All'apertura della Meeting di Rimini del 2007, nel corso della sua conferenza, Mons. Ventorino riprendeva a sua volta un brano dell'allora cardinale Ratzinger dal titolo "La coscienza nel tempo", che rileggeva e commentava una dichiarazione ufficiale di Hitler:
"Io libero l’uomo dalla costrizione di uno spirito diventato scopo a se stesso; dalle sporche ed umilianti autoafflizioni di una chimera chiamata coscienza e morale, e dalle pretese di una libertà e autodeterminazione personale, di cui ben pochi possono essere all’altezza”.
La coscienza era per quest’uomo una chimera dalla quale l’uomo doveva essere liberato; la libertà che egli prometteva doveva essere una libertà dalla coscienza.
Nel libro l'autrice mostra "a caratteri cubitali" quanto questo disegno di Hitler di rimuovere qualunque traccia di coscienza dal suo popolo, fosse riuscito oltre ogni limite immaginabile e salvo estremamente rare eccezioni, avesse permeato ogni strato della popolazione, civile e militare, tra gli iscritti al Partito Nazionalsocialista e non. Si avvale per questo dell'emblematico caso di Adolf Eichmann, un modestissimo impiegatuccio ai tempi della grande crisi, che si arruola nelle SS (gli elitari reparti dell'esercito che giurano fedeltà espressamente al fuhrer), al solo scopo di trovare qualche sorta di scopo nella vita. Qui Eichmann inizia una folgorante carriera che lo porta a raggiungere presto il livello più alto di potere cui per le sue umili origini e preparazione culturale potesse ambire.
Con la stessa disinvoltura con cui all'inizio degli anni '30 Eichmann collaborava con le autorità ebraiche per rendere più celeri le procedure di emigrazione degli ebrei dalla Germania e Austria (peraltro a costo di autentici saccheggi di qualunque proprietà degli ebrei stessi), nel momento in cui gli viene comunicata (a seguito della conferenza di Wannase) la decisione di Hitler di liberarsi definitivamente e fisicamente di tutti gli ebrei in Europa, egli non ha il minimo indugio ad redigere le nuove procedure per la deportazioni di milioni di ebrei verso i campi di concentramento, compresi quelle persone con cui aveva collaborato fino a poco tempo prima. Nel corso del processo che fu istituito a suo carico, non esitò a dichiarare che avrebbe mandato a morire il suo stesso padre se a causa di un tradimento gli avessero ordinato di farlo. In realtà Eichmann, nello svolgimento delle sue mansioni, ci profuse un impegno e zelo che andavano anche oltre il dovere dell'obbedienza, lui desiderava essere ammirato, dal suo fuhrer in particolare, per l'efficienza che dimostrava nello svolgimento delle sue funzioni, qualunque esse fossero, altro non importava.
I numeri di quella tragedia bene o male abbiamo imparato tutti a conoscerli, fin dai tempi delle elementari, e i film di guerra o i documentari ci hanno mostrato anche le scene raccapriccianti cui dovettero assistere le truppe alleate man mano che liberavano i territori occupati.
Eppure il pericolo di scadere in mere analisi statistiche o sottovalutare quelle scene come fossero cose lontane da noi, semplicemente frutto di qualche truccatore, è ancora grande. Il grande potere evocativo del libro sta nel coinvolgere il lettore in quel processo che prese piede in Germania per cui l'avversione, l'umiliazione, lo spoglio dei propri beni, la deportazione e infine la tortura e la morte era semplicemente diventato "normale", presso ogni strato della popolazione.
Per far si che quei fatti non rimangano semplici parole scritte sulla carta, il lettore non può esimersi dal compiere uno sforzo d'immaginazione, che non riguardi certo le alte sfere del potere bensì i cittadini comuni... Un vicino di casa o un amico, qualcuno con cui ci si trovava per giocare a carte, che magari qualche volta si era anche invitato a cena in casa propria; un giorno senti per radio o dalla voce di alcuni volontari del partito, che gli ebrei sono sporchi, che sono la causa dei problemi della Germania, ecc. sicché immediatamente si smette di frequentare quelle persone; il messaggio assume un tono ulteriormente aggressivo: gli ebrei devono essere deportati, e tutti sono tenuti a collaborare. La popolazione quindi diligentemente si attiene alle disposizioni e segnala alla polizia qualunque ebreo di sua conoscenza, eventuali nascondigli ecc. Seppure in ritardo inizia giare voce di quale sia il destino degli ebrei, la soluzione "finale"... e tutto questo neanche lontanamente riesce a instillare il benché minimo turbamento. Tutto viene considerato assolutamente "normale", quand'anche qualcuno fosse stato anche colto dal dubbio "sarà giusto quello che sto facendo?", la domanda veniva immediatamente tacitata dallo spirito di obbedienza incondizionata alla legge, al fuhrer, allo Stato.
