (io amo i gatti) con un nome buffo che le fa compagnia.
 

elisa

Motherator
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Romanzo ponderoso e intenso che nelle su settecento pagine scritte in prosa classica ma con passione moderna racchiude lo spirito e in parte l'autobiografia di una delle scrittrici più significative della nostra storia italiana. E' scorrevole e complesso nello stesso tempo con tutti i temi cari alla scrittrice, se ne esce un po' stralunati ma sicuramente segnati e con la voglia di proseguire a leggerla.
 

ayuthaya

Moderator
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Il titolo di questo libro mi ha sempre incuriosito e intimorito insieme. Per quanto abbia amato sia La storia sia L’isola di Arturo, mi faceva un po’ paura un romanzo dal titolo così apparentemente serio e “pomposo”. Perché proprio Menzogna e sortilegio?

La menzogna è la protagonista indiscussa di questo libro. Essa ci viene presentata con tutti gli onori nei capitoli iniziali, gli unici paradossalmente intrisi di verità, di consapevolezza. Elisa, la narratrice, bambina all'epoca dei fatti e ormai adulta, afferma:
Io ero, difatti, venuta in possesso dell’ultima e più importante eredità lasciatami dai miei genitori: la menzogna, ch’essi mi avevano trasmesso come un morbo. (...) Essi mi mostravano, infatti, la disumana, solitaria fine riserbata a chi rifiuta la sorte assegnatagli in questa vita; e si finge uno scenario e una compagnia di menzogne, eleggendole a sua sola verità.

Da una parte la menzogna, quindi, alla quale Elisa non può sottrarsi per “disposizione nativa”, dall’altra il sortilegio, che la costringe a soccombere ai propri spettri, quasi non avesse più una volontà propria. Le pagine in cui la donna descrive questa sorta di "possessione" sono di una bellezza straordinaria: “Tale, certo, è la volontà dei miei. Riconosco infatti, nell’inesistente bisbiglio che ascolto, le loro molteplici voci, e questo libro m’è dettato, in realtà, da essi. Son essi che, in cerchio intorno a me, bisbigliano. S’io levo pupille, dileguano; ma se, usando un poco d’astuzia, sogguardo appena intorno senza farmi scorgere, distinguo le loro figure strane e incerte; e vedo, nella sostanza trasparente dei loro volti, il movimento febbrile e ininterrotto delle loro lingue sottili.

Questa stessa malsana bellezza, che nasce non dall’equilibrio ma dalla follia, permea ogni singola pagina del racconto di Elisa sulle vicende della sua famiglia. La forza dirompente di questa storia, la sua profondità psicologica, la sua fatalità tragica risiede nel fatto che se da una parte il racconto a posteriori permetterebbe a Elisa di smascherare finalmente i propri demoni infantili, dall’altra lei si rifiuta di farlo, non può farlo, costretta com’è ad amare nonostante tutto chi non è mai stato degno del suo amore: “Insomma io non ebbi mai a perdonare alle persone amate i loro vizi, perché non vidi mai nessun vizio in loro.”

In questo senso la figura di Anna, madre crudele e pur tuttavia amata sopra ogni cosa, vittima (prima di tutto di se stessa) e carnefice allo stesso tempo, ha in sé qualcosa di tragico in senso classico e per questo motivo raggiunge una perfezione letteraria che si nutre proprio della sua disumanità.
Se Anna, per superbia, indifferenza, cieco egoismo rappresenta una vetta difficilmente raggiungibile, è però vero che tutti i personaggi di questo romanzo sono vittime di maschere da se stessi fabbricate: tutti sono ciechi di fronte alla verità, tutti preferiscono soffrire dentro la propria menzogna piuttosto che accettare ciò che realmente sono e potrebbero essere l’uno per l’altro. Ecco quindi la negazione di qualsiasi rapporto umano: non solo fra marito e moglie, fra amante e amato, ma persino fra madre e figlio (penso non solo a Anna con Elisa, ma anche alla povera Alessandra, rinnegata dal suo amato Francesco).

A ben vedere questo romanzo è davvero di una tristezza infinita: nessuno si salva, condannato com’è dal proprio orgoglio o dall’indifferenza degli altri, nessuno a eccezione forse della povera Rosaria, l’unico personaggio che, non facendo parte della famiglia, sembra sfuggire al “morbo della menzogna” e, dopo essere stata abbandonata una prima volta, impara ad accettare se stessa, ad amarsi e, quindi, ad amare a sua volta. A modo suo, ma ad amare.

Una storia tormentata e struggente, raccontata in uno stile volutamente tradizionale, di impostazione ottocentesca, ma che è attraversato da un tale impeto di passione repressa, da "vibrare" come il più travolgente dei romanzi d'amore.
Bellissimissimo. E la Morante, a parer mio, ampiamente sottovalutata.
 
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