Leone, Rossella - LOVE GAME: un romanzo di amore e mistero!

Rossy79

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Salve a tutti!
Mi presento: mi chiamo Rossella Leone,
amo scrivere da sempre e, dopo anni ad affollare scrivanie e cassetti di pensieri, poesie, mini racconti ho deciso di "fare il gran passo" e cimentarmi in un romanzo.
Credevo che mi sarebbero mancate le parole...ed invece ho avuto il problema opposto (ridimensionarmi è stato difficilissimo!!)
Ed ora eccomi qui, emozionata ma felice di presentarvi la mia fatica.

La mia opera si chiama LOVE GAME (Edizioni Rei).

Questa è la quarta di copertina:

"Quando Katia, un po’ controvoglia, segue l’amica Ylaria in un’inaspettata vacanza in montagna, è davvero convinta che in quel piccolo chalet tra i monti, lontano da tutto e tutti, trascorrerà una tranquilla, rilassante gita, dimenticando i propri guai.
Le sue speranze crollano rapidamente non appena scopre che l’amica ha “inavvertitamente” tralasciato di dirle alcuni insignificanti dettagli.
Cose piccole piccole, del tipo:

che nello chalet è previsto un gioco di ruolo: il Love Game, una sorta di recita a soggetto, a cui tutti i villeggianti devono obbligatoriamente partecipare

che solo ad alcuni di loro (detti Ranger Love) toccherà orchestrare (senza farsi scoprire) bollenti incontri amorosi o, al contrario, scatenare odio tra i concorrenti

che il premio in palio per la squadra vincitrice è (rullo di tamburi!!!) una lussuosa vacanza per due negli alberghi più chic d’America (un loro vecchio sogno)

Che dietro quella folle trovata ci sia lo zampino di Ylaria?
Katia ne è certa, così come sa che, arrivata a quel punto, non può più tirarsi indietro.
In fondo oramai è in gioco… tanto vale giocare no?"

due star in lotta per primeggiare...
un matrimonio da favola da organizzare...
un'amica da salvare...
un tradimento da coprire...
uno sfavillante ballo a cui partecipare...


per tutte le irriducibili delle favole, dei castelli, dei principi azzurri (anche se un po' sbiaditi)... e delle lotte all'ultima borsa (rigorosamente firmata!) per conquistarseli!

trovate l'e-book (a prezzo pieno 5 euro ma ovunque troverete sconti!)sui principali siti on-line (amazon, Lafeltrinelli,Rizzoli,Ultimabooks , bookrepublic)
Su Ultima books (se vi registrate in regalo 3 euro) potete leggere un'anteprima del testo (anche se comunque posterò qui dei capitoli)
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Grazie a tutti dell'attenzione....e ,se avete dei dubbi,delle curiosità...non esitate a chiedere!!^__^

Per tutti quelli che amano il genere...ecco un piccolo incipit del primo capitolo( aggiungerò ogni giorno un pezzo...)
vorrei le vostre opinioni!!!


Un insolito invito



Quel giorno Katia si sentiva più agitata del solito.
– Siamo arrivate! – gridò gioiosa la compagna di viaggio, sbattendo con forza la portiera.
– Non è magnifico qui? – esclamò poi correndo esultante sullo spiazzo erboso. Katia la raggiunse senza troppo entusiasmo. Il lieve senso di disagio provato fino a poco prima si trasformò in marcata angoscia quando si guardò bene intorno:, erano nel cuore della Svizzera, tra montagne puntute e boschi intricati. In-torno a loro, a parte un manto innevato e qualche scoiattolo, il nulla. Non c’era traccia di civiltà per molti, molti chilometri. Troppi.
– Ylaria, dove siamo di preciso? – domandò allarmata. La sua voce risuonò sinistra come il grido di un uccello spaventato.
– Stai tranquilla. Nessun orso ti attaccherà. Dovrebbero già essere tutti in letargo – l’informò seria l’amica, imboccando con scioltezza un viottolo seminascosto da un gruppo di alberi. Da quello che poteva vedere – ed era ben poco – la stradina saliva verso l’alto serpeggiando lungo una collina.
E poi la sua mente si cristallizzò su un dettaglio: Orsi? C’erano degli orsi in quel luogo sperduto?
Senza pensarci si precipitò a rotta di collo verso la compagna guardandosi le spalle con febbrile, ritmica circospezione. Di fronte alla sua espressione atterrita l’amica scoppiò in una fragorosa, forte risata e poi scartò in avanti, distanziandola di qualche metro.
– Sei la solita credulona! – la motteggiò da quella distanza di sicurezza, mimandole smorfie di scherno.
Katia trasalì. – Mi hai preso in giro! – constatò incredula, per metà offesa e per metà sollevata.
– Lascia che ti acchiappi e me la pagherai! – la minacciò ridendo, inseguendola con foga per l’irto sentiero.
Iniziarono a correre spensierate. Katia s’impegnò al massimo per stare dietro a quel corpo scattante ma la neve era come una corda tesa che rallentava i suoi passi e l’aria fredda le sferzava la faccia ricacciandola indietro. Fu una guerra impari contro tutti gli elementi della natura e quando, esausta, raggiunse l’amica, aveva il fiato troppo corto e le gambe troppo fiacche per acciuffarla. Ma, oramai, non aveva più importanza.
– Ci siamo! Ci siamo! – l’informò raggiante Ylaria, raggiun-gendola.
– Non è bellissimo?
Katia, ansimando leggermente, guardò attentamente l’edificio davanti a sé.
Un piccolo, elegante cottage di pietre e legno si stagliava al centro della radura, il rosso vivace del tetto risaltava sullo sfondo candido come una pennellata purpurea su una tela bianca.
– E’ davvero… – “piccolo!” pensò tra sé, ma, invece, aggiunse con un gran sorriso – grazioso, sembra accogliente.
– Già! Ma ti rendi conto che passeremo qui sei giorni? E cinque indimenticabili notti?
Katia chiuse gli occhi mentre una scossa elettrica la percorreva tutta. Ancora quella sgradevole sensazione.
La prima volta l’aveva provata quando Ylaria l’aveva informata che entrambe erano state invitate, in pieno ottobre, a passare una settimana bianca con degli amici.
– Quali amici? – aveva ribattuto curiosa e, per la prima volta da quando si conoscevano, l’amica l’aveva deliberatamente ignorata, cambiando rapidamente argomento. Lei però non si era arresa. Dopo una sfiancante insistenza tutto quello che aveva ottenuto, era stato un laconico, snervante ”Fidati: non li conosci”.
L’idea di mollare tutto per un po’ l’aveva fatta sentire strana, vuota e nello stesso tempo carica di adrenalina.
Non che non avesse provato a sganciarsi ma Ylaria era stata irremovibile. Il ricordo di quella conversazione era ancora vivo nella sua mente. Erano in macchina. Fuori pioveva forte.
– Cosa! Non vuoi venire? Ma perché?
Silenzio. Perché? Perché non voleva andare? Per una stupidissima sensazione?
– Ho molto da fare… lo studio si sta ingrandendo ehm… sai… l’avvocato pensava di affidarmi cause di maggior responsabilità. Non posso lasciarli ora...
Falsa. La sua voce era spudoratamente falsa. Aveva parlato senza un briciolo di convinzione. Se in aula avesse discusso un caso in quel modo persino lei non si sarebbe creduta.
– Ma tu sei già un avvocato di successo!
– Una praticante, devo ancora sostenere l’orale dell’esame di stato.
– Ma tu sei preparatissima! E lo sai!
Vero. Stava studiando come una pazza da due anni.
– Ma non posso mollare ora.
– Cosa devi mollare? Hai appena fatto gli scritti e gli esami ci sono fra sei mesi. Quale momento è più buono per prendersi una piccolissima vacanza? Pensa: gli ultimi sei mesi di libertà prima di entrare definitivamente nel mondo del lavoro! Non puoi rifiutarti!
Era tutto vero. Eppure non era ancora convinta.
– Ma come mai tutto così in fretta? La partenza è fissata tra appena tre giorni. Perché non me l’hai detto prima?
Borbottio di sottofondo.
– Come perché? Ti ho già spiegato che lo chalet non è mio; dovevano andare un paio di persone che, all’ultimo momento, sono venute meno. Un amico, ricordandosi di me, mi ha invitato – dichiarò soddisfatta, mostrandole un’originale busta rossa su cui, pur gettando attentamente l’occhio, non vide nessun mittente – ed io ho colto al volo l’occasione. Tu sai che non spreco le occasioni. Mai.
Katia non se ne meravigliò: sapeva bene quanto Ylaria potesse essere testarda quando voleva una cosa.
– E dov’è questo posto stupendo? – esclamò debolmente a un passo dalla resa.
– In Svizzera.
Almeno la nazione le piaceva. Non era mai stata in Svizzera.
– Dove di preciso?– aveva chiesto svogliatamente, aprendo la sua agenda per controllare eventuali impegni.
– Non te lo posso dire.
Quasi le era caduto il libro di mano per lo stupore.
– E perché no?
– C’è scritto nell’invito. Non posso rivelare il posto ad altri – le aveva annunciato chetamente come se quella prassi fosse la più normale del mondo.
A conferma di quanto detto le aveva poi sventolato un foglio rosso sotto il naso indicandole spavaldamente un rigo.
– E’ qui, vedi? – aveva ribadito, avvicinandole la lettera.
In effetti, nero su bianco (o su rosso per l’esattezza), c’era quella strana imposizione. Katia non riuscì a mascherare il proprio sconcerto.
– Non ti sembra… insolito? – aveva ribattuto lei, restando decisamente perplessa.
Ylaria aveva fatto spallucce prima di sorprenderla sul serio.
– Non più della regola successiva – l’aveva informata enigmaticamente, iniziando a leggere ad alta voce: “Puoi estendere l’invito a qualcuno ricordando però che è indispensabile che la persona che ti accompagnerà non sia in stretta confidenza con te (fratelli/sorelle, compagni di uscita, migliore amico, fidanzati). La violazione di questo avvertimento comporterà l’esclusione dallo chalet.”
– Ma tutto ciò è assurdo! – aveva esclamato sbigottita. Poi, un’improvvisa consapevolezza, era balenata sul suo viso.
– Ma, allora, io non posso venire! Noi ci conosciamo dai tempi della scuola, oltre ad essere migliori amiche.
– Non potresti venire.
Qualcosa nel tono della compagna l’aveva allarmata. Si era girata giusto in tempo per vedere un sorriso malizioso increspare quelle labbra spavalde, subito coperte dai lunghi, splendenti capelli ricci.
– Gli hai mentito?
Gli occhi le si erano fatti grandi quasi come due piattini da tè.
Ylaria si era portata un dito alle labbra ridenti, sussurrando: – Solo un pochino. Ci tenevo davvero tanto che tu ti distraessi un po’. Quindi ora non puoi abbandonarmi!!
Katia aveva sospirato. C’era qualcosa che non la convinceva affatto. Generalmente s’invitavano le persone più care e fidate in vacanza, non le meno conosciute.
Le sembrava che ci fosse altro (e conoscendo Ylaria, chissà che altro!) che la fedele compagna non le avesse detto. Stava ancora rimuginando su come tirarsi indietro quando l’amica, inaspettatamente, le aveva detto una cosa che l’aveva colpita a fondo, facendola capitolare.
– Ultimamente sei troppo stressata. Come se qualcosa ti turbasse. Ma io ho la soluzione! – aveva esultato afferrandole con slancio le mani mentre, con voce supplice, le diceva: – Vieni con me. Se ti rilassi e rallenti un po’ vedrai che tutto tornerà a posto. Credimi!
Quel suo sorriso fiducioso l’aveva scossa come un terremoto.
Non era mai stata molto brava a nascondere le cose, anzi, generalmente veniva sempre scoperta subito ma, questa volta, si era davvero convinta di avercela fatta. Fino a quella sera avrebbe giurato che Ylaria non avesse sospettato nulla del suo silenzioso tormento.
Ma si era sbagliata, e di grosso. L’ansia dipinta su quel volto caro le aveva dimostrato che, in realtà, l’unica cieca era stata lei.
L’amica aveva intuito che era successo qualcosa mentre era via, qualcosa di terribile, di cui non riusciva a parlare.
La storia degli amici, si disse, doveva essere una balla per convincerla ad andare e il viaggio una ghiotta occasione per divertirsi un po’ insieme, come ai vecchi tempi.
Guardò quel viso speranzoso in attesa di una risposta e, d’improvviso, avvertì quanto fosse davvero preoccupata per lei. Non poteva tirarsi indietro.
– Ok. Accetto. Passo a prenderti martedì mattina. Sii puntuale.
E ora se ne stava già pentendo. Eccola lì la loro vacanza: una piccola casa sperduta tra le montagne da dividere con degli sconosciuti per quasi una settimana. Come le era saltato in mente?

