Muller, Herta - Oggi avrei preferito non incontrarmi

francesca

Well-known member
Siamo nella Romania di Ceausescu, in cui il sospetto, la delazione, la mancanza di una minima parvenza di libertà personale sono fondamento della società.
Il tempo della narrazione è lo spazio di una corsa in tram della protagonista, che mai avrà un nome in tutto il racconto, dalla sua casa all’edificio in cui deve presentarsi per essere sottoposta ad un interrogatorio.
In questo tempo dilatato della corsa in tram, la protagonista racconta tutta la sua vita, con continui feedback, che spesso sono difficili da distinguere dal tempo presente e rendono la lettura faticosa. Ma è una fatica che ha un suo perché: è specchio della fatica quotidiana di vivere della protagonista nel tentativo di mantenere intatta la sua umanità e la sua parte migliore in una società che stritola ogni aspirazione personale alla felicità.
La vita della protagonista si disvela piano piano: nel corso della lettura veniamo a conoscenza delle sue vicissutidine, del perché di queste convocazioni.
Lo stile a volte è delirante, impossibile distinguere bene la realtà dal sogno, a volte difficile anche distinguere ciò che si riferisce al tempo presente da ciò che si riferisce al passato e questa caratteristica tende ad acuirsi nelle pagine finali del libro, più ci si avvicina al momento terribile dell’interrogatorio.
Lo sguardo della protagonista come una lente di ingrandimento si posa ora su una cosa, ora su un’altra, mostrando dettagli a volte nitidissimi, come quando descrive i vari personaggi che si succedono sul tram, a volte deformando completamente la realtà, quando i feedback si fanno più dolorosi e penosi.
Un libro mirabile, che già con le sole scelte stilistiche rende perfettamente il clima di oppressione di una società che vive in una dittatura.
Un distillato di sofferenza che goccia a goccia cade nel cuore del lettore, lo invischia sempre più nella mancanza di speranza della protagonista.
Un libro che quando arriva alla fine, che è una non fine perché nessuna domanda, nessun evento viene risolto veramente, lascia spossati come se gli interrogatori li avessimo vissuti tutti anche noi e fossimo lasciati soli a varcare quella soglia per subire l’ennesimo.

Francesca
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Mi piace il flusso di coscienza, lo sbalzo improvviso di tempo e di spazio, il fatto che il lettore accompagni la protagonista lungo il viaggio in tram. Mi piace questo aspetto quotidiano, anche se qui l'azione di prendere il tram non ha nulla di quella sensazione confortante legata alla quotidianità ma anzi assume una connotazione claustrofobica, ansiogena, perché il lettore sa già che la donna sta andando ad un interrogatorio. Il tram sembra essere il simbolo di uno spazio pubblico e insieme di un ambiente politico (la protagonista si sorprende che la dittatura non abbia ancora approvato una legge che vieta di guardare il cielo per contemplarne la bellezza). Durante il suo viaggio la donna descrive i vari personaggi che salgono e scendono dal tram e ricorda le persone significative della sua vita, il suo precedente marito, il marito attuale, e la sua cara amica morta misteriosamente, il cui corpo viene associato a papaveri sanguinanti. L'immaginazione della protagonista per cui anche gli oggetti sembrano diventare personaggi della storia attraverso dei gesti ripetuti, rende la donna interiormente libera e forse il rito, uno tra tutti, di mangiare una noce per colazione, rende le domande a cui rispondere più facili, rende l'ispettore più buono lasciandola tornare a casa. La fantasia diventa un rifugio indispensabile contro la grigia realtà. Anche le forti risate diventano espressione di una tensione.
 
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