Probabilmente i più considereranno queste mie riflessioni già note e sentite, più e più volte, lo stesso era per me prima che leggessi questo libro. Eppure la candida precisione e chiarezza con cui l'autrice ha ripercorso quegli anni e i fatti che li caratterizzarono, più di una volta mi ha lasciato agghiacciato, mi ha fatto perdere mezzore di sonno, mi ha procurato un groppo in gola, per lo spaventoso abisso che a distanza di quasi settanta anni ancora mi si è spalancato davanti.
Verrebbe allora da pensare che va bene, furono anni tragici ma dopotutto ormai quei tempi sono passati ormai, ed eventi del genere certamente non si verificheranno più in futuro (è davvero difficilissimo riuscire a pensare altrimenti), per cui pure con tutta la dovuta commozione e affranto, val la pena metterci una pietra sopra e non pensarci più. Ma non è così, non per me.
In varia misura tutti assistiamo o addirittura siamo coinvolti in qualche modo nei grandi esodi delle popolazioni del sud del mondo o dall'est dell'Europa, chi può dire quanto il sentimento di razzismo che in misura anche minima non sia frutto dell'abdicazione del libero alla cultura dominante che i mass media diffondono?
Pur glissando temi sociali tanto complessi come quello dell'emigrazione, chi può dire di possedere un pensiero realmente "libero" nel giudicare i fatti di cronaca di cui sentiamo al telegiornale, o anche solo un pettegolezzo o maldicenza su un collega o un conoscente.
Ancora più banalmente chi può dire di non aver mai avuto una condotta scorretta alla guida, di aver mandato al diavolo qualcuno solo perché "quello è passato col rosso" o ancora più semplicemente perché "sono di fretta".
Eppure leggendo della sottile strategia con cui iniziarono quelle persecuzioni anni fa, scommetto non c'è nessuno che ora non direbbe "avrebbero dovuto ribellarsi, disobbedire, non prestarsi a quegli ordini", è naturale.
Dice ancora il cardinale Ratzinger:
La distruzione della coscienza è il vero presupposto di una soggezione e di una signoria totalitaria. Dove vige una coscienza, esiste anche una barriera al dominio dell’uomo sull’uomo e all’arbitrio umano, qualcosa di sacro che rimane inattaccabile e che è sempre sottratto all’arbitrio, sottraendosi ad ogni dispotismo proprio o estraneo. Solo l’assolutezza della coscienza è l’opposto assoluto nei riguardi della tirannide; solo il riconoscimento della sua inviolabilità protegge l’uomo nei confronti dell’uomo e nei confronti di se stesso; solo la sua signoria garantisce la libertà.
La "coscienza" è una facoltà dell'intelletto che richiede continuo esercizio di critica. La critica a sua volta non è uno sfoggio di cultura o di architetture filosofiche, o politiche, o religiose bensì un lavoro di costante verifica tra quanto ci è proposto di fare, sentire, dire, assistere, partecipare, ecc. e la corrispondenza con l'anelito del cuore di bellezza, di giustizia, di amore. Ad ogni proposta di sorta che riceviamo, è nostro diritto e dovere, per tutela della nostra umanità chiederci: potrei fare davvero io una cosa del genere, e se lo facessi potrei sentirmi ancora "uomo", potrei sentirmi in pace e in armonia, sarei più felice?
Questa continua critica e autoverifica credo sia la "barriera" di cui andava parlando l'attuale Papa Benedetto XVI, e a cui altrettanto bruscamente richiama l'autrice.
"Io libero l’uomo dalla costrizione di uno spirito diventato scopo a se stesso; dalle sporche ed umilianti autoafflizioni di una chimera chiamata coscienza e morale, e dalle pretese di una libertà e autodeterminazione personale, di cui ben pochi possono essere all’altezza”.
La coscienza era per quest’uomo una chimera dalla quale l’uomo doveva essere liberato; la libertà che egli prometteva doveva essere una libertà dalla coscienza.
Nel libro l'autrice mostra "a caratteri cubitali" quanto questo disegno di Hitler di rimuovere qualunque traccia di coscienza dal suo popolo, fosse riuscito oltre ogni limite immaginabile e salvo estremamente rare eccezioni, avesse permeato ogni strato della popolazione, civile e militare, tra gli iscritti al Partito Nazionalsocialista e non. Si avvale per questo dell'emblematico caso di Adolf Eichmann, un modestissimo impiegatuccio ai tempi della grande crisi, che si arruola nelle SS (gli elitari reparti dell'esercito che giurano fedeltà espressamente al fuhrer), al solo scopo di trovare qualche sorta di scopo nella vita. Qui Eichmann inizia una folgorante carriera che lo porta a raggiungere presto il livello più alto di potere cui per le sue umili origini e preparazione culturale potesse ambire.