*******

Katia e Ylaria si accomodarono sul grande, morbido sofà di pelle bianca. Non erano mai state in montagna e l’aria fredda del mattino le aveva elettrizzate più dei dieci caffè presi. Ora si guardavano intorno con occhi da cerbiatte, curiose di ogni particolare, avide di ogni dettaglio. In quel momento di perlustrazione fotografica una porta si spalancò di botto. Una lunga chioma bionda, semicoperta da un buffo berretto di lana, si materializzò davanti a loro.
– Benvenute nello chalet. Come vi chiamate?
– Io sono Katia e lei è la mia amica Ylaria.
Entrambe allungarono la mano, aspettando di conoscere il nome della ragazza ma la nuova venuta, sorprendendole, le cinse a sé, trascinandole in un affettuoso, stritolante abbraccio a tre.
Katia la guardò meglio; aveva un sorriso aperto e cordiale; due occhi azzurri cielo e una marea di piccole lentiggini.
– Questo posto è bellissimo, grazie di averci ospitato – mormorò staccandosi un po’ da lei.
– Oh, ma non è mio! – replicò l’altra sorridendo.
– Anch’io sono stata invitata. La casa è di un mio amico. Mi ha detto di venire un po’ prima a fare gli onori di casa poiché lui non potrà raggiungerci che all’ora di pranzo. Nel frattempo potete lavarvi, disfare i bagagli, sistemarvi – annunciò alla velocità della luce, senza mai smettere di sorridere.
Non avevano ancora sentito le sue ultime parole che la ragazza, altrettanto celermente, aveva afferrato un borsone da terra.
Un attimo dopo era già in cima a una lunga scala.
– Vi ho sistemate di sopra. Seguitemi! – ordinò allegramente, quasi saltellando sul posto.
Katia e Ylaria si fissarono per un secondo, indecise sul da farsi: c’era qualcosa nel modo di fare di quella ragazzina di… sconcertante, sembrava un po’… come dire…
– Fuori di testa? – sussurrò Ylaria, ridacchiando.
Katia annuì.
– Allora, che fate? Non venite? – ripeté la voce con maggior brio.
Beh, in fondo… avevano forse scelta?
 
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Rossy79

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1 CAPITOLO (prima parte)

- 1° GIORNO -


La visita dello chalet fu una piacevole sorpresa. Quello che in principio aveva preso per un edificio di modeste dimensioni era in realtà un vero e proprio palazzotto dislocato su ben quattro piani. Due di essi, come aveva già potuto notare, si affacciavano sulla collina da cui erano arrivate mentre i restanti due, secondo quanto aveva raccontato la loro guida, scendevano nelle viscere della terra e si affacciavano solo sul versante opposto.
Aprì la finestra. Un soffio gelido le sollevò i capelli. Davanti a lei apparve tutta la vastissima vallata sottostante.
Caspita quanto erano in alto!
– Ehi guarda, abbiamo la montagna attaccata a noi! – esclamò Ylaria indicandole un punto alla loro sinistra.
Era vero. Un lato dell’abitazione confinava con un enorme picco roccioso. Sembrava quasi che le mura finissero nel duro granito. E di pietre, anche se più pregiate, era interamente rivestita tutta l’abitazione. La loro guida le aveva condotte per le innumerevoli stanze al piano di sopra. Ovunque trionfava una moderata opulenza.
– Che ne direste di una bella sauna? – propose la giovane, aprendo teatralmente l’ultima stanza.
- Lì ci sono i costumi – le informò indicando degli indumenti ordinatamente impilati su una sedia.
– E questo dovrebbe essere proprio della tua taglia – aggiunse raggiante, parandogli davanti il bikini più piccolo e luccicante che avesse mai visto.
Come no. Le sue bambole avevano più stoffa addosso.
Katia rabbrividì: odiava sudare e il solo pensiero di stare delle ore in mezzo al vapore, cuocendo come un pollo, con un sottofondo di pettegolezzi la spaventò a morte.
– Io declino. Sono davvero stanca e vorrei fare una bella doccia.
– Noi allora andiamo. A dopo! – strillarono le due ragazze fiondandosi subito dentro.
Non appena le due scomparvero dalla sua vista Katia si sentì sollevata.
Finalmente era libera! Si era guadagnata almeno un’oretta di pace.
Iniziò a girovagare distrattamente per l’abitazione, attardandosi beatamente su ogni dettaglio, ripercorrendo in lungo e in largo ogni stanza. Fu solo dopo un bel po’ che la stanchezza prese il sopravvento convincendola a rientrare in camera. Era quasi arrivata alla porta e già pregustava la sua lunga, bollente doccia, quando una sirena invase la quiete della casa. Un suono sordo, ripetuto per tre volte.
Katia stava ancora cercando di capire cosa fosse quando un rombo proveniente dal basso destò i suoi sensi. Qualcosa stava venendo verso di lei a gran velocità. Vide un insieme di braccia e gambe muoversi come una massa unica ma poi dal blocco si staccò una figura che, più veloce delle altre, la raggiunse afferrandola per un polso.
Un attimo dopo era al fianco di un ragazzo e correva a perdifiato per stare al suo passo. Svoltarono a un angolo e poi a un altro. Gli inseguitori erano rimasti un po’ indietro e non si vedevano più. Katia guardò avanti: avevano preso un vicolo cieco; davanti a loro c’era solo un muro con uno specchio stretto e alto.
– Fermati o sbatteremooooo! – gridò cercando di puntare i piedi ma il nuovo venuto, anziché rallentare, prese un ultimo slancio e si gettò deciso contro il loro riflesso.
Katia chiuse gli occhi attendendo l’urto. La paura s’impadronì all’istante di ogni sua fibra, soggiogando in un attimo la sua mente per piegarla al suo volere. Inatteso e incontrollato partì un flash back che la riportò indietro, ad anni prima, molti anni prima. Era un giorno d’agosto. Nuvole bianche correvano svelte in un cielo di morbide onde. Lei, pur odiando guidare, per l’occasione si era fatta coraggio e aveva preso la golf nuova del padre senza dirglielo. Faceva tanto caldo in città e come se non bastasse il traffico sembrava peggiore del solito quel giorno. Ricordava il caldo opprimente, l’afa che le impediva di respirare, il sudore che le scorreva in perle lucenti sulla fronte.
Quando, finalmente, da lontano era apparsa la meta tanta agognata aveva provato un tonfo al cuore.
L'orologio segnava quasi le nove. Aveva fatto in tempo! Si era lisciata il lungo vestito nuovo.
“Sarà una sorpresa che lui non dimenticherà mai!” ripeteva una vocina dentro di lei. Corse svelta sui tacchi vertiginosi cercandolo tra la folla quando, a un tratto…
– Ehi! Siamo vivi! Puoi aprire gli occhi.
In un attimo il suo passato svanì per lasciar posto a uno sconcertante presente. Erano in una stanza. Un ragazzo moro, a pochi passi da lei, la osservava divertito.
– Benvenuta nella mia squadra. Mi chiamo Massimo ma gli amici mi chiamano Max – aggiunse porgendole la mano.
– Non credo di aver capito bene… di che squadra stai parlando?
Delle urla concitate dal corridoio la distrassero dalle sue congetture costringendola a voltarsi. Il gruppo, evidentemente non trovandoli, aveva cercato altrove scovando le due ragazze in bikini nella sauna.
– Che sta succedendo? Questa è la voce di Ylaria! – gridò gettandosi in avanti. Doveva accorrere in aiuto della sua amica.
Max ora si era fatto molto serio.
– Non sai nulla? – domandò attonito.
– Sapere cosa? – replicò isterica. Tutto quel mistero iniziava a innervosirla.
Lui si avvicinò. – Questo non ti dice niente? – chiese brusco, afferrandole la mano e tracciandole nel palmo due lettere che lei però non riconobbe. Di fronte alla sua ennesima incertezza Max finalmente sembrò convincersi della sua sincerità.
– Oh, no! – esclamò contrito – mi è toccata una novellina.
Quest’anno perderemo di sicuro – concluse coprendosi gli occhi con disperazione.
Poco lontano, tra strilla di gioia e cori goliardici, iniziò a echeggiare il suo nome.
Max si rianimò all’istante. Batté le mani ordinando: – Seguimi. Dobbiamo raggiungere gli altri senza fargli capire che eravamo qui.
Dicendolo sollevò il tappeto, aprì una botola e si tuffò in una sorta di scivolo.
Katia si diede un vigoroso pizzicotto e, preso atto che quello non era un sogno, si lasciò cadere nel buio.
Quando riaprì gli occhi era su una pila di cuscini e Max la stava strattonando.
– Muoviti o ci scopriranno! – ripeteva febbrilmente.
Lo seguì oltre una strana porta orizzontale che dava su una stanza molto più in basso. Max si sedette sul bordo dell’uscita prima di gettarsi oltre e lei fece altrettanto. Fu solo quando si rimise in piedi che, con stupore, focalizzò dove fossero: erano arrivati in salone ed erano appena scesi dal quadro che troneggiava in mezzo alla parete principale!
Max richiuse la cornice pochi attimi prima che la stanza si riempisse di gente.
– Finalmente siete arrivati. Ma dov’eravate? – s’informò curiosa la biondissima ragazzina avanzando dritta verso di loro.
– In giro – replicò vago lui.
– Allora siamo tutti pronti per iniziare.
– Presentazione squadre! – gridò una ragazza battendo le mani. Al suo segnale le altre persone si separarono prontamente in due gruppi.
Ylaria e la loro guida si posizionarono in quella di sinistra accanto a un ragazzo biondo.
Katia guardò l’amica ma stranamente i ricci dorati, portati sempre all’indietro, ora le coprivano il viso come una fitta tenda ondulata. Un dubbio fece breccia nella sua mente.
– Tu sei dei nostri – le annunciò secco Max che, dopo averla condotta nello schieramento di destra, composto da due ragazzi, avanzò prontamente di un passo. Di fronte a lui troneggiava il capo dell’altra squadra. O meglio la “Capa”: era una ragazzina dai tratti quasi orientali con lunghi capelli corvini annodati in due rigide, lucentissime trecce.
– Benvenuti alla seconda edizione del ” Love Game”– esordì la piccola Mulan a gran voce, guardandoli tutti.
– Io sono Marta. Lui, come già sapete è Massimo, il proprietario di questa casa. Noi due, insieme, dirigeremo la competizione controllando che tutti seguano al meglio le regole.
Dal nulla apparve un libro rilegato in cuoio rosso avvolto da un nastro.
– Questa è la sceneggiatura di quest’anno. Si tratta di un canovaccio ambientato in uno chalet. I protagonisti sono otto amici.
– Esattamente quanti noi! – squittì la dolce biondina saltellando sul posto.
La lunga chioma bionda ondeggiò in faccia a Marta che, infastidita, si portò al centro della sala.
– Già. Il gioco è semplice. Ognuno di voi dovrà estrarre da un’urna uno pseudonimo. Solo alcuni pseudonimi corrispondono ai “Ranger Love“ del racconto.
– Ranger Love? Che vuol dire? – chiese Katia prima di riuscire a trattenersi. Tutta quella storia iniziava a sembrarle una follia.
Max la guardò come si scruta un bambino un po’ lento.
– Come saprai i veri Ranger sono i cavallerizzi che, lazo alla mano, guidano le mandrie al pascolo. In questo gioco i nostri Ranger avranno un compito analogo: dovranno condurre delle persone sulla giusta via facendo in modo che seguano un percorso che altri hanno tracciato. Capita spesso che ciò significhi combinare “incontri d’amore” da qui la dicitura di “Ranger Love”.
– Spiegati meglio Max – lo incitò Marta vedendo lo stupore su molte facce.
– Con piacere – disse questi afferrando il prezioso scritto e alzandolo in alto cosicché tutti potessero vederlo.
– Se tutti noi interpretassimo la trama del libro allora non ci sarebbe altro che una mera recitazione, come un film in cui tutti hanno una parte predefinita. Ognuno saprebbe già tutto ciò che sta per succedere, scena per scena.
Si fermò. I presenti annuirono rumorosamente.
– Se invece solo alcuni hanno una parte il loro compito sarà più difficile perché dovranno fare in modo che compagni ignari si comportino in un determinato modo. Dovranno sforzarsi cioè di far accadere le scene descritte.
Marta alzò la voce dicendo: – In conclusione i Ranger Love sono i soli personaggi destinati a recitare. Possono essere due, tre, o anche quattro. Il loro numero dipende dalla complessità del racconto e verrà reso noto solo alla fine del Love Game.
Katia sentì un brivido lungo la schiena. Gente a lei sconosciuta l’avrebbe ingannata ripetutamente per uno stupido gioco!
– Non penso di esserne capace. Forse non è stata una buona idea quella di venire qui. Sarà meglio che vada – disse voltandosi di scatto e cercando di raggiungere la porta.
Marta le si parò davanti bloccandole la strada. Aveva uno sguardo truce.
– Povera bambolina. Fammi indovinare: sei stata delusa dall’amore e hai paura di rimetterti in gioco? – domandò sprezzante.
Il cuore di Katia saltò un battito.
– Hai fatto bene a tirarti subito indietro perché sai – continuò tagliente – ci vuole coraggio nella vita per vivere le avventure più belle. Se tu non vuoi rischiare nulla non meriti nulla – concluse guardandola come si può guardare un insetto in un ap-partamento.
Katia la fissò. Era quasi sicura che la piccola Mulan la stesse sfidando.
– Che cosa dovrei vivere? Una farsa? No, grazie.
La superò con un balzo e mise la mano sulla porta.
– Questa è una farsa, hai ragione, ma la vita stessa non è forse un teatro in cui tutti recitiamo una parte? Tu non fingi forse di essere calma e misurata mentre una rabbia ti divora? – gridò il ragazzo biondo salendo su una sedia con fare teatrale.
Era finita in mezzo a dei pazzi. La mano si chiuse rapida sulla maniglia dorata.
Una voce limpida sovrastò il chiacchierio giungendole dritta al cuore.
– In questi giorni vivrai più che in tutta la tua vita ogni possibile sentimento umano: compassione, odio, tradimento, amore. Pensaci: tu non saprai fino alla fine chi starà recitando con te, chi vorrà essere realmente tuo amico o chi sarà semplicemente se stesso quindi dovrai rischiare il tutto per tutto per capire i tuoi compagni. Dovrai conoscerli.
Max l’aveva raggiunta con poche decise falcate. Ora, con il viso a pochi centimetri da lei, la scrutava dal suo metro e novanta, senza staccarle gli occhi di dosso.
– Quello che voglio dire è che, anche se ci saranno azioni dettate dal gioco, parole che tu riterrai false, ciò che proverai sarà autentico – dichiarò posandosi una mano sul cuore.
Ylaria corse da lei con gli occhi visibilmente lucidi.
– Pensa che questa sia una splendida occasione per divertirti un po’. Qui nessuno di noi è un attore professionista. Siamo persone normali con una vita normalissima alle spalle. Ci è stata data un’occasione per spezzare la nostra quotidianità con una parentesi di follia. Per una settimana potremo vestire i panni di un altro, crearci un diverso passato. E’ un’esperienza unica, elettrizzante. E, in fondo… cos’hai da perdere?
Già. Cosa? La dignità!?
Quella l’aveva già persa tempo prima.
– So che non mi conosci molto bene – disse Ylaria facendole un occhiolino veloce – ma dammi fiducia. Credo fermamente che questa esperienza ti gioverà.
Katia si guardò intorno. In fondo, lì, nessuno la conosceva.
L’amica le prese le mani chiedendole: – Ti va di provare?
Lei la guardò negli occhi mentre la stretta si faceva più forte.
Nella stanza il silenzio ricopriva del suo pesante velo ogni rumore.
Katia abbracciò con lo sguardo quella gente che la scrutava incuriosita. In fondo era solo per una settimana… e se qualcosa fosse andato storto poteva sempre infilare la porta e andarsene.
– Mi hai convinto ma sappi che mi devi un favore!
Ylaria l’abbracciò con forza mentre il giubilo si diffondeva nel gruppo.
Un ragazzo dai capelli biondissimi (lo stesso che poco prima era salito sulla sedia) avanzò con in mano un vaso rosso. – Estrai il tuo pseudonimo e da oggi sarai un’altra persona – esclamò con voce altisonante.
Katia infilò la mano e afferrò un foglietto accuratamente piegato.
– Vuoi che lo legga io? – si propose Ylaria togliendoglielo velocemente di mano. Sembrò ripensarci perché un attimo dopo glielo restituì dicendo: – No, devi farlo tu.
– Allora come ti chiamerai? – chiese l’amica, sbirciando curiosa oltre le sue spalle.
– Karen. Lo ripeté piano nella sua mente. Le piaceva.
– E’ carino! Fa molto soap-opera. Speriamo di averne uno altrettanto bello! – mormorò tuffando la mano nell’urna.
– Io sarò Jessika! – mugugnò poi, con meno allegria.
– Ed io sarò Ariel – squittì il folletto biondo saltellando sul posto.
Marta, in un silenzio ultraterreno, annunciò: io sarò Sofia.
Quasi contemporaneamente un vaso blu retto da una divertitissima Ylaria circolò tra i ragazzi. L’esile biondino fu presto ribattezzato Michael.
Katia fece mente locale dei componenti della sua squadra; alla sua destra, l’uomo taciturno era diventato Tom; alla sua sinistra, il buffo ragazzino dai capelli a spazzola e il piercing al naso sarebbe stato Jak.
L’ultimo a estrarre il nome fu Massimo.
– Io sarò Max – annunciò divertito dalla casualità del destino.
– Ma non è possibile! E’ già il tuo nome!
– Cosa prevede il regolamento in questi casi? – chiese Ariel guar-dandosi intorno in cerca di una soluzione. Marta la fulminò con un’occhiataccia, ignorandola.
– Salite tutti nelle vostre stanze. Il pranzo è previsto per l’una nel salottino. E ricordate: da quando scenderete non sarete più voi!
Non sapeva bene perché ma quell’avvertimento le risuonò sinistro.

