Roth, Joseph - Giobbe

ayuthaya

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Appartenente al secondo filone della produzione rothiana, ovvero quello che ruota intorno alla tematica ebraica, questo libro racconta la vita di Mendel Singer, un "uomo semplice", timorato di Dio, che a un certo punto della sua povera ma dignitosa vita, vede crollargli tutto addosso: viene colpito da una serie di sventure che lo scuoteranno al punto tale da fargli perdere la fede in Dio e decidere di "ribellarsi" a Lui, che lo ha ingiustamente punito.
Il riferimento suggerito dal titolo (e all'interno del romanzo stesso, nel suo punto di svolta) è legato al personaggio biblico che dà il nome ad uno dei Libri Sapienzali delle Sacre Scritture: Giobbe rappresenta l'immagine del giusto la cui fede è messa alla prova da parte di Dio. A differenza però del protagonista della nostra storia, il "vero" Giobbe sopporta con rassegnazione la sua sofferenza, senza mai imputare a Dio alcuna colpa. Il parallelo fra le due figure è interessante, in quanto appunto prende spunto da una serie di elementi, ma si discosta per molti altri, determinando una serie di riflessioni.
Il lieto fine è evocato fin dalle primissime pagine (la guarigione di Menuchim, il figlio minorato - la cui nascita è l'inizio del declino della famiglia Singer - è predetta a Deborah, moglie di Mendel, da un rabbino che gode fama di santità), ma non per questo la storia perde di pathos o calamita meno l'attenzione del lettore...
"Favola" delicata e commovente, ricchissima di spunti* e raccontata con uno stile elegante e di altissimo livello.

Voto 5/5 (pur tenendo conto della semplicità della storia, non poso non dare il voto massimo, in virtù delle straordinarie capacità narrative dell'autore e della profondità dei contenuti, tutt'altro che scontati)


* Talmente ricca che temo mi verranno da scrivere mooooooolte altre cose, che metterò in un post a parte non appena sarò riuscita a buttarle giù come si deve!
 
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ayuthaya

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Per prima cosa mi viene da fare un elogio allo stile dello scrittore: sublime. L'eleganza e la ricercatezza linguistiche di Joseph Roth mi avevano già colpito ne La cripta dei cappuccini, ma è leggendo questo secondo libro (verso il quale, avendone sentito parlare poco, avevo molte meno aspettative) che sono riuscita ad apprezzare ancora di più il suo valore. C'erano mille ragioni per cui questo romanzo potesse fallire: la scontatezza della trama, che fin dall'inizio delinea la figura di un uomo che, conclusa la sua parabola di dolore, sarà riscattato dall’avvento di un miracolo a lungo atteso; il rischio di scadere nel melodrammatico prima e nel sensazionalismo poi (e io, personalmente, ho il rigetto verso questo tipo di presa emotiva); la "pretesa" di confrontarsi col personaggio biblico che incarna uno dei più profondi e insoluti drammi dell'uomo, e cioè la sofferenza del giusto... E invece no, Roth calamita l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina con descrizioni accurate, uno svolgimento accattivante sebbene prevedibile, e una ricchezza di contenuti per nulla scontata.
Gli spunti suggeriti dalla lettura sono talmente tanti che preferisco focalizzarne solo uno, quello che - essendo credente - mi ha colpito di più, ovvero il confronto con il "vero" Giobbe, dal quale il protagonista del romanzo, pur nell’esplicito parallelismo, si discosta per diversi aspetti. Se Giobbe rappresenta il paradigma dell’uomo timorato di Dio, Mendel Singer fin dall'inizio si presenta sì come rigoroso osservante della propria fede ebraica, ma privo di una vera consapevolezza che lo renda intimamente partecipe di ciò che sta facendo. Quasi la fede fosse un habitus da conservare perchè fa comodo, un alibi dietro cui nascondere la sua incapacità di affrontare la vita con determinazione, come ad esempio fa sua moglie Deborah, che pure in questo rasenta la superstizione. Come se non bastasse, la decisione di abbandonare il figlio minorato per inseguire il miraggio di una vita migliore in America, non rientra esattamente in ciò che si definirebbe una condotta impeccabile... insomma: il nostro Giobbe è sì un uomo semplice, umile di cuore (non ci sono dubbi su questo), ma non è certo un santo.
Si giunge così al nucleo della vicenda, al momento di svolta, e anche qui credo sia interessante confrontare i due personaggi. Secondo la Bibbia (e in accordo alla mentalità dell'epoca), Giobbe soffre perchè Dio lo ha messo alla prova, ed egli resiste: ovvero non si ribella al Suo Creatore, ma mantiene intatta la propria fiducia nella Sua bontà e nell’imperscrutabilità dei Suoi disegni, tanto che per questa ragione verrà "ricompensato" con nuovi doni e una nuova felicità. (possibili spoiler!!!) Tutt'altra cosa il Giobbe rothiano: Mendel Singer non accetta l'inspiegabile castigo inflittogli e si adira con Dio, fino a stare sul punto di bruciare i Libri Sacri in rappresentanza di Dio stesso. Queste pagine sono a mio avviso le più belle, le più intense, le più vibranti. Quanta verità, quanta umanità in questa lotta intimamente vissuta fra lui e Dio! quanta pateticità e allo stesso tempo quanta dignità nel gesto di questo povero ebreo che osa alzare il suo dito minaccioso contro l'Onnipotente!
Ed è qui secondo me che prende avvio il miracolo... non vorrei essere blasfema, ma se dovessi dare un'interpretazione "teologica" a questo romanzo, direi che Dio si è manifestato nella sua potenza proprio quando Mendel - sfidandolo - ha finalmente oltrepassato la barriera della sua religiosità stanca, superficiale, per cercare (attraverso la negazione) un contatto diretto con Lui. Credo che sia in virtù di questa fede rinnovata, proprio quando credeva di averla persa del tutto, che il "lieto fine" risulta così profondo, così riuscito. Bellissimo.

