Kolitz, Zvi - Yossl Rakover si rivolge a Dio

Lollina

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Yoss Rakover, combattente nell’insurrezione del ghetto di Varsavia, circondato dai cadaveri dei suoi compagni (compreso quello di un bambino), assediato senza speranza di salvezza in una casa diroccata dai lanciafiamme nazisti, affida alla carta le memorie dell’orrore vissuto e il proprio testamento spirituale: in realtà un mutuo colloquio con Dio, una specie di faccia a faccia, una finale resa dei conti con il Dio che «ha nascosto il suo volto al mondo». Non una disperata ribellione né una professione di ateismo, come ci si aspetterebbe da chi ha visto in faccia il Male: ma l’adesione lucida e matura ad una religione per adulti, senza consolazione, in cui il Dio di giustizia e non di misericordia lascia l’uomo solo di fronte al male di cui costui è l’unico responsabile. Eppure l’autore di queste poche pagine non è indifeso, ma armato dall’orgoglio di essere ebreo, dalla consapevolezza di appartenere ai giusti illuminati dalla Torah, dalla Legge che è innanzitutto legge morale.
Il testo, di cui si dice che fu rinvenuto tra le macerie del ghetto, conobbe un successo eccezionale nella comunità ebraica, tanto da essere annoverato tra i testi originali della poesia religiosa ebraica, grazie anche al patrocinio di intellettuali come E. Lévinas. In realtà il testamento di Yossl Rakover ha una storia che è essa stessa un romanzo: nel 1993 il critico P. Badde ha dimostrato definitivamente che non di un documento originale si tratta, bensì di una vera e propria creazione letteraria, ovvero dell’opera più alta di Zvi Kolitz, ebreo lituano naturalizzato americano dopo aver militato nel movimento sionista. La storia personale di Zvi Kolitz e quella singolare della sua opera, il cui percorso è proseguito indipendentemente dall’autore diventando proprietà e creazione collettiva del popolo ebraico, sono narrate nel saggio dello stesso Badde pubblicato in appendice nell’edizione Adelphi, insieme a quello di Lévinas che ha ribattezzato la preghiera di Yossl Rakover un «Salmo moderno».
 

bouvard

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“Credo nel sole, anche quando non splende; credo nell’amore, anche quando non lo sento, credo in Dio, anche quando tace”. (Scritta sul muro di una cantina di Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata della guerra).

Questo racconto (trenta pagine appena) non è un atto di accusa contro Dio da parte di un uomo che ha perso tutto mentre Dio apparentemente guardava da un’altra parte. Non ci sono infatti accuse, non c’è rabbia nelle parole di Yossl Rakover. E’ invece un dialogo pacato, un parlare da pari a pari tra un uomo e il suo Dio, perché se un tempo Rakover si sentiva in debito verso Dio dovendogli tutto, adesso non è più così, perché anche Dio è in debito nei suoi confronti. Rakover è un ebreo fiero di appartenere al Popolo Eletto, fiero del suo Dio e della sua fede. Ma Dio ha fatto di tutto per far vacillare quella fede. E quel “di tutto” è il suo silenzio di fronte all’Olocausto. “Esiste al mondo una colpa che meriti un castigo come quello che ci è stato inflitto?” questa è una delle domande che Rakover rivolge al suo Dio, nel tentativo di capirne il silenzio di fronte ad una simile tragedia, e capire cosa ancora gli ebrei dovranno sopportare.

“E queste sono le mie ultime parole per Te, mio Dio colmo d’ira: Non Ti servirà a nulla! Hai fatto di tutto perché non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto, pervaso da un’incrollabile fede in Te”.

Trenta pagine molto significative che inducono a non poche riflessioni e danno molte risposte su cosa significhi aver fede. Bello, consigliato.
 
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