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Rossy79

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Ylaria sedette a gambe aperte sul tappeto.
“Devo far presto oppure mi scoprirà” s’incitò aprendo il computer portatile davanti a sé. Aprì la posta scorrendo tutte le missive con ansia crescente. Niente. Si accasciò al suolo. Un plin meccanico le risuonò nelle orecchie.
– E vai! – urlò a mezza voce, trovando quello che cercava.
Si guardò intorno quasi temendo che qualcuno si fosse materializzato dal nulla accanto a lei per rimproverarla della sua sconsideratezza.
Iniziò a digitare freneticamente. Le mani veleggiavano sicure su quel mare di lettere note. Pochi minuti dopo aveva finito. Rilesse il suo messaggio con il cuore pulsante.
Lo stava facendo davvero?
D’altronde non poteva più tirarsi indietro. Era tardi ormai.
– Oddio se Katia lo sapesse … – mormorò in un attimo d’incertezza.
Il dito si avvicinò lentamente al tasto invio.
Sentiva il battito crescere come un tamburo che si diffonde echeggiando nella foresta. Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum. La stanza era piena di quell’assordante, ritmico ritornello.
– Lo faccio per te amica mia – disse premendo con foga.
Sullo schermo comparve la figura di una letterina che volava.
E’ fatta, pensò sospirando. La parte più facile era andata.
– E ora… inizia il difficile! – gridò afferrando un paio di forbici.

*******

Uno squillo spezzò l’aria. Ariel prese il proprio cellulare con ansia. Il cuore batteva a mille mentre leggeva il breve sms. Un sorriso triste le illuminò il bel volto. Quello che temeva era successo.
Due grosse lacrime rotolarono giù dalla guance rosee.
Il piano A era fallito. Non le rimaneva altro che seguire ora il piano B.

*******

Katia sentì un rintocco lontano. Da qualche parte nella casa doveva esserci una pendola.
Chiuse gli occhi cercando di dormire ma sapeva già che non ci sarebbe mai riuscita L’adrenalina scorreva a fiumi nelle sue vene. Socchiuse piano le palpebre per accertarsi che non stesse già nelle braccia di Morfeo. Forse era stato tutto un sogno.
Avvolte da una sonnolenta nebbia apparvero tutte le sue cose così come le aveva lasciate.
Al centro della stanza, nella sua piena magnificenza, giaceva la sua nuovissima valigia. In uno slancio di diligenza l’aveva aperta per sistemare tutto nell’armadio ma il buon senso se n’era andato subito, rapido come una folata di vento tra i rami, lasciando tutti i suoi vestiti in bella vista.
Oltre la montagna di cose, accanto alla porta, risplendevano lucidissime le otto paia di scarpe che aveva reputato necessario portare con sé.
Sorrise al pensiero di Ylaria che, aprendo il bagagliaio, aveva strabuzzato gli occhi.
Cosa poteva capirne l’amica? A lei non interessava un accidente di cosa metteva addosso ma le scarpe erano l’unica cosa a farla sentire veramente a posto.
Accarezzò con lo sguardo gli stivaletti di camoscio, si beò dei riflessi argentati del suo ultimo acquisto.
E poi quel tocco di rosso è davvero unico, rifletté in estasi.
Un momento. Ma lei non aveva comprato nulla con i risvolti rossi.
Con un balzo scese dal letto. Quello che da lontano aveva preso per un pezzo di scarpa era in realtà una busta rossa che qualcuno aveva fatto passare sotto la porta. Questa, incontrando il fermo ostacolo delle sue scarpe, si era inerpicato a metà sulle stesse.
Nessun mittente. Sul davanti, a grandi lettere, era scritto ”Per Ka-ren”.
Strappò in un lampo la carta e prese il foglietto accuratamente ripiegato.
Una scrittura minuta e fitta riempiva le due facciate senza lasciare un angolino vuoto. Iniziò a leggere. Come aveva previsto (su queste cose non si sbagliava mai) a lei era toccato il ruolo di Ranger Love. Il suo personaggio era quello di una giovane liceale uscita fresca fresca dagli esami di stato. Si era presa un anno di riflessione. La sua passione erano l’arte, i concerti e il cibo cinese.
Fin qui sembrava facile.
– Adora alla follia il karaoke. Canticchia sempre e dovunque – ripeté ad alta voce.
E qui le cose iniziavano già a complicarsi. Lei era stonata come una campana.
Continuò a divorare notizie. C’era un elenco dettagliato dei suoi presunti precedenti amori, flirt, delusioni.
– La mia prima volta è stata… Noo! A un concerto! Ma chi le ha scritte queste cazzate! – urlò coprendosi gli occhi.
Allora sarà stato un miracolo che non mi abbiano arrestata per atti osceni in luogo pubblico! pensò ridacchiando.
Detto e fatto. Karen aveva collezionato due arresti.
Mandò a memoria il resto della storia: aveva una sorella minore, un padre divorziato molto affettuoso con lei. Della madre, scappata anni prima con un atleta, non amava parlare. Fumava ma in questa settimana aveva il fermo proposito di smettere.
Karen si accasciò sul letto. Ora era certa che non ce l’avrebbe mai fatta: lei odiava il fumo. Si sarebbero accorti tutti che stava mentendo al suo primo tiro. Soffocare e sputare non era proprio tipico dei fumatori accaniti.
Arrivò con ansia alle ultime righe. In una grafia più spessa ed elegante era scritto:
“Karen, entro i primi tre giorni, deve:
1) Sedere a tavola di fianco a Tom e rivolgergli molte attenzioni. Con una scusa farsi imboccare da lui. Fargli credere di essere cotta di lui.
2) Simulare nel corso della giornata una crisi davanti a una delle ragazze.
3) Improvvisare una danza per Jak.

Segna con una croce tutti i compiti che riesci ad adempiere.”

“Sono una sgualdrina!” urlò la sua mente, ribellandosi alle sue stesse parole.
Sventolò la carta davanti a sé con una crescente tristezza. Non era umanamente possibile che in un giorno si trasformasse in una mangiatrice di uomini. Proprio lei! In una vita aveva amato un solo uomo!
Il pensiero di Andrea la investì con forza. Lui che ogni mattina le portava la colazione. Lui che cucinava il suo solito uovo aromatizzandolo con il pepe rosa.
Il cuore le si era già fermato quando un post scritto in fondo alla pagina lo riaccelerò bruscamente.

“Ps. Il premio di quest’anno è una vacanza per due tutto spesato in America. Vincerà il premio l’attore/attrice capace, con più naturalezza possibile, di adempiere al maggior numero di missioni senza compromettere la sua copertura.”

L’America! Un fulmine non l’avrebbe scossa tanto.
Il premio corrispondeva esattamente al suo più grande sogno.
Aggrottò la mente riflettendo sulla notizia. Quante possibilità c’erano che fosse tutto una coincidenza!? Si era davvero ritrovata ”per caso” nel luogo giusto al momento giusto?
No. Non lei. Non aveva mai vinto neppure i pesciolini alle giostre, non avrebbe mai avuto una tale fortuna, neppure in due vite. Un’improvvisa luce sfolgorò nel buio dei suoi pensieri: Ylaria doveva sapere tutto! Era stata lei!
Ecco perché l’amica l’aveva portata in quel tranello! Per realizzare il piano Alfa!
Il piano Alfa (A stava per America), come lo chiamavano da bambine era di una semplicità innaturale: andare in America e fare tutte le follie mai compiute a casa per via dei genitori, della società, della morale (e lei sospettava anche della decenza).
In undici anni la lista si era fatta piuttosto lunga.
Poiché non potevano realizzare milleduecento desideri (elencati minuziosamente giorno per giorno) alla fine avevano trovato un ragionevolissimo compromesso.
La lista aggiornata e approvata prevedeva:
– baciare uno sconosciuto sull’empire street building.
– fare colazione da Tiffany, come voleva lei (adorava l’omonimo film).
– volare a Las Vegas (il sogno di Ylaria) per sbancare a black Jack.
– farsi un tatuaggio uguale sulle spalle.
– i capelli viola o un piercing all’ombelico.
– colazione con champagne e frutta esotica in un mega albergo.
– fare finta di essere una coppia lesbica a passeggio per le vie di Manhattan.
– fare bungee jumping da un ponte.
– una foto a seno scoperto sulla statua della libertà.
– tuffarsi in una vasca idromassaggio stracolma di latte.
Sorrise. L’amica aveva fatto carte false per portarla in quello chalet al solo scopo di avere una chance in più di realizzare il loro sogno.
– Non posso tirarmi indietro – annunciò a se stessa. Un brontolio dello stomaco le ricordò che era quasi arrivata l’ora del pranzo. L’orologio le confermò che mancavano dieci minuti all’una.
– Forza! – gridò mettendosi in moto.
Frugò tra i suoi vestiti per sceglier le mise più adatta. Alla fine optò per un jeans pieno di strass con sopra una semplice camicetta bianca e sotto due elegantissime scarpe nere con il tacco a spillo. Si applicò velocemente mascara, fondo tinta e un lucida labbra perlato e poi corse a guardarsi. L’immagine che lo specchio le rimandò era davvero notevole. I due occhi verde smeraldo scintillavano sul viso candido incorniciato dai lunghi capelli ramati. Due lucidissime labbra a cuore completavano l’immagine della “femme fatale”. Appariva curata ma non esageratamente ricercata. Il cuore le si gonfiò d’orgoglio. Aveva dimenticato ormai cosa si provava a “mettersi in tiro” per cacciare, la frenesia dei ritocchi, il desiderio di voler a tutti i costi piacere. Era una sensazione gradevole.
– Tom, preparati – mormorò imbracciando la sua borsetta – perché farò di tutto per andare in America!
 

