Dan è un ragazzo inquieto e poco socievole che lavora in uno squallido, enorme centro commerciale. Odia il suo lavoro. Rhoda è una giovane freak nera, sfregiata da una cicatrice che tutti guardano con orrore, e ha qualcosa in comune con Dan: odia la propria vita. Un giorno Rhoda, per procurarsi la cocaina, trascina al centro commerciale il bambino a cui fa da baby sitter ma, in un momento di disattenzione, il ragazzino sparisce e lei va nel panico. Poi vede Dan e lo costringe ad aiutarla. Mentre esplorano corridoi illuminati dai neon sulle tracce del piccolo, inquietanti SMS li attirano nelle viscere dell’edificio, dove sono accatastati mucchi di vecchi manichini e dal soffitto gocciola uno strano liquame. Tentando di fuggire da quel macabro spettacolo, si rendono conto di essere rimasti invischiati in un allucinante gioco a quiz gestito da qualcuno che rimane sempre nell’ombra e che dall’ombra osserva e ascolta ogni loro minimo gesto, ogni sillaba, ogni brivido d’orrore. Inseguiti da esseri informi, precipitano in un inquietante e mostruoso mondo parallelo, dove i commessi sono incatenati ai banconi, dove nessuno è normale, dove l’universo intero sembra popolato da manichini e freak che ai tavolini del bar si cibano di poltiglie sanguinolente. Riusciranno mai Dan e Rhoda a ritornare alla loro realtà? A sfuggire alla mente mostruosa che li vuole persi per sempre nei labirinti infernali dell’enorme, disumano centro commerciale?
Libro su cui sono molto combattuto, la prima definizione che mi viene in mente è "mattissimo". L'idea di base sarebbe davvero buona - finire in un centro commerciale parallelo, in una dimensione altra rispetto alla nostra, popolato da stranezze, freak fulminati e impiegati "prosciugati" di qualsiasi forza di volontà e libertà decisionale - ma la realizzazione, ahimè, lascia a desiderare.
Anzitutto il linguaggio con cui è scritto: ok che l'intenzione è quella di rendere la parlata slang di due giovani (una "ragazzaccia" e un anonimo commesso), però il ricorso alle parolacce e la scurrilità gratuita qui superano di gran lunga un livello accettabile. E' pur sempre un romanzo, un filtro letterario è d'uopo.
Per quanto riguarda la trama, ho trovato adrenalinica la parte in cui finiscono nelle viscere del centro commerciale: le sensazioni asfittiche di claustrofobia, o di essere braccati e di non farcela a uscire dall'ascensore, dai tunnel, dal condotto sott'acqua, sono rese bene e mettono ansia nel lettore.
La seconda parte, invece, quando arrivano all'altro "mall", l'ho trovata più debole, meno frizzante e ansiogena. Boccio infine l'ultima parte in cui sono a casa della madre e pian piano si fa strada dentro di loro il desiderio di "tornare". Qui gli autori strizzano l'occhio a Lost (We gotta go back, Kate... We gotta go back!) ed è tutt'altro che una trovata originale.
Do 3 stelline per compensare questo squilibrio: 4 stelle la parte della fuga/via di scampo, 2 stelle la seconda e la terza.
Curiosità: il titolo in italiano non c'azzecca niente. I manichini compaiono in una manciata di pagine e non sono affatto protagonisti della storia. Il cuore pulsante e protagonista indiscusso in realtà è il centro commerciale, e infatti il titolo originale è "The mall".
Libro su cui sono molto combattuto, la prima definizione che mi viene in mente è "mattissimo". L'idea di base sarebbe davvero buona - finire in un centro commerciale parallelo, in una dimensione altra rispetto alla nostra, popolato da stranezze, freak fulminati e impiegati "prosciugati" di qualsiasi forza di volontà e libertà decisionale - ma la realizzazione, ahimè, lascia a desiderare.
Anzitutto il linguaggio con cui è scritto: ok che l'intenzione è quella di rendere la parlata slang di due giovani (una "ragazzaccia" e un anonimo commesso), però il ricorso alle parolacce e la scurrilità gratuita qui superano di gran lunga un livello accettabile. E' pur sempre un romanzo, un filtro letterario è d'uopo.
Per quanto riguarda la trama, ho trovato adrenalinica la parte in cui finiscono nelle viscere del centro commerciale: le sensazioni asfittiche di claustrofobia, o di essere braccati e di non farcela a uscire dall'ascensore, dai tunnel, dal condotto sott'acqua, sono rese bene e mettono ansia nel lettore.
La seconda parte, invece, quando arrivano all'altro "mall", l'ho trovata più debole, meno frizzante e ansiogena. Boccio infine l'ultima parte in cui sono a casa della madre e pian piano si fa strada dentro di loro il desiderio di "tornare". Qui gli autori strizzano l'occhio a Lost (We gotta go back, Kate... We gotta go back!) ed è tutt'altro che una trovata originale.
Do 3 stelline per compensare questo squilibrio: 4 stelle la parte della fuga/via di scampo, 2 stelle la seconda e la terza.
Curiosità: il titolo in italiano non c'azzecca niente. I manichini compaiono in una manciata di pagine e non sono affatto protagonisti della storia. Il cuore pulsante e protagonista indiscusso in realtà è il centro commerciale, e infatti il titolo originale è "The mall".