Plath, Sylvia - La campana di vetro

Jessamine

Well-known member
In un albergo di New York per sole donne, Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto da una rivista di moda, incomincia a sentirsi "come un cavallo da corsa in un mondo senza piste". Intorno a lei, sopra di lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta. Un mondo alienato, una vera e propria campana di vetro che schiaccia la protagonista sotto il peso della sua protezione, togliendole a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock.

Mi è difficile provare a parlare di questo romanzo, perché mi ha toccato talmente da vicino, che rischierei di prescindere da un commento personale, ritrovandomi a parlare troppo di me. E al tempo stesso, vorrei evitare un commento sterile, che resti in superficie e si limiti a dire che ho adorato praticamente ogni riga di questo libro.
Inizierò allora col dire che avevo già letto un pochino la Plath il versi, e già mi era piaciuta, e che ero quindi molto curiosa di leggerla il prosa. E, credo, sapere quanto ci sia di autobiografico in questo romanzo è fondamentale: anche la Sylvia diciannovenne era una brillante e promettente studentessa di un prestigioso college, anche Sylvia vinse un concorso che le rese possibile fare esperienza in una rivista femminile importante, anche Sylvia provò il tormento della follia, e infine, si tolse la vita. Già solo cominciare questo romanzo tenendo a mente queste premesse stringe la gola.
La campana di vetro, con le sue limitazioni e il suo soffocamento all'inizio quasi non si avverte, è come una presenza lontana, qualcosa di cui forse si può avvertire l'eco, ma che non grava in modo particolarmente minaccioso sul romanzo. Solo nella seconda parte, con ritorno a casa di Esther, quando le sue insicurezze e indecisioni riguardo al suo futuro esplodono, la campana di vetro scende ad imprigionarla, e a renderle impossibile anche solo provare a vivere uno dei tantissimi brilanti futuri che la ragazza sente potrebbe avere. "[..] perché ovunque sedessi o sul ponte di una nave oppure a un caffè all'aperto di Parigi o Bankok, sarei sempre rimasta là seduta sotto la medesima campana di vetro soffocando nella mia stessa aria viziata".
La pazzia sembra erompere nel momento in cui Esther si rende conto di non riuscire a scrivere, quando la sua certezza si incrina, e da qui un circolo vizioso, l'insonnia, il non riuscire a mangiare, non riuscire nemmeno più a leggere, fino ai tentativi di suicidio. C'è quasi una sottile ironia nel modo in cui vengono raccontati i numerosi tentativi di suicidio, compiuti con calma metodica e quasi con un senso di frustrazione.
C'è un senso di angoscia che prende il sopravvento piano, sale lentamente, e il lettore se ne accorge solamente quando ormai ne è completamente sommerso, senza più la possibilità di liberarsense. Ho letto questo romanzo con avidità, quasi terrorizzata, e mi sono lasciata riempire completamente. E' stata un'esperienza forte, devo dire che ne sono uscita piuttosto scossa, perché Sylvia ha toccato ben più di un nervo scoperto. E nonostante abbia usato un tocco lieve, le conseguenze continuo ad avvertirle.
Senza dubbio è un romanzo che consiglierei a chiunque, nonostante possa fare male.
E senza dubbio è un romanzo che rileggerò.
 

velvet

Well-known member
Un libro molto forte, intenso, che ti lega alle pagine trascinandoti in un vortice.
Esther è una ragazza che tenta di resistere agli ingranaggi meccanici imposti dalla società, e tentando di uscire dai binari deraglia non riesce a trovare una strada, una via che faccia per lei. Esther è protagonista assoluta del romanzo ma come lei sono tante le donne presenti nel libro che vengono schiacciate, oppresse dalla campana di vetro.
La storia è ambientata nell'America degli anni 50 ma potrebbe essere anche oggi, e per questo tocca nel profondo, e anche perchè Esther non ha niente di diverso da noi, quello che pensa e prova tutti noi l'abbiamo pensato almeno una volta, tutti noi abbiamo avuto la nostra campana a soffocarci. E Sylvia ci mostra che il passo è breve.
Ci sarebbe tanto da dire ma mi limito a invitare tutti a leggerlo, resterà impresso dentro di voi. E per questo non posso che dare voto massimo.
 