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Quando arrivò nella sala da pranzo uno scenario imprevisto le mozzò il respiro.
Il salotto era stato completamente trasformato rispetto a poche ore prima. Ovunque erano state disposte piante alte quanto lei; dai lampadari pendevano enormi liane; a terra, vicini tra loro, erano stati srotolati lunghi tappeti color foglia, dalle vetrinette e dalla consolle centrale ricadevano, quasi a formare una tendina naturale, fitte matasse di edera.
Tutta la restante mobilia; tavolini, sedie, pouf, era stata completa-mente rivestita di un setoso manto smeraldino. Su ogni sporgenza, volutamente sparpagliate affioravano piccoli cespugli di rose selvatiche. Infine campanelle, non ti scordar di me, rose, giunchiglie, viole, sbucavano da ogni angolo, saldamente incastrate da invisibili lacci. Regnava una quiete innaturale spezzata ogni tanto da un dolce cinguettio di sottofondo.
Katia era quasi certa che, se avesse guardato meglio, avrebbe potuto scorgere un uccellino librarsi in volo. Si stropicciò gli occhi con entrambe le mani. Lì, davanti a lei, era stato ricreato un vero e proprio spaccato di bosco!
– Sono stati davvero bravi, eh? I fiori sono tutti finti, ho controllato. E il cinguettio proviene da un registratore.
Si voltò. Un bel ragazzo dai tratti nordici le sorrise. I finissimi capelli biondi gli scendevano morbidi sulle spalle. Gli occhi di ghiaccio erano curiosamente dolci.
– Piacere: sono Michael – si presentò con garbo, porgendole una mano affusolata.
Era il tipo che prima era salito sulla sedia e che lei, mentalmente, aveva ribattezzato come “il poeta”.
– Io sono Karen.
Fra loro apparve una figura massiccia.
– Io sono Tom. Scusate se non mi fermo ma ho davvero fame – annunciò brusco il nuovo arrivato che, senza rallentare il passo, li aggirò fiondandosi direttamente a tavola.
Mentre li superava Katia si soffermò a guardare la sua vittima.
Tom era un uomo poco più alto di lei. Aveva un fisico robusto, spalle appena pronunciate e capelli nerissimi con l’attaccatura un po’ alta sulla fronte. Niente di ché, si disse, eppure c’era un’irrequietezza nel suo sguardo che lo toglieva dalla cesta della banalità per ammantarlo di un sinistro, cupo fascino.
– Hai avuto una visione? Ti conviene chiudere la bocca! – sentì poco prima che una mano le sollevasse affettuosamente il mento.
Non riuscì a fermare il calore che le divampò sul viso. Guardò con occhi inceneritori il proprietario di quell’arto e la bocca, serratissima, le si spalancò di botto.
Ylaria le era davanti. Ma non sembrava più lei. I suoi bellissimi, lunghi ricci dorati si erano mutati in corte ciocche scure che mani esperte avevano accuratamente ingellate a formare elaborati intrecci da cui sbocciavano piccole perline d’avorio.
– Allora il mio vestito ti ha colpito? – disse lisciandosi con finta noncuranza la gamba.
E finalmente lo vide.
L’amica era fasciata in un lungo, elegantissimo abito color crema impreziosito da sfavillanti ricami dorati sul décolleté. Al braccio sfoggiava orgogliosamente una deliziosa, minuscola borsetta a forma di fiore ricoperta di perline dorate. Conoscendo la compagna (e la sua straordinaria bravura con ago e filo) sospettava che quella dovesse essere la sua ultima creazione.
– Uau!! Ma sei bellissima! – esclamò estasiata.
– Non avevo capito che il pranzo fosse un’occasione così formale – mormorò poi guardando con tristezza i suoi vestiti. Il suo bellissimo jeans ora le sembrava davvero fuori luogo.
– Ma cosa hai fatto ai capelli? I tuoi adorabili riccioli! – iniziò allungando una mano per toccare quell’assurda, fantastica ca-pigliatura.
– Mi ero stancata di quell’insulso colore. Non trovi che il cioccolato mielato sia tremendamente più chic! – squittì l’altra, allontanandole il polso con gesto sgarbato.
Katia trasalì. La sua amica non era mai stata chic. Era testarda, anticonformista, selvaggia.
– Mi dispiace ma non posso trattenermi oltre chérie. Ho gente con cui parlare. Se avessi bisogno di qualche consiglio… – e qui gettò uno sguardo di commiserazione ai suoi capelli crespi – non esitare a venire da me – concluse con un sorriso odiosamente melenso veleggiando verso un gruppo di persone poco più in là.
Katia rimase come paralizzata. Non riusciva a crederci! Cosa avevano fatto alla sua dolce amica?
– Ma chi diavolo crede di essere? – ruggì a un tono decisamente più alto di quanto avesse desiderato.
– Chi? Quella stangona con la puzza sotto al naso? E’, o dice di essere, l’unica figlia di un magnate della finanza. Non trovi che sia assolutamente insopportabile?
Dal nulla si era materializzata Ariel. Giusto per non dare troppo nell’occhio la biondina si era fasciata in una lunga salopette rosa che aveva deciso di coordinare con un maglioncino multicolore dal collo esageratamente alto.
Almeno lei non sarebbe stata la meno elegante del gruppo.
– Tu sei Ariel? – disse leggendo il nome sulla sua collanina.
– Già. Non è orrendo? Jessika mi ha detto che l’unica persona che lei conosce con questo nome è la sirenetta. Hai presente: quella del cartone Disney? – mormorò afflitta.
– Beh… non mi sembra affatto un’offesa.
– Già – annuì l’altra con forza – non lo sarebbe stata se non avesse aggiunto che io ero più una sirena al contrario, con gambe umane e faccia da pesce. E’ veramente odiosa! E lo sai cosa penso? – aggiunse avvicinando di colpo il volto a un centimetro dal suo.
Katia notò come, da così vicino, quei grandi occhioni sbarrati ricordassero un po’ le creature marine.
– Io non penso che stia fingendo – bisbigliò in un soffio.
– Sai come sarebbe scontato un personaggio del genere? – aggiunse fissandola.
– Una caricatura borghese della mondanità. No, non credo proprio. Secondo me quella lì è semplicemente se stessa – e di-cendolo annuì gravemente.
Katia trasformò in tosse la risata che le era salita alle labbra. Si rimproverò mentalmente della propria profonda, abissale stupidità.
Come aveva potuto cascarci? Ylaria era una grande.
– Posso chiederti un immenso favore? – domandò la sirenetta, spiazzandola.
Odiava quel genere di proposte. Serviva solo a legittimare perfetti sconosciuti a metterti in situazioni imbarazzanti senza poter replicare niente per fermarli.
– Dimmi. Se posso aiutarti, volentieri – replicò cauta.
– Se t’importuna ancora vieni da me. Insieme elaboreremo una piccola vendetta. Io odio la gente snob e priva di scrupoli!
Non riusciva a crederci. Non era neanche entrata in gioco e aveva già quasi stretto un’alleanza. Era forte!
– Ma certo. Contaci.
Ariel l’abbracciò con vigore prima di scappare a tavola. Solo allora si avvide che, mentre lei si era attardata a conversare, tutti si erano accomodati già ai propri posti.
Accanto a Tom si era seduta Marta, alias Sofia, alias la Regina-delle-nevi.
– Stiamo cominciando. Vuoi sederti o no? – l’apostrofò tagliente.
L’unico posto libero era quello accanto a lei.
L’idea non l’entusiasmava ma almeno alla sua destra c’erano Max e la sua nuova amica e, con questo lieto pensiero, si accomodò.
 

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Nello stesso istante Michael, seduto di fronte a lei, si tirò su di scatto.
– Prima di cominciare vorrei spendere due parole di ringraziamento per gli autori di questo prodigio.
Grida di gioia seguirono il suo gesto. Lui aspettò che il suo pubblico tornasse muto.
Nei suoi modi traspariva la familiarità delle scene.
– Mai avevo visto una foresta in una casa. Tutto ciò – mormorò aprendo le braccia per indicare la stanza – è straordinario! Qui tutto sembra magico e se ci sentiremo dei novelli tarzan lo dovremo solo a voi – dichiarò euforico, facendo un piccolo inchino in direzione di Marta e Max.
– Perciò vi meritate di tutto cuore un applauso – asserì con enfasi, battendo forte le mani. Tutti lo imitarono. Tutti tranne Tom che, ignaro delle buone maniere, aveva ripreso a mangiare.
Michael aveva ragione: da vicino la tavola appariva ancora più magica che da lontano. Sulla tovaglia, interamente stampata con scene foresti, erano state poste pietanze stese su lunghi vassoi a forma di foglia. Piccoli fiori di ceramica si alternavano a composizioni di giacinti. Persino gli stretti bicchieri, di uno splendente verde smeraldo, erano stati impreziositi con vere foglie attaccate sopra. Il gruppo mandò un unico, crescente grido di stupore quando Max usò le piccole creazioni di ceramica come saliere.
– E non è tutto – esclamò questi afferrando un piccolo bonsai. Nelle sue mani da un ramo cavo iniziò a sgorgare un liquido dorato.
– E’ un’oliera? – domandò Ariel con occhi quasi alieni.
– Sì. Se guardi attentamente noterai la riga che segna l’apertura del contenitore. Quello che tu hai preso per un ramo non è altro che un beccuccio ben camuffato.
Nel mostrarglielo le loro mani si sfiorarono e la piccola sirenetta lo fissò intensamente.
– E’ davvero… magnifico! – sussurrò guardando ben oltre lo strano oggetto.
Katia per poco non si affogò con il vino. La sua prima alleata stava facendo gli occhi dolci a un uomo! E da come le riusciva naturale sembrava che non avesse mai fatto nient’altro.
Questo le ricordò il suo compito. Accanto a lei Marta stava discutendo animatamente con Tom. Lui, notò con disappunto, l’ascoltava rapito senza quasi fiatare.
Max le riempì il bicchiere.
– Un brindisi a questo banchetto! – esclamò tintinnando il proprio calice contro il suo. In quel momento Katia aveva poche certezze ma, una di queste era che, da sobria, non ce l’avrebbe mai fatta. Bevve tutto d’un fiato.
– Bravaaaa!! – gridarono in coro Ariel, Michael e Max.
Al terzo bicchiere si sentiva già più forte. Al quarto, sentendo la ola dei suoi amici, un’incredibile euforia la pervase tutta.
Con rinnovato coraggio picchiettò sulla spalla di Marta. Doveva solo ingraziarsela e chiederle di cambiare di posto. Poteva farcela.
A quel tocco Miss-Simpatia si voltò bruscamente, lanciandole uno sguardo incendiario prima di aggredirla con un aspro: – Che diamine vuoi?
Se stava fingendo di odiarla ci riusciva davvero alla grande.
– Volevo solo offrirti un drink – mormorò timidamente, inclinando la bottiglia verso il suo bicchiere.
Marta non parve gradire il gesto perché si portò il calice più vicino al petto, quasi a volerlo proteggere da un assalto nemico.
– E poi mi lascerai in pace? – sillabò sporgendo di un millimetro il contenitore verso di lei.
Quella doveva essere il suo più enorme sacrificio per venirle incontro.
“Stronza” pensò Katia sforzandosi di non ringhiarle contro. Si sporse verso di lei… e quello che successe dopo fu alquanto confuso.
L’ultima cosa che vide chiaramente fu il liquido rosso mancare il bersaglio e investire in pieno la sua vicina. L’attimo dopo sentì uno schiocco fortissimo e poi il buio.
Quando riaprì gli occhi era a terra. La testa le pulsava a mille e sentiva che il suo stomaco era completamente in subbuglio. Qualcuno l’aiutò a rialzarsi.
– L’hai schiaffeggiata! Ma come ti sei permessa! – stava gridando Ariel.
Ora erano tutti in piedi.
– L’ha fatto apposta! Stupida ubriacona! Vi dico che era tutto premeditato!
La nebbia si dissolse e Katia vide Marta, livida di rabbia, che urlava a pieni polmoni. Era quasi sicura che le sarebbe saltata addosso come una belva se due braccia non l’avessero stretta saldamente.
– Stai esagerando. E’ solo uno stupido vestito. Va in camera e cambiati – ordinò una voce profonda alle sue spalle spingendo malamente la donna verso l’uscita.
Il suo salvatore, incredibile a dirsi, era Tom.
Katia vide Ylaria seguire la schiaffeggiatrice folle con rapidi passi e sentì un magone salirle alla gola. L’amica sembrava fuori di sé dalla rabbia e, anche se in passato le aveva spesso rimproverato di essere troppo impulsiva, mai come in quell’occasione, la sua grinta vendicativa le era davvero di grande conforto.
– Sofia! Mia cara! – cinguettò invece, raggiungendola. Quando questa si voltò, Jessika, sfiorandola con tocco gentile, mormorò: – Lascia che ti accompagni. In questa sala io solo l’unica a poter capire il danno che quella zotica ti ha arrecato – e qui le lanciò uno sguardo d’intesa.
Marta la squadrò senza tradire alcuna emozione.
– Oh, ma questo vestitino è un Armani! – esclamò portandosi le mani alla bocca in un moto d’orrore.
– Mio Dio! Poverina! Comprendo appieno il tuo dolore. Andiamo subito a far qualcosa per salvarlo – aggiunse poi in tono efficiente, porgendole un braccio.
A quella dimostrazione di vera amicizia Marta afferrò la mano con slancio e insieme le due arpie marciarono fuori dalla stanza.
Katia si sentì mancare e fu solo grazie a una fulminea presa di Tom che non ricadde.
– Sarà meglio che tu ti sieda – esclamò questi, facendola accomodare bruscamente accanto a sé.
Senza volerlo era riuscita nel suo intento.
Rimase per tutto il pranzo così, imbambolata. Come poteva la sua amica riuscire a essere così? Le sembrava di aver conosciuto solo il dottor Jekyll e che ora Mr. Hyde avesse preso defini-tivamente il suo posto.
– Devi mangiare qualcosa o starai peggio – borbottò Max, scuotendola lievemente.
La sua voce spezzò il trance in cui era caduta. Solo allora notò quanto il clima fosse cambiato. Ariel, con le mani a coppa su un viso falsamente atterrito, imitava fedelmente la faccia di Jessika. Di fronte a lei Michael e Jak erano piegati in due dalle risate. Max completava l’idillio facendo finta ogni due minuti di rovesciarsi il bicchiere addosso.
Tutti stavano parlando dell’accaduto e ci ridevano sopra. L’unico a non aver detto una parola era Tom. Da quando l’aveva fatta accomodare si era chiuso in un mutismo parallelo al suo. Guardandolo meglio notò una cicatrice più chiara spiccare sul naso aquilino. La mascella era molto pronunciata e le labbra erano una riga rigida e sottile. Non si poteva dire bello eppure da tutto il suo essere trasudava mascolinità, solidità. Quasi sentendo il suo sguardo Tom si voltò. Due occhi nerissimi la squadrarono facendole accapponare la pelle. Quell’uomo non era per niente allegro e simpatico. Sarebbe potuto benissimo essere un killer. E le sue occhiate erano inquietanti. Si ritrovò a chiedersi se fosse davvero un tipo timido o stesse solo fingendo. Quel pensiero le ricordò del perché era lì. Ylaria stava facendo l’impossibile (o almeno così sperava) per entrare nella sua parte. Ora toccava a lei.
Il pranzo era quasi terminato e, se non si sbrigava a cogliere un’occasione, la sua missione sarebbe fallita. Non poteva sperare in un altro colpo di fortuna. Si rivolse a lui con la faccia più contrita che le riuscì, dicendogli piano: – Potresti passarmi un po’ di pane?
La voce, a lungo trattenuta, uscì talmente fioca da sembrare quasi un sussurro. Un sussurro che Tom non udì ma che a Max non sfuggì. Un attimo dopo una bella fetta comparve nel suo piatto.
Maledizione. E ora?
La mano, già pronta a prendere il cibo, iniziò lievemente a tremare.
Doveva ricordarsi di non bere. Mai più. E poi, improvvisa, la folgorazione.
– Tom, mi aiuteresti? – lo pregò. Questa volta l’uomo, udendo perfettamente la sua richiesta, si girò a fissarla. Un genuino stupore gli allargò le folte sopracciglia scurissime. Soppesò con diffidenza prima lei, poi il suo piatto, quasi temendo un agguato dalle sue posate.
Katia, costringendosi a non ridere, rispose al suo sguardo indagatore stendendo una mano singhiozzante sul tavolo pieno di bicchieri ma non tanto vicino da toccarli.
– Ho paura di combinare altri guai – mormorò nel tono più sincero che poté.
– Sai, non mi sento troppo in me oggi, d’altronde se non mangio qualcosa svengo. Mi faresti davvero un enorme piacere – aggiunse debolissimamente stringendosi nelle spalle.
Evidentemente il suo pallore aveva confermato le sue parole perché Tom annuì e, staccato un boccone, glie lo porse.
Ce l’aveva fatta!
Si sporse per addentarlo ma un denso fumo le oscurò la visuale.
– Al fuoco! – gridò qualcuno.
Fu il panico.
Tutti correvano in quel labirinto di finti rami senza una meta precisa. Riusciva a intravedere braccia e gambe in movimento ma non capiva a chi appartenessero.
– Vai al quadro, presto! – sentì gridarsi in un orecchio.
Era più facile a dirsi che a farsi. Tutto era di un verde innaturale ed era difficile orientarsi in quel mare di finti cespugli. Iniziò a barcollare nella spessa foschia quando qualcuno, convinto di spegnere le fiamme, le rovesciò addosso un’intera secchiata d’acqua. Le sue altissime scarpe non l’aiutarono molto nella fuga ed anzi una le volò via quando, inciampando in qualcosa, forse una sedia, si slogò una caviglia.
Quella non doveva davvero essere la sua giornata fortunata. Fradicia, scalza e zoppicante raggiunse a tastoni la parete con la grande cornice. Salì sul divano sottostante il dipinto e cercò di entrare ma l’intelaiatura restava ferma al suo posto.
– Vuoi una mano? – domandò una voce nota toccando gli spessi bordi. Magicamente la porta si aprì e Max la spinse dentro. La raggiunse nell’attimo stesso in cui, fuori, si accendevano i dispositivi antincendio. Una pioggerella sottile si abbatté sulla foresta. Anche se chiusi nel caldo tepore di quel piccolo antro i due ragazzi sentirono in lontananza le grida di gioia degli altri.

