Sciascia, Leonardo - Il Consiglio d'Egitto

lettore marcovaldo

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Abdallah Mohamed ben Olman, ambasciatore del Marocco, si trova a Palermo nel dicembre 1782, per via di una tempesta che ha fatto naufragare la sua nave sulle coste siciliane. È questo il caso che fa nascere, nella mente dell’abate Vella, maltese, e incaricato di mostrare all’ambasciatore le bellezze di Palermo, un disegno audacissimo: far passare il manoscritto arabo di una qualsiasi vita del profeta, conservato nell’isola, per uno sconvolgente testo politico, Il Consiglio d’Egitto, che permetterebbe l’abolizione di tutti i privilegi feudali e potrebbe perciò valere da scintilla per un complotto rivoluzionario. Così «dall’ansia di perdere certe gioie appena gustate, dall’innata avarizia, dall’oscuro disprezzo per i propri simili, prontamente cogliendo l’occasione che la sorte gli offriva, con grave ma lucido azzardo, Giuseppe Vella si fece protagonista della grande impostura».

Le vicende dell'abate Vella, raccontano di una sorta di puntata ad un tavolo da gioco. Un mossa azzardata, calcolata con cura, ma allo tempo sconsiderata.
L'abate intuisce uno dei punti deboli del sistema sociale e di potere che lo circonda. E forse proprio per questo viene dal quel sistema 'risparmiato' perché non si può ammettere
che quel punto debole esista. Alla stesso tempo altri personaggi, che hanno tentato di cambiare quel sistema da una prospettiva ben diversa, verranno schiacciati pur non avendo
costituito una seria minaccia.
Romanzo breve ma pieno di spunti significativi.
 

MadLuke

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Una piccola finestra sulla Sicilia del XVIII sec.

Ho letto questo libro sulla scia de "Il gattopardo" che tanto mi era piaciuto, e in esso ho ritrovato tratteggiata la stessa terra, lo stesso popolo, amante della parola, della lusinga, del piacere e del pettegolezzo. Anche qui un caso politico offre la scusa per indagare più approfonditamente le debolezze e le ambizioni di un ristretto numero di personaggi, tuttavia il tratto affabulatore e compiacente di taluni personaggi di Tomasi, qui lascia invece il posto alla meschinità, la crudeltà e il cinismo. Una Sicilia e un Regno di Napoli, che sebbene già disincatato prima, in quest'opera oltremodo cinico e vendicativo.
A questa di per se non giudicabile impronta di Sciascia, non corrisponde però neanche una vera narrazione avvincente, soprattutto nella prima parte dove l'intreccio si trascina un po' faticosamente. In sintesi che non colpisce.
 
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