zanblue

Active member
Letto molti anni fa, spero di rileggerlo al più presto.
Un libro intenso doloroso, dove le tracce, le sofferenze e riferimenti della follia di Esther, si intrecciano e si avvinghiano allo stesso " male di vivere " di cui soffriva Sylvia Plath.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Libro da leggere impegnativo, ti cala nella psiche della protagonista, io mi ci sono ritrovata parecchio.
E' un tendere alla perfezione continuo, il conflitto tra un ideale di realtà e l'accettazione della realtà.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Il romanzo è nettamente diviso in due parti, la prima quella di formazione di una giovane promessa, piena di belle speranze che però si sente sempre inadeguata di fronte a se stessa e agli avvenimenti che le accadono, le amicizie, il lavoro, la relazione con gli uomini, il desiderio di emanciparsi e di perdere la verginità. La seconda parte, continuazione e risultato della prima, è l'alienazione di tutto quello che lei avrebbe desiderato e la consapevolezza che il suo stare al mondo era troppo difficile e diverso da quello che in realtà lei era, una ragazza che desiderava realizzarsi in senso moderno, libero, senza condizionamenti, e non come la società americana e le pressioni che aveva attorno a sé volevano che lei facesse. E in questo cuneo Esther/Sylvia si è persa. Questo romanzo è di una lucidità sorprendente, si legge l'animo di una donna da dentro, senza finzioni. Per riuscire ad essere se stessa Esther ha fatto una scelta, l'unica che in quel momento le sembrava possibile. Lo considero un capolavoro dell'animo umano.
 