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Ovunque, intorno a lei, c’erano morbidi cuscini che odoravano di bucato. Su uno particolarmente grande spiccavano delle piccole roselline rosse ricamate con indiscutibile maestria. Ogni venatura, ogni foglia, persino ogni piccolo bocciolo sembrava vivo, quasi sul punto di sbocciare tra le sue mani.
La mente volò indietro a uno scenario simile eppure tanto diverso: il giorno più bello della sua vita.
Lei che dormiva baciata dai raggi di un sole estivo. D’un tratto un refolo di vento si insinuava tra le lenzuola, baciandole malizioso tutto il corpo. Simile a una carezza piumata, un brivido, partendo dalla schiena, fluiva dolcemente sui fianchi per perdersi sulle lunghe gambe.
– Svegliati, pigrona! – le aveva sussurrato una voce morbida nelle sue orecchie.
Ma lei, per tutta risposta, si era avvolta di più nelle fresche lenzuola.
– Allora non avrai il regalo del tuo compleanno.
Ecco la parola magica. Si era tirata su di scatto. Aveva quasi scordato che quel giorno compiva diciotto anni.
– Sei cattivo – aveva biascicato schiudendo due occhi sonnolenti.
Lo spettacolo che le si era presentato davanti l’aveva svegliata completamente. Tutta la stanza era interamente sommersa di enormi, spettacolari, stupefacenti mazzi di rose rosse.
– Andrea!! Ma sono tantissimi!! – aveva esclamato incredula.
– Non tantissimi. Sono solo diciotto mazzi di diciotto rose – aveva ribattuto lui baciandola.
– E non è tutto – aveva esclamato scostandosi di lato così che, da quella nuova angolazione, potesse scorgere una piccola fila di pacchetti terminante sul tavolo della cucina.
Lei, novella Pollicino, si era avvolta stretta nel lenzuolo, prima di lanciarsi divertita sulla luccicante scia di fiocchetti.
– Diciotto regali – aveva mormorato incredula.
– Ma tu sei un pazzo! – aveva esultato abbracciandolo forte. Sapeva di buono.
Lui l’aveva tempestata di piccoli, schioccanti baci mentre una mano le toglieva, con un unico strappo, quel candido manto.
– Ci sono diciotto dolci pronti per la tua colazione – aveva spiegato indicandole un grande vassoio colmo sulla sua destra.
– Ma è ancora presto per mangiare – aveva aggiunto poi con voce roca, prendendola in braccio.
– Oggi è il tuo giorno, Baby, e farò di tutto per rendertelo indimenticabile – aveva dichiarato riportandola a letto.
Tutto poteva dire, ma su una cosa non si discuteva: Andrea era un uomo di parola.
Quando, ore dopo, si era acciambellata al suo fianco lui si era assopito di schianto. Lo aveva guardato: era così maledettamente bello con i capelli nerissimi che gli cadevano lunghi sulla fronte ampia. Gli aveva sfiorato con un bacio leggero le palpebre chiuse e subito queste si erano aperte. Due occhi azzurro cielo l’avevano fissata amorevolmente.
– Io ti amo e ti amerò per sempre. Tu sei la mia vita. Credimi.
E lei, sciocca, ci aveva creduto.
Una lacrima ingioiellò le sue ciglia prima che riuscisse a ricacciarla. Tremò per la rabbia di non aver capito, di essere stata così irrazionalmente stupida.
Una voce del presente ricacciò le ombre del passato in fondo al pozzo dei ricordi.
– Stai bene? – stava chiedendo Max, scrutandola con gran preoccupazione.
Lei annuì afferrandosi i gomiti per non sussultare. Il sorriso di gioia che rischiarò il volto del compagno la disarmò comple-tamente.
– Questa deve essere tua, Cenerentola – proclamò maestosamente porgendole la sua preziosa scarpetta.
– Ma al momento il tuo primo pensiero è cambiarti quella camicetta o ti verrà una polmonite – le ordinò, improvvisamente allarmato.
Voleva dirgli che non era necessario, che stava bene così ma lui, senza esitare, si era già tolto agilmente il maglioncino e, cavallerescamente, glielo stava porgendo.
Solo allora Katia si accorse di come il tessuto bianco, ormai fradicio, le si fosse inguantato addosso rendendo ben visibile i pizzi del reggiseno e parte del décolleté. Arrossì violentemente cercando di coprirsi con le mani.
– Devi asciugarti bene. Tra poco usciremo all’aperto e qui il freddo non perdona – la informò lui, serissimo, di fronte alla sua ritrosia.
– Io mi volto, non ti preoccupare – aggiunse poi, consegnandole anche la sua camicia a mo’ di asciugamano.
Era rimasto con una aderentissima maglietta termica. Katia trasalì nel costatare come quegli spessi strati di panni nascondessero un fisico asciutto e ben proporzionato.
Lei invece era davvero fuori forma. Nel “periodo no” aveva preso un po’ di carne che, ammorbidendole i fianchi ossuti, le avevano conferito più femminili rotondità. Troppe forse.
– Non sbirciare. Potresti rimanere segnato a vita! – cercò di scherzare mentre si toglieva la camicetta bagnatissima.
Oddio com’è imbarazzante, pensò mentre si frizionava deli-catamente la pelle nuda con la grande camicia. Dopo poco si accorse dell’inutilità del suo gesto. Dal reggiseno intriso d’acqua sgorgavano, come da una fontanella, piccoli, innumerevoli, umidi rivoli d’acqua. Non c’era altra scelta: doveva toglierlo.
Quando un secco tlac segnò lo sganciarsi dell’ultimo indumento nel silenzio della stanza si sentì chiarissimo il rumore di un groppo che attanaglia la gola in uno spasmo involontario. Con un morbido puf le piccole coppe toccarono il suolo. Rapidamente si coprì il seno con un cuscino mentre con l’altra mano afferrava il maglione steso davanti a lei. E in quell’istante, chinando gli occhi, vide una piccola palla pelosa muoversi vicino ai suoi piedi.
– Un topooo! – strillò. Si voltò per scappare ma una collinetta piumata frenò bruscamente la sua fuga proiettandola lunga in avanti.
Max la prese al volo. Il contatto di quel corpo forte e muscoloso sul suo fu devastante.
Un caldo intensissimo salì dallo stomaco fino a incendiarle le guance. Sentì un brivido di risposta percorrere il corpo di lui mentre il fiato le si faceva corto. Passarono degli attimi intermi-nabili.
– Devi stare più calma, Cenerentola, o ci faremo male – mormorò lui ridendo.
Tu-tum. Tu-tum. Sentiva il cuore galoppare a briglia sciolta.
Non poteva essere. Non poteva capitare a lei.
Un’intuizione la spiazzò: e se fosse una scena prevista dal Love Game?
Probabilmente lui stava recitando. Anzi, sicuramente era così.
E lei sarebbe stata all’altezza della parte! Bella e seducente come la rossissima Jessica Rabbit. Il suo corpo però non volle saperne di staccarsi da quel contatto rassicurante per passare all’attacco. Una vocina piccola piccola le ricordò alcune piccolissime differenze. Per prima cosa, non era un cartone animato e secondo, insignificante particolare, si sentiva parecchio più “rab-bit” che Jessica.
– Vuoi che te lo infili così ti riscaldi un po’? – propose Max all’improvviso, stringendola con intensità. I suoi occhi nocciola mandavano scintille dorate.
Oh Dio. Dio. Dio. Sono da sola con un maniaco sessuale!
Alzò lo sguardo e sussultò vedendo che il presunto maniaco, ignaro delle sue fantasticherie, aveva allungato le mani oltre le sue spalle e, mentre lei lo fissava come un coniglio spaventato, la stava avvolgendo dolcemente nel suo cardigan.
– Stai tremando come una foglia – costatò strofinandole delicatamente il tessuto sulla pelle.
– Su, infilalo – ripeté dolcemente.
Lei obbedì in silenzio. Ma si può essere così stupide?, si do-mandò rivestendosi.
– Ti sei spaventata per niente – aggiunse lui calciando un cuscino. Con esso volarono in aria lunghe frange adorne di piccole palle di pelo colorate.
– Mia sorella è sempre stata originale nel creare i bordi – dichiarò divertito.
Katia si sentì sprofondare.
Sì, evidentemente posso diventare la regina della stupidità, si ri-spose afflitta.
Max, ignorandola, fece crollare una pila di cuscini posti a un lato dell’affollatissima stanzetta e dietro di essi, magicamente, comparve uno stretto corridoio. Lo seguì in silenzio fino a che non sbucarono in una piccola saletta colma di attrezzi e con un lato del tetto squarciato. La coperta di ragnatele che le si incastrò nei capelli le confermò che era da un bel po’ che nessuno entrava in quel magazzino.
– Dobbiamo tornare allo chalet seguendo sempre il sentiero. Ci sono molti crepacci qui – le spiegò Max indicando un sottile ar-gine che si affacciava nel vuoto.
Katia obbedì risalendo piano la ripida scarpata, seguita dal suo anfitrione. Il silenzio si fece greve. Katia, imbarazzata, provò a intavolare di nuovo la conversazione ma da quando erano all’aria aperta Max sembrava diverso… quasi inquieto.
Probabilmente si vergogna di farsi vedere in giro con me pensò, ricacciando subito l’idea in fondo alla sua mente. Stava diventando paranoica.
Quando furono a metà percorso, seppure ancora lontani, intravidero Tom in piedi davanti alla casa. Si muoveva con andatura lenta nel piazzale guardandosi intorno come un cane che perlustra il territorio. Loro erano molto più in giù ma se si fosse affacciato li avrebbe sicuramente scorti. Non appena Max intravide l’uomo si staccò subito da Katia, come se fosse stato scottato da quel contatto.
– Io devo proprio andare. A dopo! – dichiarò agitato, defilandosi senza mai voltarsi.
Neppure un saluto, uno sguardo. Niente. Dopo quello che c’era quasi stato. Katia si sentì stupidamente delusa. Era certa che Max non stesse recitando. Aveva avvertito della tensione nella sua voce. E allora perché si era tirato indietro? Era davvero tanto brutta da non meritare neppure una miserissima avance?
Con rabbia bruciò gli ultimi metri, catapultandosi furiosamente nello spiazzale erboso della collina. Tom era dal lato opposto ma, scorgendola, non diede segni di gioia. Si voltò e, senza accelerare la sua andatura, la raggiunse a piccoli passi evitando con cura quelle che sembravano sottili lastre di luce bianca sul terreno scuro. I piccoli cumuli di nevischio ai lati delle imposte, per la stradina e, soprattutto, sul pantalone di Tom, le fecero capire il perché di tutta quella posata lentezza.
Nonostante fissasse sfrontatamente la chiazza umida sul suo fondoschiena Tom, con stoica indifferenza, si limitò a dirle, in tono compassato: – Ah. Sei qui.
Il fatto che lei fosse sbucata all’aperto, lontano dalla casa e con il maglione di Max addosso non sembrò stupirlo affatto.
– Come stanno gli altri? Cos’è successo? – lo interrogò non appena fu a portata di tiro.
L’uomo alzò le spalle infastidito, come se lei gli avesse chiesto un’assurdità.
– Stanno tutti bene. A quanto pare è stata Sofia a far scattare l’allarme antincendio. Una piccola vendetta contro di te per averle rovinato il vestito – annunciò con distacco.
– Ma questo non è importante – continuò rianimandosi.
– Il nostro gruppo deve creare due costumi per domani sera. Max non si trova. Jak non sa tenere un ago in mano ed io da solo non penso di farcela. La nostra ultima speranza sei tu. Sei capace di cucire vero?
La voce, poco prima tanto calma, gli si era fatta im-provvisamente un po’ stridula. Katia sbarrò gli occhi. – Cucire? Perché?
– Perché mentre tu eri misteriosamente scomparsa abbiamo estratto le tre gare in cui le squadre dovranno cimentarsi per vincere il premio – urlò una vocetta squillante.
Katia si stropicciò gli occhi. Tom sapeva fare il ventriloquo?
Ben nascosta dall’enorme figura apparve, più minuta e bionda che mai, Ariel.
– Ti stavo cercando – gridò afferrandole le mani e saltellando sul posto a ritmi frenetici.
– Abbiamo vinto la Jacuzzi!! – esclamò tra uno strattone e l’altro senza mai rallentare il ritmo.
La sua faccia doveva sembrare davvero scioccata perché Tom, uscendo dal suo mutismo, le venne in soccorso. – Quello che vuole dire è che la casa dispone di alcuni notevoli confort – precisò. Spiegò le dita enunciandole. – Ci sono una sauna, una piscina, un solarium, la vasca idromassaggio, una palestra, cose così. Per evitare che tutti si riversino sulle stesse cose lo stesso giorno sono stati fatti dei turni con una specie di estrazione. Oggi è toccato ad Ariel. Poiché la vasca è a due posti è previsto che, se lei vuole, possa portare con sé un’altra persona. A quanto pare ha scelto te. Che fortuna! – disse alzando gli occhi al cielo in un gesto di muta disperazione.
– Jacuzzi! Jacuzzi! – urlò irrequieta la piccola Barbie, spingendola dentro la casa.
– Quando avrai finito di rilassarti bussami così parleremo con calma dei costumi – la ammonì Tom prima di lasciarla andare.
 