"(Dio) è così grande, che la nostra cattiveria diventa piccolissima."
 
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bouvard

Well-known member
Leggendo i libri di J. Roth si resta sempre incantati dalla ricchezza del suo linguaggio e dalla fluidità e scorrevolezza della sua scrittura.
Questo libro narra la storia di Mendel Singer, un ebreo come tanti, un uomo timorato di Dio e ligio ai suoi insegnamenti, talmente abituato al rispetto delle tradizioni da svolgere lo stesso lavoro che era stato di suo padre e prima ancora di suo nonno. Pregare è per Mendel tanto naturale, quanto alzarsi al mattino o quanto respirare, tanto che finisce col diventare, altrettanto, meccanico. Eppure se l'abitudine riesce, talvolta, a smorzare la vitalità della sua Fede, non riesce, comunque, a cancellarla dal suo animo, poiché essa è come la brace che cova sotto la cenere, per cui, anche quando sembra spenta, basta poco per farla divampare di nuovo. Infatti bastano le poche parole del rabbino: "Menuchin,(...)guarirà", perché Mendel viva aspettando il Miracolo. Ma, a quanto pare, non solo Dio misura il tempo per realizzare i miracoli, con un orologio diverso da quello degli uomini, ma prima di concederli, mette anche alla prova le capacità di sopportazione dei destinatari. La fiducia di Mendel in Dio, è la fiducia incondizionata del Credente, che si abbandona totalmente al suo Dio, accettando ogni avversità, perché i piani divini sono imperscrutabili ai suoi occhi. Ma quando la punizione divina colpisce il credente in modo arbitrario, o eccessivo rispetto alle colpe che questi ha commesso, come appunto nel caso di Mendel, allora l'abbandono fiducioso si cambia in rabbia. La domanda di Mendel, che alimenta questa rabbia, "Perché?" è una domanda legittima anche per un credente. Infatti per quanto un peccato possa essere grave, la punizione non dovrebbe mai diventare persecuzione. Mendel maledice Dio, smette di pregarlo, pecca, eppure non riesce a bruciare i suoi testi sacri, sembra quasi che voglia "provocare" Dio, sfidarlo, vedere se resta sordo, indifferente alla sua rabbia, come lo è rimasto alle sue preghiere. "Isprawnih l'ho chiamato. E lui ha tenuto le orecchie chiuse", qui, secondo me, è spiegato tutto il miracolo, Dio non è affatto sordo alle preghiere dei credenti, anche quando non le esaudisce immediatamente, è, invece, sordo alle loro offese quando sono pronunciate dalla lingua, ma non pensate dal cuore.
Il libro, attraverso il viaggio di Mendel e della sua famiglia, è anche un'amara considerazione sulla condizione di "profughi" in cui gli ebrei vivono nel mondo.
La chiusura è, secondo me, una delle più belle mai lette: "Mendel si addormentò. Si riposò così dal peso della felicità e dalla grandezza dei miracoli".
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Scrittura elegante e raffinata, storia semplice che può dare ad ognuno una chiave di lettura. La mia personale è quella che è un romanzo sull'accettazione ostinata del proprio destino, perché di fatto nulla succede che non accada abitualmente in una famiglia ebrea russa dell'epoca. Nel caso di Giobbe la delega a Dio è totale, per cui la sua vita non appartiene più a lui e di riflesso lui pensa che non appartenga neanche alle persone a lui vicine, tanto da condurlo a fare delle scelte in totale dissonanza con la realtà perché non è in grado di viverla, per cui realmente la sua fede è una non-fede. Il finale è quello di una parabola, atteso da tutti e quasi scontato.
 