Valuzza Baguette

New member
Anche io ho notato una netta differenza tra la prima parte del romanzo e la seconda,nella prima parte traspare molta ironia,la capacità di Esther di fingersi un altra persona e di vivere alla giornata,mentre nella seconda parte la scrittura diventa decisamente piu cupa,Esther è palesemente insodddisfatta,smarrita e infelice.
Ho trovato le parti in cui si parla della clinica psichiatrica e in particolare dell'elettroshock molto angoscianti.
Un romanzo particolare,sia nello stile in cui è scritto sia per il fatto che in parte si tratta proprio della storia dell'autrice,il che ci dona una chiave di lettura totalmente differente.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Questo libro mi incuriosiva da tempo, ne avevo sentito parlare bene, ma non sapevo cosa aspettarmi. Beh, si tratta di un libro assolutamente sui generis, bellissimo e straziante, soprattutto se si pensa che le vicende narrate sono autobiografiche e che l’autrice, Sylvia Plath, è morta suicida un mese dopo la pubblicazione.
La protagonista, Esther, racconta in prima persona la sua storia di studentessa brillante, ma non a proprio agio con se stessa né con la società che la circonda. Il libro si apre con la descrizione dell’ambientazione spazio-temporale: siamo a New York durante l’estate in cui i Rosenberg vennero condannati alla sedia elettrica. Si tratta di un fatto di cronaca avvenuto nel 1953. Esther si trova spaesata in una città sfavillante e piena di sollecitazioni, nella quale trascorrerà un mese poiché ha vinto un concorso per aspiranti giornaliste. Sin dalle prime righe si viene travolti, quasi sopraffatti da una valanga di stimoli sensoriali, di descrizioni, di impressioni della protagonista che proseguiranno per un terzo del romanzo. Dopo l’esperienza a New York Esther torna a Boston, la sua città natale e, nel suo ambiente d’origine. Ed è qui che avviene il primo, brusco e sostanziale cambiamento narrativo: Esther è sempre molto autoironica (lo sarà fino alla fine del romanzo), ma diventa insofferente, emergono delle forti incongruenze nel racconto, emerge con forza tutto il suo disagio che sfocia in un gesto estremo che la porterà al ricovero in una clinica psichiatrica.
Come avrete intuito, "La campana di vetro" è un libro particolarissimo, che racchiude in sé approcci narrativi assai diversi, tutti volti a raccontarci le contraddizioni della società americana e le diverse sfaccettature caratteriali e sociali di Ester. La troviamo disillusa e smaliziata nei fasti di New York, instabile ed insicura quando torna a casa a Boston, sorprendentemente lucida, ma anche spietata e fragile in clinica... una costante, però, è la sua autoironia che folgora già dalla prima pagina. Il libro tratta temi importanti come il rifiuto delle convenzioni sociali, l'alienazione, la follia. Per quanto mi riguarda, ho molto apprezzato la scrittura della Plath, sempre ricca di suggestioni, similitudini, metafore spesso usate dalla protagonista per descrivere il proprio stato d’animo. Esther, e l’autrice con lei, è una contraddizione vivente: è lucida tanto da capire ciò che le sta intorno, ma non riesce a trovare le parole per descrivere ciò che ha dentro, ad analizzarlo ed accettarlo, tanto che è costretta a servirsi di immagini esterne.
Questo è un libro che fornisce mille spunti di riflessione ed approfondimento sui temi più vari e che, a dispetto della gravità del tema affrontato, coinvolge e si fa leggere. Lettura assolutamente consigliata, anche se tutt'altro che facile.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Mi ha sempre affascinato scoprire la motivazione per cui Sylvia Plath decide di scrivere questo romanzo con lo pseudonimo di Victoria Lucas, immagino per tutelare i personaggi citati e forse anche per vedere lei stessa dal di fuori, per autoanalizzarsi, essendo appassionata di psicopatologia.
Lo stile narrativo mi piace molto, è asciutto, diretto, ironico verso se stessa e verso gli altri, rivelando un carattere intimamente vivace, intelligente, intuitivo, perspicace, da attenta osservatrice.
Rileggere questo romanzo mi è sembrato come rifare un tuffo spaventoso per la seconda volta, questa volta con meno paura perché sapevo cosa trovavo, l’emozione provata è stata diversa dalla precedente ma comunque intensa, tanto che ad un certo punto pensavo di interrompere la lettura.
Il malessere di Esther lo vedo come un segnale di vuoti irrisolti, carenze affettive, mancanza di empatia da parte di chi la circonda, che, magari senza volerlo, le chiede di essere troppo, le chiede indirettamente di uniformarsi a schemi comportamentali in cui questa ragazza non si riconosce, tanto che il suo corpo comincia a ribellarsi, dopo essersi a lungo piegato alle aspettative altrui.
Il romanzo lascia una speranza finale e, pensando a come sono andate le cose nella realtà, viene voglia di fermare il tempo all’ultima pagina, chiudere il libro ed illudersi che Sylvia sia ancora lì, sulla soglia tra il passato ed un nuovo presente da vivere.
 

Roberto89

MODerato
Membro dello Staff
Una lettura interessante, ma non così profonda come poteva essere. Il libro inizia direi molto bene, il tono è da subito negativo ma si fa leggere anche per questo; a un certo punto però la narrazione rallenta, diventa inspiegabilmente confusa, noiosa. E non credo siano i personaggi a mancare, ma proprio lo stile narrativo che muta e perde vigore. Poi il ritmo cambia di nuovo, ma c'è un netto contrasto tra la protagonista e ciò che viene narrato: da ciò che leggi diresti che Esther si sta riprendendo, che piano piano fa progressi e diviene via via più pronta per ritornare in società; dalla protagonista però ti accorgi che nulla è cambiato, lei è sempre la stessa ragazza sotto la stessa campana, pronta a togliersi la vita al prossimo evento negativo (e il ritorno in società direi che ne porterà parecchi, incluso il giudizio delle persone). Lei crede di essere uscita da sotto la campana solo perché è ciò che gli altri sostengono e vogliono, ma non lo sente davvero, almeno questa è la mia impressione.

