Jessamine
Well-known member
In un albergo di New York per sole donne, Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto da una rivista di moda, incomincia a sentirsi "come un cavallo da corsa in un mondo senza piste". Intorno a lei, sopra di lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta. Un mondo alienato, una vera e propria campana di vetro che schiaccia la protagonista sotto il peso della sua protezione, togliendole a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock.
Mi è difficile provare a parlare di questo romanzo, perché mi ha toccato talmente da vicino, che rischierei di prescindere da un commento personale, ritrovandomi a parlare troppo di me. E al tempo stesso, vorrei evitare un commento sterile, che resti in superficie e si limiti a dire che ho adorato praticamente ogni riga di questo libro.
Inizierò allora col dire che avevo già letto un pochino la Plath il versi, e già mi era piaciuta, e che ero quindi molto curiosa di leggerla il prosa. E, credo, sapere quanto ci sia di autobiografico in questo romanzo è fondamentale: anche la Sylvia diciannovenne era una brillante e promettente studentessa di un prestigioso college, anche Sylvia vinse un concorso che le rese possibile fare esperienza in una rivista femminile importante, anche Sylvia provò il tormento della follia, e infine, si tolse la vita. Già solo cominciare questo romanzo tenendo a mente queste premesse stringe la gola.
La campana di vetro, con le sue limitazioni e il suo soffocamento all'inizio quasi non si avverte, è come una presenza lontana, qualcosa di cui forse si può avvertire l'eco, ma che non grava in modo particolarmente minaccioso sul romanzo. Solo nella seconda parte, con ritorno a casa di Esther, quando le sue insicurezze e indecisioni riguardo al suo futuro esplodono, la campana di vetro scende ad imprigionarla, e a renderle impossibile anche solo provare a vivere uno dei tantissimi brilanti futuri che la ragazza sente potrebbe avere. "[..] perché ovunque sedessi o sul ponte di una nave oppure a un caffè all'aperto di Parigi o Bankok, sarei sempre rimasta là seduta sotto la medesima campana di vetro soffocando nella mia stessa aria viziata".
La pazzia sembra erompere nel momento in cui Esther si rende conto di non riuscire a scrivere, quando la sua certezza si incrina, e da qui un circolo vizioso, l'insonnia, il non riuscire a mangiare, non riuscire nemmeno più a leggere, fino ai tentativi di suicidio. C'è quasi una sottile ironia nel modo in cui vengono raccontati i numerosi tentativi di suicidio, compiuti con calma metodica e quasi con un senso di frustrazione.
C'è un senso di angoscia che prende il sopravvento piano, sale lentamente, e il lettore se ne accorge solamente quando ormai ne è completamente sommerso, senza più la possibilità di liberarsense. Ho letto questo romanzo con avidità, quasi terrorizzata, e mi sono lasciata riempire completamente. E' stata un'esperienza forte, devo dire che ne sono uscita piuttosto scossa, perché Sylvia ha toccato ben più di un nervo scoperto. E nonostante abbia usato un tocco lieve, le conseguenze continuo ad avvertirle.
Senza dubbio è un romanzo che consiglierei a chiunque, nonostante possa fare male.
E senza dubbio è un romanzo che rileggerò.
Mi è difficile provare a parlare di questo romanzo, perché mi ha toccato talmente da vicino, che rischierei di prescindere da un commento personale, ritrovandomi a parlare troppo di me. E al tempo stesso, vorrei evitare un commento sterile, che resti in superficie e si limiti a dire che ho adorato praticamente ogni riga di questo libro.
Inizierò allora col dire che avevo già letto un pochino la Plath il versi, e già mi era piaciuta, e che ero quindi molto curiosa di leggerla il prosa. E, credo, sapere quanto ci sia di autobiografico in questo romanzo è fondamentale: anche la Sylvia diciannovenne era una brillante e promettente studentessa di un prestigioso college, anche Sylvia vinse un concorso che le rese possibile fare esperienza in una rivista femminile importante, anche Sylvia provò il tormento della follia, e infine, si tolse la vita. Già solo cominciare questo romanzo tenendo a mente queste premesse stringe la gola.
La campana di vetro, con le sue limitazioni e il suo soffocamento all'inizio quasi non si avverte, è come una presenza lontana, qualcosa di cui forse si può avvertire l'eco, ma che non grava in modo particolarmente minaccioso sul romanzo. Solo nella seconda parte, con ritorno a casa di Esther, quando le sue insicurezze e indecisioni riguardo al suo futuro esplodono, la campana di vetro scende ad imprigionarla, e a renderle impossibile anche solo provare a vivere uno dei tantissimi brilanti futuri che la ragazza sente potrebbe avere. "[..] perché ovunque sedessi o sul ponte di una nave oppure a un caffè all'aperto di Parigi o Bankok, sarei sempre rimasta là seduta sotto la medesima campana di vetro soffocando nella mia stessa aria viziata".
La pazzia sembra erompere nel momento in cui Esther si rende conto di non riuscire a scrivere, quando la sua certezza si incrina, e da qui un circolo vizioso, l'insonnia, il non riuscire a mangiare, non riuscire nemmeno più a leggere, fino ai tentativi di suicidio. C'è quasi una sottile ironia nel modo in cui vengono raccontati i numerosi tentativi di suicidio, compiuti con calma metodica e quasi con un senso di frustrazione.
C'è un senso di angoscia che prende il sopravvento piano, sale lentamente, e il lettore se ne accorge solamente quando ormai ne è completamente sommerso, senza più la possibilità di liberarsense. Ho letto questo romanzo con avidità, quasi terrorizzata, e mi sono lasciata riempire completamente. E' stata un'esperienza forte, devo dire che ne sono uscita piuttosto scossa, perché Sylvia ha toccato ben più di un nervo scoperto. E nonostante abbia usato un tocco lieve, le conseguenze continuo ad avvertirle.
Senza dubbio è un romanzo che consiglierei a chiunque, nonostante possa fare male.
E senza dubbio è un romanzo che rileggerò.