Ho pensato delle domande che possano andar bene per qualunque scrittore, ma se dovessi farle davvero non potrei rivolgerle che a Philip Roth...
-Scrive per se stesso, seguendo un impulso che nasce e si risolve dentro di lei, o lo fa già sapendo di rivolgersi a qualcuno? In altre parole, quanto è importante per lei la certezza di essere letto? Scriverebbe lo stesso se sapesse che non c'è nessuno che la legge?
-Ha mai paura che quello che scrive possa essere frainteso o che possa suscitare emozioni diverse da quelle che lei sperava? Si crea mai aspettative (positive o negative) su quello che il suo futuro lettore potrà provare leggendo i suoi libri? è giusto farsene, secondo lei?
-Se avesse davanti un suo lettore, le importerebbe sapere quello che pensa dei suoi libri?
-Cos'è, per lei, la scrittura? un'evasione, un sogno realizzato, un rifugio, un modo per dare un senso alla realtà? Che rapporto crede che esista tra finzione letteraria e realtà?
-Per essere un buon scrittore occorre essere anche un buon lettore?
-Riuscirebbe a non scrivere?
-Crede che potrà mai arrivare in un momento in cui sente di non avere più nulla da dire?
-Si dice che i personaggi creati abbiano sempre qualcosa di autobiografico... è vero? Riuscirebbe a descrivere un'emozione o una paura che non le appartiene, quasi fosse un attore?
-C'è un romanzo da lei scritto in cui si identifica più che in tutti gli altri? e perchè?
-Crede che "salvi" di più un uomo tirare fuori (nel senso di prendere coscienza) il "meglio" o il "peggio" che è in lui? Nei suoi romanzi ha fatto entrambe le cose...