In breve, il libro secondo me ha una potenzialità inespressa. Forse per motivi editoriali Sylvia ha cambiato il finale e/o alcuni elementi interni, perché sembrano estranei alla protagonista, appiccicati quasi per forza. O forse sono io che non riesco a leggere nella storia ciò che lei voleva trasmettere. Comunque, il fatto che lei si sia tolta la vita poco tempo dopo la pubblicazione del libro ce lo fa inevitabilmente vedere sotto un'altra luce.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Mi ero fatta un'idea diversa di questo libro, me l'aspettavo più drammatico e cupo, invece, soprattutto fino alla metà, lo stile è anche ironico, tanto che la protagonista ricorda il giovane Holden nel modo di esprimersi. Di certo quello che coinvolge di più durante la lettura è il conoscere la storia personale dell'autrice e fare sempre riferimento a lei. E' preferibile leggerlo in solitaria per le persone come me (e come Esther/Sylvia) che hanno problemi ad affrontare la vita con tutto quello che comporta, altrimenti c'è il rischio di doversi esporre troppo. Comunque mi ha fatto piacere partecipare al GdL e discutere su quello che può essere alla base dell'insofferenza verso tutto ciò che è oltre la nostra intimità e che ci può lacerare dentro se non siamo capaci di uscire da quella campana che ci avvolge e ci fa credere di essere al sicuro al suo interno.

Ecco dove l'abbiamo letto http://www.forumlibri.com/forum/showthread.php?t=22516
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Dal gdl citato da Minerva qui sopra.

Mai come in questo romanzo la letteratura si fa carne. Non si può leggere "La campana di Vetro" senza farsi carico del dolore dell'autrice. Se la Plath, poche settimane dopo la pubblicazione, non si fosse suicidata , questo libro sarebbe profondamente diverso. L'autrice ha dato luce alle sue parole, scolpendole con un atto definitivo e romantico, coraggioso e vile al tempo stesso. E' un romanzo di formazione, per così dire, ma di formazione in senso moderno. Non parla di un'evoluzione, bensì di una drammatica involuzione. Ci sono continue lamentele, addossate agli altri come se gli altri non facessero parte del vissuto della protagonista. Si piange addosso di continuo, dicendo tutto e il contrario tutto. In certe pagine si respira un senso di inferiorità piuttosto antipatico, salvo poi riprendere la lettura con incomprensibili salti di egocentrismo. La Plath, si direbbe oggi, era ambivalente e sociopatica. In fondo, non è altro che la storia di una depressione, nella sua forma più disperata, nel suo atto conclusivo, e chi non ha mai passato momenti simili, faticherà a cogliere il succo di questo romanzo.


Votato 4/5
 

Trillo

Active member
Esther, una brillante studentessa in grado di eccellere nelle più disparate discipline vincendo una borsa di studio dopo l'altra, precipita in una profonda crisi esistenziale: dubbi su se stessa e sul suo futuro iniziano a penetrare nella sua mente durante il periodo di praticantato in una rivista di moda di New York. La mancata ammissione al successivo corso di scrittura fa da spinta alla sua precaria condizione di equilibrio instabile, proiettandola verso una spirale autodistruttiva.

