Silone, Ignazio - L'avventura d'un povero cristiano

DoppiaB

W I LIBRI !
Mi meraviglia che ancora nessuno abbia recensito questo libro! Provo a farlo io...

A Perugia si sta per concludere un conclave durato ventisette mesi, durante il quale due fazioni contrapposte di cardinali, una capeggiata dal cardinale Matteo Orsini e l'altra dal cardinale Giacomo Colonna, non riuscivano a mettersi d'accordo su chi dovesse salire al soglio pontificio. Finchè, al fine di sedare anche i disordini che stavano scoppiando a Roma, il re di Napoli, Carlo II e Fra Pietro Angelerio intervennero per sollecitare i cardinali ad una decisione. Fu così che i cardinali decisero di eleggere a nuovo papa proprio fra Pietro Angelerio.
Fra Pietro Angelerio era un frate eremita che al momento dell'elezione viveva tra le montagne abruzzesi, anni prima fondò una nuova congregazione monastica che si rifaceva all'ordine dei benedettini. Congregazione dedita alla preghiera, alla meditazione e alla vita eremitica.
Eletto papa con il nome di Celestino V si ritrovò a fare i conti con un mondo, quello della curia romana del 1294, che era lontanissimo dal suo modo di vivere e vedere la vita religiosa.
Dopo la sua abdicazione, subdolamente voluta anche dal cardinale Benedetto Caetani ( futuro papa Bonifacio VIII), Celestino e tutti i frati suoi seguaci furono vittime di persecuzioni dei tribunali ecclesiastici.


In questo libro Ignazio Silone racconta la storia di questo papa, uomo semplice e umile religioso, legato agli insegnamenti del Vangelo e alla vita di San Francesco d'Assisi, che si ritrova a fare i conti con intrighi e meschinità.
Chi lo elesse al soglio pontificio credeva di poterlo manovrare a proprio piacere: “Non rimaneva che una soluzione provvisoria: eleggere al pontificato un buon cristiano di provata ingenuità, estraneo agli affari del mondo, un uomo arrendevole che rispettasse gli interessi costituiti. In parole povere, far papa un uomo pio e disinteressato che non rubasse e lasciasse rubare quelli che, per tradizione di famiglia, per così dire, vi avevano diritto.”, questo fa dire Silone a fra Ludovico, seguace di Celestino V.
Peccato che Celestino V sia stato un papa tutt'altro che ingenuo e manovrabile, anzi ha dimostrato, anche con le sue dimissioni, di avere un carattere fermo e di non voler sottostare al potere corrotto della Chiesa. Insomma un povero e buon cristiano che si è ritrovato al centro di un'avventura più grande di lui.
 

Meri

Viôt di viodi
Carino, non ho amato molto la versione copione da teatro, ma il pensiero di Celestino è molto ben definito.-
 
Appena finito di leggere. L'ho trovato meraviglioso. Da una parte Silone descrive perfettamente lo storico conflitto tra la Chiesa profetica ed evangelica e la Chiesa del potere. Dall'altra Silone fa giustizia della figura di Celestino V del quale tutti ricordano solamente il giudizio negativo che ne fece Dante nella Divina Commedia (giudizio che si può comprendere alla luce della concezione politica dantesca). Nonostante l'impostazione teatrale si legge che è una meraviglia. Consigliabilissimo
 

Spilla

Well-known member
Interessante, un episodio della storia ben poco conosciuto viene indagato e presentato ai contemporanei.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Mi è piaciuto tantissimo, tesi ed eresie ancora moderne, la descrizione del potere e dell'impossibilità per un cristiano di starci dentro è impeccabile.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Chissà perché continuo a portarmi dietro il pregiudizio che determinati autori e determinati titoli (soprattutto italiani) siano pesanti! Si tratta davvero di un pregiudizio ingiustificato, ma evidentemente mi toccherà leggere ancora tanti piccoli capolavori perchè si cancelli. Poco male.

A essere sincera non mi ricordavo neppure la vicenda di Celestino V, papa per solo cinque mesi prima di rinunciare al proprio incarico. Dimenticanza ancora più grave visto che quasi certamente è a lui che Dante si riferisce quando scrive “Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,/ vidi e conobbi l'ombra di colui/che fece per viltade il gran rifiuto”, ponendo il rinunciatario nel girone dell’Inferno dedicato agli ignavi.
É stato dunque così vile Pietro Angelerio da meritare un tale trattamento?
Quel che è certo è che Ignazio Silone ce ne lascia un ritratto indimenticabile, in questa breve opera, sotto forma di testo teatrale, che io ho apprezzato moltissimo, dalla prima all’ultima pagina. Davvero quella che lui racconta è “l’avventura di un povero cristiano”: un uomo semplice, un eremita che metteva al primo posto Dio e la povertà, come predicato pochi decenni prima da Francesco d’Assisi, e che ha cullato l’illusione di poter portare questi valori semplici all’interno di una realtà strutturata come la Chiesa ai suoi vertici.

Molti elementi mi hanno colpito in questa vicenda, a partire dalla velocità con cui il messaggio francescano si fosse inquinato, fino a rendere gli “spirituali”, fortemente critici nei confronti del potere, delle figure invise alle autorità ecclesiastiche.
Amaro poi riflettere sul fatto che ci fosse un’incompatibilità talmente grande tra “fede autentica” e “ufficio di romano pontefice”, da far sì che l’unica soluzione possibile, per un uomo che non voleva tradire la propria più intima vocazione di cristiano, fosse la rinuncia.
Ma soprattutto a colpirmi è stato questo: se non avessi saputo che tutti i tasselli di questa vicenda (l’inaspettata elezione dopo due anni di conclave, lo sforzo di adempiere al compito assunto senza venire a patti con la propria coscienza, il sofferto riconoscimento del proprio “fallimento”, le dimissioni, la tentata fuga e la latitanza, fino alla prigionia e alla morte) sono autentici, storici, avrei pensato a un’incredibile trovata narrativa.
Insomma, è proprio vero che la realtà supera la fantasia e questo spaccato di vita, che è parte sia della grande Storia, sia della piccola storia di un uomo umile, è allo stesso tempo una testimonianza dolorosa e grandissima.

Aggiungo solo un’altra cosa: mi è piaciuta molto anche la prima parte del libro, in cui il narratore (Silone stesso) racconta in qualche modo la genesi della sua opera e ciò che l’ha ispirata. Chiudo questo commento con questo passaggio che mi ha colpito:

Francamente mi sorprende che altri scrittori vantino la diversità di qualche loro opera; a me non dispiace una sostanziale coerenza. Se uno scrittore mette tutto se stesso nel lavoro (e che altro può metterci?) la sua opera non può non costituire un unico libro. Ho già detto in altra occasione che, se fosse stato in mio potere di cambiare le leggi mercantili della società letteraria, avrei amato passare la vita a scrivere e riscrivere sempre la stessa storia, nella speranza, se non altro, di finire col capirla e farla capire. Così nel medioevo vi erano dei monaci che trascorrevano l’esistenza a dipingere il Volto Santo, sempre il medesimo volto, che in realtà poi non era mai del tutto identico. Ormai è chiaro che a me interessa la sorte d’un certo tipo d’uomo, d’un certo tipo di cristiano, nell’ingranaggio del mondo, e non saprei scrivere d’altro.”
 
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