Be', dopo sei anni di titubanza, finalmente mi sono decisa a leggere questo romanzo. Meglio tardi che mai, direi.
Chissà perché, ultimamente mi capita spesso di iniziare un romanzo credendo che si tratti di un giallo, salvo poi accorgermi circa a metà che di mistero non c'è nemmeno l'ombra. La stessa cosa è successa anche stavolta: fino a pagina trecento, ho morbosamente aspettato che qualcuno, in qualche modo, ci dicesse che l'aneurisma di Barry Fairbrother era stato causato da chissà che veleno, e ho collezionato meticolosamente indizi, moventi, opportunità... alla fine mi sono rassegnata, e ho capito che dovrei iniziare a leggere le quarte di copertina, quando mi sembra che la trama non stia andando nella direzione che mi aspettavo.
Ecco, nel momento in cui mi sono sentita libera di mettere nella giusta prospettiva ogni cosa, ho iniziato ad apprezzare molto questo romanzo: “Il seggio vacante” non è un romanzo di trama, ma è piuttosto un minuzioso affresco che si limita a rappresentare in maniera tragicamente realistica la vita di una piccola comunità inglese. E la Rowling, con un occhio clinico severo e inclemente, non ci risparmia niente: ci trascina nelle piccolezze di una comunità piena di ipocrisia, ci costringe a sporcarci le mani con le piccole meschinità di persone chiuse, retrograde e attente solo alla pura apparenza, ci obbliga a non distogliere lo sguardo davanti al degrado e alla violenza, alle bugie, ai silenzi, al menefreghismo che anima anche i membri che apparentemente più di danno da fare per la comunità.
I personaggi sono tantissimi, e tutti diversi, eppure le loro voci si mescolano con molto equilibrio, risultando sempre estremamente chiare e assolutamente riconoscibili. Ci vuole un po' di pazienza, per entrare del tutto nel tessuto di Pagford, per arrivare a conoscere e riconoscere la polvere nascosta sotto i tappeti e le cose mai apertamente dette, ma che aleggiano come fantasmi spaventosi per le belle piazze piene di fiori e il degrado dei Fields. Eppure, quando i pezzi del mosaico cominciano ad andare al loro posto, è impossibile staccarsi dalle pagine del romanzo: è vero, gli eventi in sé non sono moltissimi, non ci sono grandi colpi di scena né c'è una trama profondamente strutturata, e questo ovviamente potrebbe essere un forte deterrente, ma quando ho trovato la prospettiva giusta per camminare nelle strade di Pagford, mi sono sentita completamente avviluppata nelle pieghe della vita pubblica e privata di questa cittadina. Una sensazione decisamente claustrofobica, in effetti, ma che non mi è del tutto estranea: anche io sono cresciuta in un posto piccolo, dove tutti si conoscono, tutti credono di poter chiudere i propri drammi dietro la porta di casa, dove le malignità si spostano di bocca in bocca con una facilità disarmante... un luogo claustrofobico, sì.
Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo, disse un giorno un tizio russo con la barba. Ecco, qui la Rowling ci mostra esattamente quanti modi possono esserci di essere infelici.
Matrimoni che si trascinano a suo di bugie, sorrisi educati e centrini di pizzo sul tavolino del salotto buono, malattie mentali che distruggono famiglie, violenza domestica, bullismo, genitori assenti, incapacità di comunicare, famiglie distrutte da un ambiente del tutto malsano, tossicodipendenza... non manca davvero nulla, eppure tutto è, ahimè, tristemente realistico.
Forse in alcuni momenti si avverte un leggero affaticamento, come se la Rowling, dopo sette romanzi in cui si è dovuta trattenere, mostrando solo quello che si può mostrare a dei lettori giovanissimi, qui sia in qualche modo esplosa, sentendo il bisogno di descrivere esplicitamente anche scene che avrebbero avuto pari forza espressiva anche lasciando qualcosa all'immaginazione del lettore. Tuttavia, quasi nulla è irrealistico o troppo esagerato: il tessuto sociale perfettamente costruito giustifica anche le situazioni più estreme, e fingere che non sia così significa solo distogliere lo sguardo dal problema.
Forse giusto il finale è un po' troppo sopra le righe, per quanto io abbia apprezzato molto il crescere della tensione e il modo in cui le ultime scene sono costruite. E' un po' uno di quei finali che ti fa dire “Ellamiseria, addirittura?”, però temo che non sia nemmeno così tanto sopra le righe.
Un romanzo molto bello, complesso, duro e senza sconti, un mosaico affascinantissimo.