Per quanto nel leggere questo romanzo mi sia sentito partecipe dei sentimenti della protagonista, percependoli a volte anche molto vicini ai miei, nel complesso mi è mancata quella sensazione asfissiante che mi sarei aspettato dalla claustrofobica campana di vetro che comprime la protagonista in se stessa aspirandole via ogni afflato vitale. Una delle ragioni sta nel fatto che le sue sofferenze interiori, pur emergendo, rimangono però drammaticamente insondabili, e l’idea del suicidio, la ricerca messa in atto sui modi per compierlo e il rifuggire dalla vita sociale sembrano quindi essere una logica conseguenza dell’insostenibilità degli effetti fisiologici del suo malessere (il non riuscire a dormire, a mangiare, a scrivere, a leggere, ad interagire) piuttosto che scaturire dall’oppressione stessa delle sue intime tribolazioni. Ma l'enfasi dell'elemento fisico come base delle questioni da trattare rispetto al più profondo disagio interiore non è che un sintomo della mancanza di un adeguato meccanismo immunitario psicologico in grado di combattere i demoni interiori o più semplicemente di riconoscerli per poi provare a chiedere aiuto e ad essere aiutata, e questo è forse uno degli elementi in cui è sottesa la tragicità del romanzo. Esther infatti sprofonda quasi passivamente nelle sabbie mobili della propria condizione interiore limitandosi a riportare rassegnatamente la scollatura tra sé e il mondo circostante senza riuscire mai a scavare in fondo a se stessa per tentare di trovare un punto di cucitura.

Le epifanie del vuoto che irrompono nel suo periodo di praticantato a New York sembrano fungere da traumatico risveglio: improvvisamente Esther si accorge di non essere stata più felice da quando da bambina correva sulla spiaggia insieme al padre, si rende conto quasi per caso di non sapere cosa voler fare nella vita, di essere paralizzata dal fatto che ogni scelta implica l'esclusione delle altre possibilità, realizza di sentirsi incapace e limitata rispetto agli altri, di sentirsi inesistente e distaccata dal mondo. Simbolico è il fatto che la fine del periodo di praticantato coincida con l'evento dei Rosenberg giustiziati a morte e che, nella sua ultima notte a New York, Esther consegni al vento notturno della città tutto il suo guardaroba quasi a spargere le sue ceneri presagendo la sua fine. Come un insetto incappato in una ragnatela finemente intessuta in anni di scrupoloso lavoro, al suo successivo rientro a casa e alla notizia della mancata ammissione al corso di scrittura, Esther si ritrova impigliata senza scampo nella fitta rete di giudizi, aspettative e convenzioni sociali, in preda ad un ragno sempre pronto a fagocitarla.

Nell'assistere allo sgretolamento della protagonista, viene da chiedersi quali siano le origini del suo smarrimento, già forte fin dall'inizio del romanzo durante il suo invidiabile periodo di praticantato, e le ragioni della sua inerzia di fronte alla voragine che si apre minacciosa dentro di lei. La struttura del romanzo non aiuta in questo senso ma, al contrario, con la sua forma episodica che elimina ogni possibilità di identificarne attraverso un filo continuo l'inizio e gli sviluppi, contribuisce a creare quella sensazione di frammentazione e disorientamento che lascia spaesati come la protagonista. Ciò che sembra emergere in questa frastagliata narrazione è la spiccata sensibilità e fragilità di una ragazza che, nonostante si voglia mostrare sempre forte e superiore agli eventi, è in realtà provata da un insieme di episodi tristi della propria vita. In primo luogo, dalla perdita del padre, fonte di affetto, felicità, sicurezza, ma anche di solidità economica e di serenità verso il proprio futuro che invece fra le ansie della madre e la prospettiva della fine del college si dissolve nell’angustia di non riuscire a trovare la propria strada nei tempi canonici, e di dover ripiegare verso una posizione professionale o familiare sicura ma che le si sarebbe attagliata come un cappio alla gola. Una serie di altri successivi episodi concorrono a far traballare le sue certezze di adolescente iniziando a serpeggiare nella sua mente: i racconti che tanto appassionatamente scriveva vengono bollati come artefatti, il ragazzo di cui era innamorata le instilla il pensiero di essere nevrotica, un ragazzo con cui tenta di avere una relazione le sentenzia che sarebbe diventata frigida. Tutto ciò va lentamente ad erodere la sua fiducia in se stessa, portandola via via ad attribuire a sé le colpe delle circostanze che non vanno come lei vorrebbe che andassero.

