Mauriac, Francois - La Farisea

bouvard

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Questo libro mi è piaciuto solo in parte. Bella, ben riuscita la prima parte in cui Mauriac descrive in modo magistrale ed implacabile Brigida Pian (la farisea del titolo), una donna molto religiosa, che conosce a memoria ogni versetto delle Sacre Scritture, e che si erige a giudice attento del proprio e dell'altrui comportamento, mostrandosi altrettanto inflessibile nel condannarne ogni più piccola mancanza. Ma a ben guardare sotto questa fervente religiosità, ci si accorge che Brigida Pian è una di quelle persone bigotte, che proprio nella loro intransigenza, nella loro mancanza di pietà cristiana e di senso del perdono, hanno smarrito il vero senso della Fede. Per dirla con le parole che Mauriac mette in bocca all'abate Calou, Brigida Pian è "una di quelle persone che scelgono Dio, ma che Dio, da parte sua, può darsi che non sceglie affatto". In effetti Dio probabilmente non vorrebbe come "avvocato" della propria causa, una donna che con i suoi giudizi inflessibili con le sue condanne rovina la vita a chi gli sta vicino.
Ho trovato meno riuscita, invece, la descrizione dell'abate Calou, che dovrebbe rappresentare l'aspetto buono e positivo della religione, il vero aspetto della Fede. Invece io ho trovato questo religioso troppo passivo, troppo legato alle sue messe, ai suoi breviari, ai suoi silenzi, come se questo potesse bastare ad aiutare le persone negli affanni delle loro vite.
Tanto la prima parte del libro è accurata, precisa, tanto le ultime venti pagine sono approssimative, a volte si ha quasi l'impressione che Mauriac voglia arrivare in fretta alla parola fine. Molti fatti vengono, infatti, solo accennati o lasciati intendere, per altri si rimanda ad un futuro, ipotetico, libro che la voce narrante dovrebbe scrivere, molti rapporti, inoltre, vengono lasciati in sospeso o non risolti, nonostante nel libro abbiano avuto un peso non irrilevante.
Perciò direi bella la prima parte del libro che perde, forse un po' troppo, nelle ultime pagine, restando comunque una lettura valida ed interessante.
 
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ayuthaya

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Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».


È sicuramente superfluo riportare questo brano del Vangelo di Luca, che costituisce la cornice entro cui va letto questo romanzo di Mauriac, ma è un brano che mi sta particolarmente a cuore, oltre ad essere più che mai consono al tempo quaresimale che stiamo vivendo. Insomma, dal punto di vista “religioso” non potevo scegliere un libro in questo momento più appropriato, tanto più che come tutti ormai sanno ho un debole per i temi biblici.
Brigida Pian, “la farisea” del titolo, credo che sia uno dei personaggi più odiosi che abbia mai incontrato in un libro: non è raro in letteratura simpatizzare per dei “cattivi”, siano essi veri o presunti, ma molto più difficile, per non dire impossibile, è entrare in empatia con una donna la cui più grande preoccupazione è quella di “abbagliare il padrone pagando il suo debito fino all’ultimo obolo”, una “contabile minuziosa” dei propri (presunti) meriti. Insomma, niente indispettisce di più quanto l’ostentazione di una superiorità che ci si attribuisce da sé, a maggior ragione poi se questa si rivela del tutto immotivata. La presunzione dei propri meriti, nell’ottica cristiana, è di per sé un sintomo di “piccolezza” agli occhi di Dio, che ha tutt’altri criteri di misura rispetto ai nostri. Ma Brigida Pian è talmente piena di sé, talmente convinta di essere nel giusto, di rappresentare il “braccio destro” di Dio, da non mettersi mai in discussione. Persino la sofferenza che suscita nel prossimo come diretta conseguenza delle proprie azioni, trova giustificazione e godimento a suoi occhi nella convinzione che essa sia manifestazione della volontà divina, e quindi una conferma del suo personale trionfo. “Sono incline a pensare che considerasse un bene (che i coniugi Puybaraud) rimanessero nello stato miserabile che aveva predetto loro e che fossero chiaramente puniti per essersi sottratti alle sue direttive”.

Per quanto riguarda l’abate Calou, è un personaggio che, a differenza di Bouvard, non mi ha deluso, anzi. Mi avrebbe forse deluso Mauriac se avesse tratteggiato questa figura come il personaggio “positivo” per eccellenza, contrapposto alla totalmente “negativa” Brigida. E invece il prete stesso sarà costretto a mettere in discussione la propria fede e il proprio operato e, se ci aspettavamo la “conversione” di Brigida Pian (alla quale comunque credo poco), quella dell’abate Calou è più difficile da accettare, perché da lui ci saremmo aspettati che riuscisse fin dall’inizio, che dimostrasse a tutti cosa può la vera fede, insomma, che la “facesse vedere” a Brigida Pian, al conte di Mirbel, alla contessa e compagnia cantando... E forse era proprio questo che pensava lui stesso, convinto non della sua virtù ma, probabilmente, dell’efficacia della sua dedizione. C’è un punto (che purtroppo sfogliando adesso le pagine non riesco a trovare) in cui l’abate si scaglia contro la tesi calvinista della “giustificazione per la fede senza le opere”; si potrebbe quasi dire che lui, come Brigida, si sentiva “infallibile”, solo che Brigida agiva per puro egoismo e autocompiacimento, l’abate Calou animato da un sincero e appassionato amore per il prossimo. Entrambi per certi versi dovranno ricredersi.
Ho trovato splendide alcune parole dell’abate a seguito della sua “sconfitta” (che poi una vera sconfitta non è); rivolto a Brigida, egli scrive: “il mio errore si ricongiunge col suo: l’uno e l’altro, lei con la ragione io col cuore, abbiamo creduto ci fosse dato di intervenire nel destino degli altri. (...) Poichè da soli non facciamo niente, non possiamo far altro che camminare davanti alla Grazia, come il cane precede il cacciatore invisibile, con maggiore o minore efficacia a seconda che noi siamo più o meno attenti, docili e arrendevoli alla volontà del Maestro,e indifferenti alla nostra.” E più avanti nella stessa lettera “Ah, non è più possibile sbagliare: io sto là, davanti a Dio, più sprovvisto e spogliato di meriti, più disarmato di ogni altro al mondo.” Parole, queste, che fanno pendent con quanto provato dalla farisea all’indomani della “sfuriata” dai Puybaraud: “La soddisfazione d’essere Brigida Pian, di cui ella traboccava, si ritirava improvvisamente da lei ed ella tremava, nuda e miserabile, su una spiaggia arida e sotto un cielo di bronzo.
Insomma, sembra impossibile ma a partire dagli antipodi dell’ipocrisia e dell’amore, due anime rimaste “nude” davanti a se stesse si ritrovano accomunate da questa stessa nudità, che è quella che consente a Dio di riversare la Sua grazia. Non voglio certo concludere una recensione con una lezione di catechesi, ma scrivo questo perché credo sia il messaggio ultimo di Mauriac, che sì si scaglia contro il perbenismo e il fariseismo di certa gente, ma anche lancia un generale appello all’umiltà, che, fede o meno, quaresima o meno, è sempre una bella lezione di vita.
Consigliato.
 
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