Kawabata, Yasunari - Il maestro di go

Go daigo

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Trama tratta dal web:

Nello scenario seducente di un albergo giapponese di campagna, con un cerimoniale quasi liturgico, il maestro Shusai, l'eroe fino ad allora imbattuto, conduce la sua ultima, epica sfida: una partita di go che durerà sei lunghi mesi e che rimarrà celebre negli annali di quest'arte. La posta in gioco è ben più importante di un premio. La vittoria determinerà la fine di tutto un mondo: il go come esperienza estetica, il rispetto per gli anziani maestri e per l'avversario, la silenziosa concentrazione che fa di quest'arte una via di saggezza. Romanzo di straordinaria tensione a volte quasi insostenibile, "Il maestro di Go" trasforma, pagina dopo pagina, le mosse dei due contendenti in un gioco di vita e di morte: uno solo potrà uscirne vivo.

Questo capolavoro della letteratura giapponese si è parato davanti ai miei occhi come un muro impenetrabile. La prima lettura è stata lunga e complessa,credo soprattutto per una mia generale svogliatezza nel voler comprendere il messaggio di Kawabata.
Dopo due anni ho dovuto affrontare una seconda lettura per motivi di studio.
Non dico l'esasperazione nel dover riaprire questo libro.
Questa volta però la mia concentrazione era maggiore e di conseguenza anche il mio giudizio iniziale si è ribaltato. Consiglio,prima di iniziare la lettura del romanzo,una veloce infarinata sul gioco del go,nel mio caso possibile grazie ad un'appendice alla fine del testo. Non capirete nulla lo stesso ma vi permetterà di entrare nel meccanismo di gioco. Il go è una disciplina che supera la semplice attrattiva della competizione ai fini della vittoria. Come tutti gli aspetti nella cultura giapponese,anche in questo caso i legami con la filosofia e il raggiungimento dell'elevazione interiore sono annodati a doppio filo. Il fulcro fondamentale non è la piena comprensione del gioco ma la strategia utilizzata durante l'intero percorso di gara che riflette la personalità e l'atteggiamento dei giocatori. Kawabata è riuscito a rappresentare l'eleganza disinvolta,la malattia logorante e la vulnerabilità del maestro così come l'impetuosità e la tenacia del suo avversario, solamente descrivendo le loro mosse o la posizione tenuta davanti il goban.
La lettura si è dipanata come un continuo andare oltre la superficie fino al momento in cui anche io,lettrice, sono stata risucchiata dagli avvenimenti. Quest'ultima partita è stata una vera lotta tra il passato ed il futuro. Il maestro incarna un'epoca ormai lontana,ricordata con nostalgia ma allo stesso tempo incatenata per sempre al passato e impossibile da riproporre.
Ōtake,l'avversario del maestro, apre,invece,il go verso l'evoluzione e l'adeguamento ai tempi moderni. Lo scrittore osservando la scena si rende conto dell'importanza del momento e per questo non può far altro che annotare questo passaggio di consegne. La sconfitta del maestro non può che apparire scontata sin dall'inizio. Suggerisco vivamente la lettura di questo libro solamente se già legati in qualche modo alla lettura giapponese e quindi predisposti a questo tipo di narrativa.
 
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ayuthaya

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Terzo libro che leggo di Kawabata: una conquista lenta, la sua, graduale ma inarrestabile. Proprio come in una partita a go, questo autore ha usato le armi – tutte giapponesi – dell'attesa, del lento ma inesorabile appropriarsi del “vuoto” dell'avversario (la non-esistenza, quindi la “pienezza” del vuoto, è una grande lezione per noi occidentali): in questo caso, per insinuarsi nel mio animo e occupare un “territorio” sempre più ampio... ma la partita è ancora lunga! Così come eccezionalmente lunga è stata quella disputata fra il meijin Shusai, nel libro chiamato semplicemente “il maestro”, e il suo giovane, temibile e “moderno” avversario, Otake: ben sei mesi. Un (triste, perchè dovuto alla malattia del maestro) record per i giapponesi stessi, ma che svela un aspetto fondamentale del loro modo di concepire il go: ogni mossa è il frutto di una scelta serena, ponderata, e le emozioni accumulate nel corso della partita devono poter essere come “riassorbite” prima dell'incontro successivo. Perciò ogni incontro è intervallato da almeno tre, quattro giorni di riposo... La ragione è semplice: il go non è un gioco, è un'arte.

Il maestro aveva disputato la partita come accingendosi alla creazione di un capolavoro. Un dipinto perfetto (…). Il sovrapporsi dei bianchi e dei neri rispecchiava intenti e modi della creazione artistica, in un fluire melodioso dell'animo come nella musica.

Allo stesso modo questo libro non è un “romanzo” (non c'è nulla di inventato e quindi neanche di volutamente accattivante), e neanche la cronistoria di una partita, come credevo prima di averlo letto, bensì un'opera d'arte essa stessa, nella quale si dipinge un mondo che sta scomparendo, ma – agli occhi di noi occidentali – un mondo che pure resta fortemente riconoscibile, e inaccessibile nella sua purezza, levità, alterità.
Kawabata, da giapponese che vive in prima persona l'evolversi della propria cultura in senso "moderno", si riferisce spesso ai due professionisti quasi fossero i rappresentanti di due mondi in contrapposizione fra loro: da una parte il maestro, retaggio della tradizione, quando il go si fondava sulla stima reciproca dei giocatori, sulla fiducia nelle loro qualità umane, quando non erano necessarie troppe regole perchè nel momento stesso in cui si pongono delle norme per evitare tattiche scorrette, si trova subito il modo di piegarle a proprio vantaggio; dall’altra il nervoso, “cupo”, efficace Otake, che rispetta il passato ma che ormai non ne fa più parte. Otake rappresenta lo spirito di competizione, l’agonismo il cui unico scopo è la vittoria. L' “indifferenza”, l’imperturbabilità, la dignità del maestro si scontrano con la fermezza e la coraggiosa determinazione di Otake. Ed è bellissimo notare come Kawabata, pur “neutrale" nel suo ruolo di cronista prima e di commentatore poi, non può non soffrire nel rendersi inequivocabilmente conto che qualcosa sta cambiando, per sempre, e che certi valori andranno irremediabilmente persi.
Nonostante questo senso di perdita dolorosa e irrevocabile (nel momento in cui il Giappone, mettendosi al passo coi tempi e aprendosi al resto del mondo, “globalizza” la propria cultura) resta, come dicevo, – da parte del lettore occidentale – tutta la percezione della distanza con questo mondo, tanto più genuina in quanto più è non voluta dall'autore, ma sorge in modo del tutto spontaneo, naturale.
Io credo che questa distanza, che è misura della diversità, sia una ricchezza da custodire, da gustare. Anche attraverso questo libro.
 
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