Ma l'arrendevole lasciarsi andare della protagonista sembra anche nascondere una sua naturale e coraggiosa, forse inconscia, volontà di affermazione del proprio essere, nella sua purezza che non scende a compromessi, anche in rottura col proprio passato, a dispetto e a condanna della realtà ipocrita e meschina che la circonda: così, per esempio, non può più accettare di stare con un ragazzo che, pur da sempre nel suo cuore, non era stato trasparente con lei, non può accontentarsi di vedere soltanto il volto infiocchettato di New York che le era stato accuratamente predisposto nel soggiorno di praticantato, non può accettare di ripiegare la mancata ammissione al corso di scrittura con un altro corso che non era stato la sua prima scelta, non può barattare il bisogno di esprimere e far rifulgere liberamente il suo essere eclissandosi nella tranquillità domestica in favore dell'uomo di casa.

"L’ultima cosa che desideravo era la «sicurezza assoluta» ed essere il punto da cui scocca la freccia dell’uomo. Io volevo novità ed esperienze esaltanti, volevo essere io una freccia che vola in tutte le direzioni, come le scintille multicolori dei razzi il 4 luglio."

La campana di vetro è un romanzo intenso, che offre numerosi motivi di riflessione, anche in relazione allo stampo autobiografico che lo caratterizza e all'atto suicida compiuto dall'autrice subito dopo la sua pubblicazione. È un libro in cui la protagonista/autrice si racconta spogliandosi di ogni indumento che possa oscurare il suo essere più autentico, mostrandosi invece così com'è, senza paura di rivelarsi anche nei suoi pensieri più intimi e caustici. Una scrittura del vero che colpisce anche per la frequente ironia e per la ricchezza di immagini profuse per comunicarsi e farci avvicinare al suo sentire. E che, nella sua disorganicità e nel suo rimanere sulla superficie delle sensazioni più che andarne allo scandaglio, porta ad interrogarsi sul malessere di Esther/Sylvia come quando nella realtà veniamo a sapere del suicidio compiuto da una persona che conoscevamo. Alla fine del libro, la sensazione è come quella provata da Esther nel leggere in un giornale la notizia del tentato suicidio di un uomo:

"Il trafiletto dai caratteri sbavati non spiegava perché George Pollucci si trovasse su quel cornicione, né che cosa gli avesse fatto il sergente Kilmartin dopo averlo tirato dentro alla finestra."

Allo stesso modo ho avvertito l'incapacità di Esther/Sylvia di riuscire a spiegare le cause profonde che portano Esther sul cornicione della sua esistenza e cosa la dottoressa Nolan della clinica privata di salute mentale abbia fatto nel toglierla di lì, aspetti che a mio parere amplificano la drammaticità del romanzo: "Continuai a domandarmi che cos’era che stavo seppellendo" ; “Con la dottoressa Nolan non parlavamo mai di ego e inconscio. A essere sincera, non avrei saputo dire di che cosa parlassimo”. Il non sapere è infatti un aspetto ricorrente in tutto il romanzo. E per quanto Esther da quel cornicione sembra essersi allontanata:

"Io ricordavo tutto. Ricordavo i cadaveri, Doreen, la storia dell’albero di fico, il brillante di Marco, il marinaio del Common, l’infermiera strabica del dottor Gordon, i termometri in frantumi, il negro con i suoi due tipi di fagioli, i dieci chili messi su per l’insulina, lo scoglio rotondo tra cielo e mare simile a un teschio grigio. Forse l’oblio, come una neve gentile, avrebbe dovuto attutire e coprire tutto. Ma quelle cose facevano parte di me. Erano il mio paesaggio."