Rossy79

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Dalla terrazza di un piccolo pub Ylaria guardava l’immensa vallata ai suoi piedi. Nonostante fosse solo l’inizio di ottobre un vento freddo soffiava da nord e tutti gli avventori avevano preferito il tepore del locale alla gelida vista mozzafiato. Lei era la sola a occupare un tavolino all’aperto. Il gelato si stava sciogliendo nell’elegante bicchiere senza che riuscisse a ingoiarne un solo boccone. Lo stomaco era così stretto da farle male.
– Sono in ritardo?
Una donna in tailleur scuro avanzò tra le sedie. La sua eleganza stonava con la rusticità del posto. I capelli scuri e lucentissimi, raccolti in un severo chignon, lasciavano scoperto un viso delicato, appena intaccato da sottili rughe sulla fronte.
Ylaria fissò quei bei lineamenti. Sapeva che quella donna aveva quasi quarant’anni ma sembrava poco più di una ragazzina ben truccata.
– No, vicedirettrice Madison, siete puntualissima.
– Bando alle formalità, finché siamo qui chiamami semplicemente Madison. E dammi del tu. Questo posto è bellissimo, grazie per avermelo fatto conoscere – si complimentò con fredda cortesia, accomodandosi con eleganza.
Ylaria sembrò perplessa ma, se il suo capo voleva così…
– Dovere. Madison ti andrebbe una sigaretta? – chiese, giusto per vedere come suonava.
– Non avevi smesso?
Ah, già. Perché se n’era scordata?
– A Londra. Ma qui ho ricominciato.
Un pacchetto nuovissimo apparve sul tavolo.
– Beh, allora ti tengo compagnia.
Le due donne si rilassarono attorniate da sottili fili di fumo lasciando che il tempo scorresse.
La vicedirettrice Madison resistette cinque minuti prima di capitolare.
– C’è un motivo particolare per cui mi hai chiamato? Spero che tutto il progetto sia partito senza intoppi – esclamò sfoderando un sorriso accattivante.
Ylaria sapeva di avere un ruolo importante ma solo ora, di fronte all’improvvisa dolcezza della donna più odiosa che conoscesse, capì appieno quanto fosse preziosa. Senza di lei il progetto sfumava. Si prese un attimo per il gusto di vederla friggere an-cora un po’.
– Stamattina ho sentito Corinne – iniziò lentamente.
Ogni discorso che iniziava con “ho sentito Corinne” non era mai un buon principio e il suo capo, intuendolo, annuì gravemente.
– Ha cambiato nuovamente idea su alcune cose, stravolgendole. E ogni giorno diventa più isterica – si lamentò.
– Io ero sicura di riuscire a seguire al meglio questo progetto ma, ecco… ora sono nuovamente punto e a capo. Mancano solo sei giorni e non so se riesco a convincere gli altri e contemporaneamente a lavorare. Sinceramente non sono più sicura che sia una buona idea andare avanti.
Come prevedeva Maggy Madison saltò dalla sedia come se l’avessero punta.
– Ma tu devi farcela! Abbiamo riservato moltissimo spazio a questo nostro progetto! – tuonò inclemente.
“Nostro” significava che a lei non sarebbe andato alcun merito.
– Sai quanto conto su questo lavoro ma sono troppo impegnata per occuparmene personalmente – le ripeté.
Ylaria aveva notato la maestria con cui Madison stava sorvolando su un piccolissimo dettaglio: Corinne Comet voleva solo lei.
– Non puoi dirmi semplicemente che non ce la fai. Non è professionale. Avevamo un accordo. Devi rispettarlo!
– Lo so. Ma…
L’altra si sporse in avanti. Il vestito scurissimo contrastava con il pallore del viso.
– NON PUOI PIANTARMI IN ASSO COSI’! NON LO ACCETTO! – scandì furiosamente.
I bei tratti si erano tirati a formare una maschera di pura rabbia. Ora faceva davvero paura. – Sai che potrei anche rovinarti? Una mia parola nell’ambiente giusto e nessuno ti assumerà più. Mai più – sibilò in una fedele imitazione di un serpente a sonagli.
Ylaria non la degnò di uno sguardo. Aveva lei le carte vincenti e, per quanto l’altra sbraitasse, avrebbe chiuso quella mano con una scala reale.
Di fronte all’indifferenza delle sue minacce la donna cambiò repentinamente tattica.
– Ma non arriverò a tanto. Tu lo sai. Ho fiducia nelle tue doti.
La voce era calata improvvisamente diventando quasi un miagolio.
Prese qualcosa dalla borsa.
– Facciamo così – scandì pianissimo, sollevando un libretto per gli assegni – ogni buona azione ha un suo prezzo. Si fermò.
– E tu stai dando prova di notevole pazienza lavorando per Corinne. Qual è il prezzo per, diciamo, superare questo impre-visto?
Ylaria guardò un puntino lontano all’orizzonte immersa in pensieri profondi.
Era stato più facile del previsto. Ora doveva solo aggiustare il tiro per raggiungere il suo scopo.
– Non sono i soldi che m’interessano.
– Ah no? Questa volta il suo capo sembrava davvero sconvolto.
– I ragazzi hanno dovuto fare un lavoro in più. Dovevo motivarli in qualche modo – iniziò prendendola volutamente un po’ alla lontana.
La Madison ora la fissava attentissima, con le labbra serrate sulla sigaretta.
– Loro avevano un desiderio. Ho fatto leva su quello.
– E i soldi non possono realizzare questo desiderio?
– Anche la nostra società potrebbe farlo. Si tratta di un soggiorno di un mese in America. L’ideale sarebbe una specie di tour per le varie città: Washington, Manhattan, New York e Las Vegas. Naturalmente tutti gli spostamenti saranno spesati e sia gli aerei che gli alberghi dovranno essere di lusso.
– Ma sei pazza? – esplose l’altra, alzandosi così furiosamente da far cadere la sedia.
– Perché? Non sarebbe la prima volta che la nostra ditta fa queste cose – asserì Ylaria ostentando una calma che era ben lungi dal possedere.
Ora si stava avventurando su un terreno minato composto di pettegolezzi e supposizioni ma l’altra non doveva assolutamente accorgersene. Doveva bleffare.
Sfoderò la sua migliore faccia tosta.
– E tu, signorina, come lo sai? – proruppe il suo capo a denti stretti, asciugandosi nervosamente la fronte con un tovagliolino.
– Lo so e basta – ribatté con voce trionfale. Allora aveva ragione!
– Comunque non si può fare una cosa del genere per otto persone. Te ne rendi conto?
Era arrivata dove voleva. Ora poteva abbassare la posta.
– Ne basterebbero due. Due soltanto – disse in tono conciliante.
– Ho promesso ai ragazzi che se avessero finito tutto per domani due di loro avrebbero avuto questa occasione. Decideranno poi loro chi.
La vicedirettrice tirò un evidente sospiro di sollievo.
Aveva vinto?
– Va bene ma prima di rilasciare questo premio dovrò costatare di persona che il progetto in più sia stato fatto a regola d’arte. Dovrà davvero entusiasmarmi.
– Vuoi venire a vedere di persona come sta procedendo? – esclamò per fare scena. Sapeva che quella donna era una persona impegnatissima e che non avrebbe mai accettato.
Ma, contrariamente ai suoi piani, la Madison esitò. Aprì una minuscola agenda leggendo fra fitti scarabocchi d’inchiostro. Stava valutando forse se la gravità della situazione reclamasse un suo intervento diretto?
– E poi non ci saranno altri intoppi?– domandò bruscamente.
Ohi. Ohi. La situazione le era sfuggita lievemente di mano.
– Certamente! Ma se hai altri impegni… non preoccuparti! La questione è completamente sotto controllo – chiarì precipitosamente Ylaria, sfoderando un sorriso rassicurante.
– Quando i piani cambiano mai nulla è sotto controllo! – protestò vivacemente il suo capo.
Chiuse il piccolo libro e aprì un altrettanto microscopico cellulare.
– Dammi un secondo per liberarmi di tutti gli appuntamenti fino a domani – la informò imperiosamente, allontanandosi di qualche passo.
– Perfetto – sibilò Ylaria con una vocina tremula.