Giobbe/Mendel Singer è timorato di Dio, la sua vita è scandita dalla preghiera, dalle feste ebraiche e anche dal timore dello Zar. Giobbe/Mendel è un uomo giusto, non chiede nulla al Signore, come invece fa Deborah sua moglie. Ha una fede incrollabile, ciò che il Signore gli ha riservato, lui lo accetta senza obiettare. E' felice Giobbe/Mendel, va tutto bene, crede di aver raggiunto la felicità, ed invece il Signore ha in serbo per lui grandi patimenti. Perché? Non importa, preferisce abbandonarLo, dichiarargli guerra, mangia addirittura carne di maiale nei quartieri italiani. Bestemmia Dio, lo sfida, ma il Signora dà, il Signore toglie, e Giobbe/Mendel è un uomo giusto.
 

gamine2612

Together for ever
Roth non delude certo, il suo stile di scrittura è così piacevole che vai avanti con entusiasmo, qualsiasi sia la storia.
Quello che già è stato detto nei commenti precedenti ci sta tutto, ma la fine è sorprendente! leggendo ho esternato la mia sorpresa con l'espressione del viso quanto mi ha stupito la conclusione.
Lo consiglio e non solo a chi apprezzava già lo scrittore.
 

qweedy

Well-known member
Mendel Singer, è un uomo saggio, giusto, assennato e molto religioso.
La vita di Mendel trascorre in assoluta tranquillità fino alla nascita dell'ultimo figlio, che dà inizio per la famiglia Singer a una serie di grandi sventure che porteranno lo sfortunato Mendel a ritrovarsi abbandonato da tutti e privato di ogni avere.

E come il Giobbe biblico, Mendel rompe il suo legame con Dio. L’unico legame che gli resta da rompere. Raccoglie tutte le sue cose: i filatteri, i suo taléd e i libri di preghiera. Vuole bruciarli. Accende un fuoco, cieco di rabbia, in collera con Dio, ma non riesce a bruciare l’astuccio di velluto rosso. I suoi amici accorrono e riescono a calmarlo anche se Mendel a loro dice esplicitamente: Voglio bruciare Dio.

Dopo un periodo di silenzio e di allontanamento da Dio, qualcosa si compie. Quel miracolo che tocca e salva, che giunge inaspettato a rivoluzionare una vita che sembra già persa. Dio restituisce a Mendel ciò che lui non osa neanche immaginare, lo ripaga, come fece con Giobbe, di tutte le sofferenze e le sventure subite.

Roth ha attualizzato la storia di Giobbe, il giusto perseguitato, un uomo semplice che trova la sua quiete solo grazie ad un miracolo, l’unico atto in grado di riportarlo alla fede. Il romanzo di Roth è un’apologia della speranza che, ancorché mortificata, sempre si riaffaccia prepotente e consolatrice nell’animo dell’uomo sofferente.

Libro intenso e molto piacevole da leggere. Joseph Roth, autore da approfondire.
Voto 5/5
 
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