Il paesaggio citato, ancora una volta, è quello esteriore degli eventi, e questo non potrà mai cambiare, a differenza del sentire interiore che però è rimasto inesplorato. È per questo che, nonostante il finale aperto, io credo che la campana di vetro non può che esser destinata a ripiombare su di lei sigillandola ermeticamente nell'acido della sua aria mefitica.
 
Ultima modifica:

Grantenca

Well-known member
Sono rimasto fortemente impressionato da questo libro. Esther è una ragazza alta, di bell’aspetto, ma soprattutto molto intelligente. Primeggia al “college” dove vince borse di studio in serie per completare gli studi anche perché le condizioni economiche della sua famiglia non sono brillanti. Ha perso il padre in giovanissima età, un padre che adorava, una persona brillante che però non ha lasciato granché di beni materiali alla famiglia. La madre è costretta a lavorare (insegna stenografia) e fa di tutto per assicurare alla figlia una adeguata educazione. Termina il college e le “educande” sono direi “lanciate” nella vita reale da “stage” nel mondo della moda, della pubblicità, dell’apparenza. Sono belle ed intelligenti e la maggior parte di loro sono affascinate da questo mondo “dorato”. Non Esther, severissima (troppo) con se stessa.

E’ inizia piano piano, la “discesa”. Una serie di avvenimenti la “destabilizzano”, la fine delle illusioni del suo amore per un fidanzato del paese di nascita che lei idealizzava, il rapporto conflittuale con la madre (esiste molto spesso tra madre e figlia) ma, in questo caso la madre “vede” la deriva della figlia e, in buona fede, cerca di dargli qualche utile consiglio che nella mente, sempre più devastata, di Esther sortisce l’effetto contrario. Non dorme più, i tranquillanti non fanno più effetto . Riesce a non dormire per un mese e questo è molto peggio di qualsiasi inferno sulla terra. Alla fine, inevitabilmente, la clinica psichiatrica. Non vado oltre per non togliere il piacere e la scoperta degli avvenimenti di questa affascinante lettura ad altri.

Faccio però qualche breve considerazione.

Ho conosciuto nella mia vita una persona che, nel periodo adolescenziale e giovanile era “una stella”, invidiato (in senso buono) anche da me. Bello, atletico, primeggiava negli sport e soprattutto negli studi, era sempre il primo della classe. Poi l’impatto con la vita “reale”, per lui devastante. Dicono che sia stato un (lieve) incidente stradale a devastargli la mente. Certo, l’incidente, senza alcun effetto sulle persone coinvolte, c’è stato, ma evidentemente c’era molto di più. Il mondo reale visto come una montagna insormontabile impossibile da scalare. Questa persona vie ora ai margini della vita, mi sembra impossibile, avendolo conosciuto prima.

Mi rendo conto che per trascorrere bene una vita intera serve un’intelligenza “media”, meglio se leggermente al di sotto della media. E’ indispensabile frequentare i posti “giusti” che ti possono assicurare un lavoro decentemente retribuito ma non troppo impegnativo, che ti lasci il tempo di dedicarti ad una vita sociale frequentando persone che “contano” fatta di feste, vacanze, dove la neve è migliore…, dove l’acqua è più limpida….,l’ultima barzelletta, il “tormentone del momento” le scarpe sempre “di moda”. Il sesso poi, che si deve prendere ogni volta che si può sempre però ad esclusivo proprio beneficio. Queste persone sono a proprio agio nella vita di tutti i giorni come un pesce nell’oceano, e, chissà perché, si trovano sempre dalla parte dei vincitori. Sono convinto che, appena appoggiano la testa sul cuscino, immediatamente si addormentano per il giusto sonno ristoratore. Queste si che le ”invidio” (non in senso buono), forse perché il sonno mi ha sempre creato qualche problema.

Per le persone intelligenti, peggio se “molto” intelligenti, ma con un animo troppo sensibile e , ancora peggio, fragile, sono convinto che la vita sia un percorso ad ostacoli, spesso durissimi da superare.
 
Alto