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Rossy79

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La mia prima recensione

Interrompo la storia per comunicarvi, con tantissima gioia, che oggi ho ricevuto la mia prima recensione....
la potete trovare qui:

Innamorata dei libri : Recensione: Love Game


il punto che più mi ha commosso è questo:

"Pian piano si scoprono tutti i retroscena, il passato di ogni personaggio e ciò che li lega. Alla fine ogni domanda riceve la sua risposta e niente viene lasciato in sospeso, la scrittrice è riuscita a districare la matassa abilmente. Faccio i miei complimenti vivissimi a Rossella Leone e la ringrazio per avermi dato la possibilità di leggere il suo fantastico romanzo con cui è riuscita a farmi incuriosire e appassionare. Gli faccio anche tantissimi auguri per l'uscita del cartaceo!
Il consiglio che posso darvi è quello di leggerlo, leggerlo, leggerlo!!!!
E' una lettura piacevole, scritta in modo scorrevole e per niente scontata. Una storia che vi lascerà a bocca aperta quando scoprirete tutta la verità! "

Sono davvero davvero felice....
 

Rossy79

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Immersa in una bellissima vasca di marmo rosa Katia si rilassò.
– Non è fantastico qui? – esclamò immergendo anche la testa tra i piccoli flutti di bolle artificiale.
Ariel annuì. Da quando erano arrivate si era avvolta in un morbido accappatoio rosa e non faceva altro che ciabattare felice da un lato all’altro dell’enorme sala. I suoi gridolini avevano accompagnato la scoperta, poco più in là di una doccia idromassaggio a due posti, di un solarium e di alcuni lampioncini da muro che si accendevano battendo le mani.
Salì veloce i tre gradini che portavano alla vasca incassata al centro della sala e fissò in estasi i faretti disposti a cerchio esattamente sopra di loro.
– Potrei davvero morire felice. Ora. Subito. Come si fa a vivere come prima dopo aver visto quali meraviglie esistono? – esclamò serissima.
– Perciò godiamoci questi momenti. Arrivo! – strillò poi, slacciandosi l’accappatoio e tuffandosi.
Nell’impatto il bikini le si sciolse e prese a galleggiare sull’acqua.
– Uffi! – beata te che hai un bel seno grande, il mio non merita neppure un costume che lo copra! – dichiarò mettendo un finto broncio.
Katia sorrise afferrando il piccolissimo triangolo. Ariel la raggiunse.
– Le tue sono vere? Posso toccarle? – chiese estasiata, guardandole il seno.
“Certo di sì. E ovviamente no che non puoi!” avrebbe voluto gridare.
– Non è nulla di entusiasmante, te lo assicuro! – rispose invece scostandosi un po’ troppo bruscamente.
Ariel sembrò capire ma non si scompose più di tanto.
– Sei troppo tesa. Potrei farti un massaggio. Sono brava sai! Che dici?
Katia s’immerse tra le bolle prima di rispondere. Non voleva essere scortese ma, onestamente, non le sembrava una grande idea. Farsi mettere le mani addosso da una perfetta sconosciuta non rientrava tra le sue priorità. E perché poi?! Per essere strizzata e pungolata. Rabbrividiva al solo pensiero. Imbastì un sorriso triste di circostanza.
– Mi piacerebbe molto – esordì fissandola con apparente-genuina-falsissima-gratitudine – ma, come puoi notare, qui – e sottolineò con il braccio l’immensa distesa marmorea – purtroppo non c’è nulla su cui stendermi.
– Mi sarebbe piaciuto davvero molto… beh, sarà per un’altra volta! – concluse dandole una pacca affettuosa sulla spalla.
Ariel annuì pensosa.
Finalmente era tutto risolto. – Aspettami qui. Forse so come rimediare! – annunciò invece, uscendo di corsa dall’acqua.
Oh no. Oh no! Non poteva essere. E invece sì.
Qualche minuto dopo la biondina era di ritorno e trascinava con se un lettino di toghe di legno con le rotelle.
– Questo andrà benissimo. Sapevo che qui accanto c’era un solarium. Siamo state fortunate! – squittì felice.
Già. La fortuna la perseguitava. Si stese di malavoglia.
Ora sarebbero arrivate le gomitate gratuite. Chiuse gli occhi. Pochi attimi dopo sentì un liquido fresco scenderle per la schiena.
– Non ti preoccupare. E’ un olio essenziale. Ha proprietà tonificante – le spiegò una voce vellutata sopra di lei.
Sentì qualcosa sulla necessità di creare l’atmosfera “giusta” ma le parole le attraversarono la mente come una musica senza parole. Il suo cervello era paralizzato da mille agghiaccianti pensieri. E se Ariel si fosse messa a camminarle sulla schiena? Aveva visto che in “Charlie’s Angel” l’agente cinese travestita da massaggiatrice l’aveva fatto.
Aspettò con ansia che un peso morto la schiacciasse pregando in cuor suo di non urlare. O almeno di non urlare troppo.
Passarono i secondi ma, stranamente, non accadde nulla. Anzi un piacevole aroma di abete e muschio si sprigionò nell’aria. Contemporaneamente un tocco leggero iniziò a tracciare piccoli cerchi alla fine della colonna vertebrale.
– Questo è il massaggio Kundalini. Ora risalirò sui tuoi chakra.
Sui suoi che?
Dita sapienti toccavano il suo corpo sprigionando qualcosa in lei. Man mano che la sua pelle veniva lentamente stretta e poi rilasciata Katia sentiva un’energia attraversarla. Il suo corpo, come una corda a lungo contorta, a ogni spinta riprendeva la sua flessuosa, originaria forma. I nodi di tensione si scioglievano.
– E’… bellissimo! – mormorò con un filo di voce.
– Te l’avevo detto! E aspetta che arrivi alle gambe!
Ariel non mentiva. I successivi dieci minuti furono l’apoteosi del piacere.
Katia era rilassata e felice. Avevano parlato di tante cose (o meglio lei aveva parlato snocciolando tutti i dati previsti dal suo personaggio). Si era raccontata esattamente come indicato e (incredibile a dirsi!) le era piaciuto! In fondo era divertente fingersi ancora giovane e confusa, piena di libertà e di vita!
Ariel non l’aveva importunata con sciocche riflessioni su cosa fare. Il suo silenzio era stato carico di complicità. Per forza – rifletté – chissà quante marachelle doveva aver fatto quel peperino biondo! Se la vedeva, vestita come una hippie, a bere vodka insieme alle sue compagne di stanza. Sulla scia di questi pensieri si era inventata anche alcune scene extra del suo passato, una bella ubriacata sulla spiaggia, tanto per dimostrare alla dolce barbie che anche lei sapeva come divertirsi e che non era un’asociale musona (come invece era sempre stata nella sua vita reale). La compagna non si era dimostrata solidale quanto sperava, limitandosi per lo più ad annuire ma questo non era importante. Sentiva che erano entrate in perfetta sintonia. Si era creato qualcosa di unico e profondo tra loro.
– Ora posso anche confessartelo – disse rivestendosi – io non avevo mai creduto a quei ciarlatani che fanno queste cose. Li avevo sempre reputati degli sfigati alla ricerca di sciocchi narcisisti da abbindolare.
– Ma tu!! – esclamò poi, afferrandole entrambe le mani – tu sei davvero bravissima. Hai un dono. Dovresti usarlo! – dichiarò ammirata.
Si aspettava un abbraccio. O almeno un sorriso ma, con suo sommo stupore, l’altra le lasciò le mani con evidente disprezzo.
Forse non le faceva piacere essere lodata per questa sua qualità. Probabilmente odiava essere accomunata a una comune massaggiatrice.
– Scusami – continuò in tono mite – non volevo paragonarti a quella gentaglia. Era solo un modo carino per dirti che sei eccezionale. Amiche come prima? – esclamò giuliva.
Ma le sue parole, anziché produrre l’effetto sperato, riuscirono semmai a peggiorare la situazione. Quando alzò lo sguardo su Ariel si accorse che le sue sopracciglia biondissime erano incre-spate in una maschera di pura indignazione.
– Che c’è? – le sfuggì.
– Ma tu … CHI DIAVOLO CREDI DI ESSERE ? – l’accusò l’altra, infiammandosi.
L’urlo, tanto inaspettato quanto forte, la spiazzò.
Qualcosa non tornava. Lei si era dimostrata gentile. Perché veniva attaccata?
La scrutò con occhi sbarrati dallo stupore.
– Sei solo una stupida ragazzina viziata! E’ facile per te, sostenuta dai soldi di mamma e papà, farti venire dubbi e crisi esistenziali! E’ facile darti alla bella vita! – esplose.
Katia incassò senza battere ciglio. Darsi alla bella vita? Proprio lei che aveva studiato come una matta per anni. Stava quasi per sorridere dell’equivoco quando la fanciulla, letteralmente schiumante rabbia, si avvicinò.
– Beh, non tutti sono così fortunati – riprese a un centimetro da lei.
– Anch’io avrei voluto fare l’università. Diventare qualcuno… ma purtroppo non è stato possibile!
Oh no. Ora i suoi occhi mandavano lampi.
Doveva assolutamente sdrammatizzare la situazione.
– Non devi preoccuparti. Puoi sempre iscriverti dopo. Qualunque ostacolo può essere superato. Basta solo avere tanta buona volontà e…
– NON DIRE ASSURDITA’! – sbottò l’altra voltandosi. E poi, in tono diverso, quasi triste, aggiunse: – Nel mondo vero non sempre basta la buona volontà. Ho perso i miei genitori a sedici anni. Ero sola. Completamente sola. Ho dovuto arrangiarmi da subito. Vivevo in un sottoscala. Ma tu – e qui, puntandole un minaccioso dito contro, le lanciò uno sguardo di disgusto – tu di certo non puoi capire cosa vuol dire! – l’aggredì con voce sferzante.
Si fermò. La fissò glaciale, quasi sfidandola a replicare.
Karen provò a immaginare cosa volesse dire trovarsi ogni mattina sola contro il mondo. Avere bollette da pagare, cibo da comprare, dover correre al lavoro, finire tardi la sera per poi ricominciare tutto da capo. Senza la speranza che nulla migliori e che nessuno ti sia vicino. Un brivido di freddo le risalì la schiena mentre la testa prese a girarle. Doveva essere stato agghiacciante. Era entrata in qualcosa di molto più grande di lei. Che cosa si diceva in queste situazioni?
“Mi dispiace?”. Troppo banale.
“Posso fare qualcosa per te?”. Probabilmente le avrebbe risposto di affogarsi.
No. Non le sembrava il caso. Preferì tacere.
Di fronte al suo silenzio la ragazza iniziò a raccogliere furiosamente le sue cose, sparse un po’ ovunque.
– E poi c’è la gente come te. Gente che ha tutto e ha anche il coraggio di lamentarsi, di GIUDICARE!! – protestò con un tono che diventava via via più alto e stridulo.
Era di spalle ma Katia vide chiaramente il suo braccio strofinare via qualcosa dalla faccia. Bene. L’aveva fatta piangere.
In pochi passi Ariel raggiunse la porta e qui si voltò. Il suo viso era rigato di dolore e rosso di vergogna.
– Poiché per te lavorare onestamente e cioè fare l’aroma terapeuta equivale a essere una cialtrona… non ho più nulla da dirti – annunciò dura.
Si allontanò senza mai girarsi.
Katia sentì le gambe diventare improvvisamente molli. Aveva fatto una gaffe dietro l’altra. Si era già giocata una possibile alleata.
Rimase lì, ferma, fino a quando Tom, spuntando dalla porta non la raggiunse.
– Karen! Finalmente ti ho trovata! – esclamò raggiungendola.
– Stiamo facendo gli strumenti per il gioco. Questa è una piantina della casa – disse mettendole in mano un foglio accuratamente disegnato.
Notò che vicino a ogni stanza era stato annotato, in una grafia stretta e lunga, il nome della sala e la sua funzione.
Una scrittura ben diversa da quella piccola e tonda della lettera, si ritrovò a pensare.
– E questi sono gli orari delle prove per domani. Mi sono permesso di fare dei turni per evitare che ci ritroviamo tutti nello stesso posto, a ostacolarci inutilmente – aggiunse porgendogli un altro foglio leggermente più grande.
Su questo, dipinti in tenui colori ad acquerello, splendeva una strepitosa decorazione floreale intrecciata in una complessa architettura di archi e volte formanti una deliziosa cappella.
– Ma è magnifica! – esclamò a bocca aperta.
– Cosa? Ah, ho sbagliato foglio – borbottò l’uomo arrossendo lievemente. Cercò nella lunga pila davanti a sé e sostituì il pezzo di carta con un altro completamente pieno di tabelle a colori vivaci.
Katia osservò il complicatissimo schema su cui erano annotati tutti i nomi e tutte le cose da fare e a che ora farle. Doveva essergli costato molto tempo.
Tom sembrò leggerle nel pensiero.
– Sono un tipo molto preciso. Odio che le cose siano lasciate al caso.
Questo spiegava molte cose. Tom non aveva le fattezze di un ragazzino. Doveva essere il più grande del gruppo. A occhio di certo oltre la trentina. Probabilmente era uno di quegli uomini maturi e posati con un’innata passione per gli hobby artistici.
– Quel dipinto fantastico, l’hai fatto tu? – domandò preferendo sorvolare su quanto lei invece amasse seguire un ordine beh, diciamo, “relativo” delle cose.
– Sì – replicò in fretta, riprendendo a riordinare le sue carte.
Un semplice laconico sì. Aveva immaginato che il suo commento scaturisse almeno un pistolotto di alcuni minuti. Tutti amano vantarsi delle proprie qualità. E invece Tom non si era scomposto. Evidentemente non amava elogiarsi o forse, più semplicemente, non c’era dialogo tra loro.
Ora, quasi a conferma dei suoi dubbi, lui si era voltato, dandole le spalle.
La ignorava deliberatamente! Non bastava il flop di prima, ora anche Tom le complicava la vita. La giornata sarebbe finita e lei non sarebbe riuscita a seguire il copione. Non pretendeva certo di saltargli addosso o di irretirlo con languidi e roventi sguardi ma doveva almeno trovare il modo per sciogliere quel gelo.
Sarebbe andata per gradi, si disse.
Un approccio morbido e prudente, si propose.
Magari un bel complimento disinteressato e sincero poteva aiutare.
– Sei davvero bravissimo. Io non sarei capace di disegnare un albero figuriamoci archi e volte! Le tue invece sono davvero realistiche. Fammi indovinare come hai imparato – cinguettò allungandosi verso di lui.
– Ti diletti per caso a fare il pittore?
– No – ribatté lui.
Il suo tono non era più distante. Era diventato molto seccato.
Diede un ultimo colpetto in modo che la pila traballante di fogli si riassestasse millimetricamente e poi, senza guardarla, aggiunse: – Sono un architetto. Ho imparato studiando e mi sono laureato a pieni voti.
Tiè! Questo perché non imparava mai a stare zitta.
–Non appena ti sei ricomposta raggiungici – esclamò aspramente, rivolgendo un’occhiataccia al suo costume e poi, senza neanche un saluto, scomparve nel corridoio.
Katia afferrò con rabbia un asciugamano.
Ma quando sarebbe finita quella maledetta giornata?
Due ore dopo era in un’immensa sala. Le avevano dato in mano quelle che sembravano delle lunghe federe bianche spiegandole che il suo compito consisteva nel cucire degli orli dorati sui tre lati del candido tessuto.
Avrebbe voluto più chiarimenti ma Max era scappato via con Tom urlando che erano già in un ritardo mostruoso.
E l’aveva lasciata così, con ago e filo in mano.
C’era solo lei in compagnia di un enorme oggetto ricoperto da un brutto telo sporco. Non avendo nient’altro da fare decise di mettersi subito all’opera. Iniziò con l’imbastire velocemente le due federe e, dopo un paio di punti, e altrettanti giri d’ago, si sentì davvero orgogliosa di sé.
Era davvero una cosa facile e rilassante. Avrebbe dovuto farlo più spesso.
Ma come mai aveva smesso?
Un’ora dopo la risposta era stampata a fuoco sulla sua fronte grondante di sudore.
Ma come, c–o–m–e , le era venuto in mente di ricominciare a cucire? Il viso era chiazzato di rosso, in parte per il caldo, in parte per la concentrazione; si era punta un migliaio di volte, gli occhi le bruciavano e i risultati erano stati… guardò l’informe massa di fili dorati pendere come una ragnatela dal tessuto latteo… beh… dire pietosi sarebbe stato riduttivo.
 

