Momò è un ragazzino cresciuto come arabo e musulmano da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa, nella banlieu di Belleville a Parigi. Non si sa con certezza quanti anni abbia, né chi siano i suoi genitori. Privato delle sue radici, Momò diventa tutt'uno con il quartiere in cui vive, si identifica con la pluralità di culture che lo contraddistingue riuscendo a suo modo ad assumere una sua identità. Ed è inevitabile che, negli anni della crescita, Momò si affezioni in modo viscerale a colei che l'ha cresciuto, la bislacca e folcroristica Madame Rosa, la cui salute però è ormai compromessa. Anche quando scoprirà di più sulle sue origini Momò resterà legato alla donna, al quartiere, ai suoi abitanti, nonostante si crucci pensando al futuro e sappia che la sua unica opportunità di salvezza sarebbe farsi adottare. La vita davanti a sé è, come il suo autore, un libro singolare che rappresenta il cambiamento di una città, di un Paese, di una cultura scossa eppure aperta alla convivenza di mille diversità. Di cosa parla questo libro? Me lo sono chiesto più volte durante la lettura: parla delle periferie e dell'arrabattarsi continuamente per vivere; parla della convivenza fra religioni; parla di una realtà come ce ne sono tante, squallida eppure capace di unione e solidarietà; parla della necessità di affetto e buoni sentimenti, del bisogno di legami e punti di riferimento che non ha età, né sesso, né religione né condizione sociale. Non credo di essere entrata completamente in sintonia con Gary, però questo libro mi è piaciuto, lo consiglio e ne apprezzo i risvolti sociali, culturali e psicologici.