Rossy79

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Nella stanza si sentiva solo il ritmico tamburellare delle sue dita nervose.
Sentì in lontananza un chiacchierio concitato. Oddio! Stavano ritornando! E lei era praticamente ancora in alto, altissimo mare. Il suo orgoglio si rifiutò di fare un’ennesima brutta figura. Per quel giorno aveva già raggiunto e superato i suoi record personali. Avanzò per la sala vuota alla ricerca di una nicchia, di un vuoto, di qualsiasi cosa in cui far scomparire le prove ma, ovunque guardasse, c’erano solo lisce pareti senza mobili.
– Allora, com’è andata? – domandò allegramente Max.
Con suo orrore, accanto a lui, c’era Sofia, perfetta in un attillatissimo pantalone firmato.
– Bene! – mentì a un tono un po’ troppo alto.
– Non hai avuto difficoltà ad assemblare i pezzi, vero? – scandì questa con un tono tutt’altro che amichevole.
– No. Assolutamente! – confermò lei forse un po’ troppo precipitosamente.
Sofia le piantò addosso due occhi del tipo non-mi-freghi-carina, squadrandola sorniona.
– Allora, perché non ci mostri i tuoi capolavori? – domandò poi guardandosi intorno con curiosità.
Che bastarda! Pensa! Pensa! Le ripeteva una vocina nella sua testa.
– Veramente sono di là – iniziò incespicando nelle parole. Era diventata color peperone.
– Non ora. Ce li mostrerai dopo – ordinò Max, avanzando.
Katia sentì affiorare sulle labbra una preghiera di ringraziamento.
Finalmente un colpo di fortuna.
Un mormorio alle sue spalle la indusse a voltarsi. Senza che lei se ne fosse accorta la stanza si era improvvisamente popolata. In un angolo, silenzioso e rabbuiato, c’era Tom. Poco distante vide il poeta Michael, il ”chiodato” Jak (solo sulla faccia aveva oltre cinque orecchini, più di quanti ne avesse lei in tutto il corpo) e, in fondo in fondo, la piccola Ariel. Più indietro, quasi ancora sulla soglia, c’era la sua amica Ylaria con mano una busta enorme. Max si portò al centro di un immaginario cerchio umano e, come un vero capitano d’armi, con voce imperiosa spiegò: – Vi ho riunito qui per darvi gli ultimi dettagli sulla gara. Di-sponetevi in squadre!
Katia si avvicinò tra Tom che, stranamente, guardava da un’altra parte, e Michael che non faceva nulla per far finta di ignorarla.
– Domani sera ci sarà la prima prova! – strillò Sofia.
Ariel Jessica e Jak rimasero imperturbabili.
– Ricordatevi che la vittoria delle squadre è fondamentale per la propria vittoria personale – continuò Max.
Parlavano in tandem. Come se avessero diviso un discorso a metà.
Sofia prese ad avanzare avanti e indietro come un colonnello davanti al suo squadrone.
– Come ben sapete il gioco prevede un vincitore. Il migliore Ranger Love però non sarà effettivamente il migliore fra tutti ma …
– Il più bravo della squadra che ha totalizzato più punti – concluse Max imitandola.
Katia si sforzava di non ridere serrando le labbra. Fissò il pavimento per non esplodere. Tutta quella messa in scena era ridicola; le sarebbe quasi venuto spontaneo di saltare sull’attenti urlando…
– SIGNORSI’ SIGNORE!!!!
Tutti si voltarono. Sette paia di piedi si mossero nella stessa direzione.
Serrò i pugni convulsamente.
Non poteva averlo fatto. Non poteva averlo detto ad alta voce!
– Jessika! Questo non è un gioco! Mostra un minimo di rispetto! – grugnì Sofia.
Alzò la testa e fissò quegli occhi sbarazzini sentendosi improvvisamente più sollevata. Non era sola: c’era Ylaria lì con lei.
– Mi scusi signora. Mi sono lasciata trasportare. Non ricapiterà – scandì l’amica, facendo un passo avanti nella fedele imitazione di un soldato.
Sofia si fermò, apparentemente indecisa se ritenere l’atto lusinghiero o meno, poi, con vera classe, continuò come se nulla fosse. – Domani probabilmente sarà con noi un arbitro esterno. Il suo nome è Maggy Madison.
Un silenzio carico di timore riverenziale calò nella stanza. Tutti sembravano intimiditi.
– Come già sapete è una delle finanziatrici di questo progetto quindi è essenziale attenersi alle regole. Dovete dimostrare il massimo impegno – sillabò Max serissimo.
– E’ fondamentale che ci sia collaborazione – sottolineò Sofia guardando intensamente Ariel. O forse stava fissando Jessika. Sì, questo era decisamente più probabile.
– D’altra parte ricordate: se la vostra squadra non vince, non vincete neppure voi!
– E ora guardate che vi aspetta! – esclamò Max con orgoglio.
Con orrore crescente Katia vide i lenzuoli volare morbidamente in aria.
Un “ohhh” percorse la sala. Ma neppure lo stupore nel vedere due grandi bighe dorate in un salone riuscì a distoglierla dall’imminente catastrofe.
– Cosa sono questi cosi? – domandò stridula Sofia sollevando, con evidente disgusto, quelle che, un po’ tardi, Katia aveva capito dovevano essere delle tuniche romane.
– Sei stata tu? E questo sarebbe il tuo capolavoro? – esclamò con voce sferzante, guardandola malignamente da due occhi stretti a fessura.
Tutti la stavano osservando. E giudicando. Arrossì violentemente.
– Veramente no – annunciò Ylaria, avanzando rapida verso la dittatrice.
– Che vuoi dire Jessika? – sbottò questa, incredula, piantandole addosso due raggi accusatori. Sofia sembrava arrabbiata come un bambino a cui hanno appena rivelato che babbo natale non esiste.
– Quelli sono i miei. Karen si era offerta di farmi vedere i modelli. Questi sono i suoi – aggiunse togliendo dalla busta quattro magnifiche toghe orlate doro.
– Bellissime!! – esclamò Max, afferrandole.
All’improvviso tutti si congratularono con lei. Pacche amichevoli piovvero dovunque.
Lei, anche se stretta nella folla di abbracci, continuò a guardare Ylaria con occhi lucidi cercando di trasmetterle telepaticamente tutta la sua gratitudine e l’amica, forse capendo, annuì.
 

Rossy79

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le mie recensioni

Da quando ho iniziato quest'avventura sono passati quasi 2 mesi....60 giorni fatti di messaggi, chiamate,attese....interminabili attese, ma, alla fine queste sono state le risposte delle pime lettrici!

N1)
BLOG : INNAMORATA DEI LIBRI
“Pagina dopo pagina, attraverso alcune rivelazioni dei personaggi, ho cercato di mettere insieme i pezzi, immedesimandomi in Katia, l'unica completamente all'oscuro di tutta la vicenda. Ma finché non sono arrivata all'ultima pagina non sono riuscita a ricostruire il puzzle, anche perché ci sono stati dei colpi di scena inaspettati e molto apprezzati che mi hanno invogliato a continuare la lettura in preda alla curiosità più assurda”

N2) BLOG READING AT TIFFANY'S
La grafica amatoriale di questo libro purtroppo non rende assolutamente giustizia ad un bel romanzo, piuttosto ben strutturato e molto diverso dai classici chick lit a cui siamo abituati, ben scritto e con una trama non scontata. Anche il riassunto della sinossi non rende merito ad una storia ben più complessa, tanto che la definizione chick lit è riduttiva per un intreccio degno di nota e con delle trovate veramente originali, fra star in lotta tra loro, un matrimonio da favola, un gioco di ruolo particolare, segreti e molti sentimenti non ci sarà proprio il tempo di annoiarsi...

N3) BLOG IL SOGNO DI UNA LETTRICE
“la storia ti cattura cosi tanto che non riesci a staccarti dalle pagine, viene la voglia di continuare per sapere quello che succederà dopo, e il perché sta succedendo.”

N4) BLOG LIBRI DI CRISTALLO

La scrittura di Rossella Leone mi è sembrata molto vicina a quella di Sophie Kinsella (che personalmente adoro) e la sua capacità nell'intrecciare i fili dei diversi personaggi dalla prima all'ultima pagina, mi ha lasciata con un pizzico di stupore.
Non mi è sembrato di leggere il libro di una scrittrice emergente ma, al contrario, il volume scritto da un'autrice sicura di sé e del suo talento.

N5) BLOG LEPASSIONIDISARA

Partiamo per ordine. E' una storia davvero particolare, moderna, la scrittura scorrevole, un linguaggio fresco, piacevole.
La narrazione procede in modo naturale, senza forzature, senza cali di ritmo.
Scrive davvero bene Rossella, ti cattura dentro la storia, te la fa vivere come se fossi dentro un film.
E un film mi sembrava di vedere mentre leggevo, avevo davanti le immagini, una di quelle belle commedie americane che tanto amo, ma con dentro un pò di mistero, di avventura, di sentimenti.
Secondo me Love Game è ben più di un chick lit.
Potrei dirvi qualcosa di più sulla trama ma non lo farò stavolta, è un romanzo molto particolare, con continui colpi di scena e potrebbe scapparmi quel qualcosa di troppo che potrebbe rovinarvi le tante sorprese.
Vi dirò soltanto che Love Game se lo si inizia, poi non si riesce a smettere di leggere finchè non si arriva all'ultima pagina, quando credi di aver capito qualcosa poi si scopre che era esattamente il contrario. Ci sono anche i cattivi della situazione naturalmente, come in ogni chick lit che si rispetti.
Personaggi così squallidi e privi di ogni morale che mi sono ritrovata a desiderare ardentemente che facessero una fine impietosa.
Avranno avuto ciò che meritano? Non posso rivelarvelo naturalmente.
Un'altra cosa che ho apprezzato molto è stato il modo in cui l'autrice ha saputo alla fine districare i vari intrecci e le situazioni a volte complesse dei vari personaggi, non ha lasciato nulla di irrisolto, ha spiegato ogni piccolo particolare rimettendo a posto ogni pezzo del puzzle.
Pensate che dopo averlo finito mi è venuta voglia di rileggerlo per poter valutare certi passaggi con il senno del poi.
Se avete voglia di una lettura moderna, fresca, divertente, coinvolgente, appassionante, allora questo libro non dovete proprio perdervelo.
 
Ultima modifica:

Rossy79

New member
ah...ma ho dimenticato di dirvi la cosa più importante!!
solo per una settimana,a partire da domani, il mio ebook sarà su Amazon ad 1 EURO!! ^__^

Non ci sono prorio più scuse per non dargli una lettura!^__^
 
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