Con la stessa disinvoltura con cui all'inizio degli anni '30 Eichmann collaborava con le autorità ebraiche per rendere più celeri le procedure di emigrazione degli ebrei dalla Germania e Austria (peraltro a costo di autentici saccheggi di qualunque proprietà degli ebrei stessi), nel momento in cui gli viene comunicata (a seguito della conferenza di Wannase) la decisione di Hitler di liberarsi definitivamente e fisicamente di tutti gli ebrei in Europa, egli non ha il minimo indugio ad redigere le nuove procedure per la deportazioni di milioni di ebrei verso i campi di concentramento, compresi quelle persone con cui aveva collaborato fino a poco tempo prima. Nel corso del processo che fu istituito a suo carico, non esitò a dichiarare che avrebbe mandato a morire il suo stesso padre se a causa di un tradimento gli avessero ordinato di farlo. In realtà Eichmann, nello svolgimento delle sue mansioni, ci profuse un impegno e zelo che andavano anche oltre il dovere dell'obbedienza, lui desiderava essere ammirato, dal suo fuhrer in particolare, per l'efficienza che dimostrava nello svolgimento delle sue funzioni, qualunque esse fossero, altro non importava.
I numeri di quella tragedia bene o male abbiamo imparato tutti a conoscerli, fin dai tempi delle elementari, e i film di guerra o i documentari ci hanno mostrato anche le scene raccapriccianti cui dovettero assistere le truppe alleate man mano che liberavano i territori occupati.
Eppure il pericolo di scadere in mere analisi statistiche o sottovalutare quelle scene come fossero cose lontane da noi, semplicemente frutto di qualche truccatore, è ancora grande. Il grande potere evocativo del libro sta nel coinvolgere il lettore in quel processo che prese piede in Germania per cui l'avversione, l'umiliazione, lo spoglio dei propri beni, la deportazione e infine la tortura e la morte era semplicemente diventato "normale", presso ogni strato della popolazione.
Per far si che quei fatti non rimangano semplici parole scritte sulla carta, il lettore non può esimersi dal compiere uno sforzo d'immaginazione, che non riguardi certo le alte sfere del potere bensì i cittadini comuni... Un vicino di casa o un amico, qualcuno con cui ci si trovava per giocare a carte, che magari qualche volta si era anche invitato a cena in casa propria; un giorno senti per radio o dalla voce di alcuni volontari del partito, che gli ebrei sono sporchi, che sono la causa dei problemi della Germania, ecc. sicché immediatamente si smette di frequentare quelle persone; il messaggio assume un tono ulteriormente aggressivo: gli ebrei devono essere deportati, e tutti sono tenuti a collaborare. La popolazione quindi diligentemente si attiene alle disposizioni e segnala alla polizia qualunque ebreo di sua conoscenza, eventuali nascondigli ecc. Seppure in ritardo inizia giare voce di quale sia il destino degli ebrei, la soluzione "finale"... e tutto questo neanche lontanamente riesce a instillare il benché minimo turbamento. Tutto viene considerato assolutamente "normale", quand'anche qualcuno fosse stato anche colto dal dubbio "sarà giusto quello che sto facendo?", la domanda veniva immediatamente tacitata dallo spirito di obbedienza incondizionata alla legge, al fuhrer, allo Stato.
Probabilmente i più considereranno queste mie riflessioni già note e sentite, più e più volte, lo stesso era per me prima che leggessi questo libro. Eppure la candida precisione e chiarezza con cui l'autrice ha ripercorso quegli anni e i fatti che li caratterizzarono, più di una volta mi ha lasciato agghiacciato, mi ha fatto perdere mezzore di sonno, mi ha procurato un groppo in gola, per lo spaventoso abisso che a distanza di quasi settanta anni ancora mi si è spalancato davanti.
Verrebbe allora da pensare che va bene, furono anni tragici ma dopotutto ormai quei tempi sono passati ormai, ed eventi del genere certamente non si verificheranno più in futuro (è davvero difficilissimo riuscire a pensare altrimenti), per cui pure con tutta la dovuta commozione e affranto, val la pena metterci una pietra sopra e non pensarci più. Ma non è così, non per me.
In varia misura tutti assistiamo o addirittura siamo coinvolti in qualche modo nei grandi esodi delle popolazioni del sud del mondo o dall'est dell'Europa, chi può dire quanto il sentimento di razzismo che in misura anche minima non sia frutto dell'abdicazione del libero alla cultura dominante che i mass media diffondono?
Pur glissando temi sociali tanto complessi come quello dell'emigrazione, chi può dire di possedere un pensiero realmente "libero" nel giudicare i fatti di cronaca di cui sentiamo al telegiornale, o anche solo un pettegolezzo o maldicenza su un collega o un conoscente.
Ancora più banalmente chi può dire di non aver mai avuto una condotta scorretta alla guida, di aver mandato al diavolo qualcuno solo perché "quello è passato col rosso" o ancora più semplicemente perché "sono di fretta".
Eppure leggendo della sottile strategia con cui iniziarono quelle persecuzioni anni fa, scommetto non c'è nessuno che ora non direbbe "avrebbero dovuto ribellarsi, disobbedire, non prestarsi a quegli ordini", è naturale.
Dice ancora il cardinale Ratzinger:
La distruzione della coscienza è il vero presupposto di una soggezione e di una signoria totalitaria. Dove vige una coscienza, esiste anche una barriera al dominio dell’uomo sull’uomo e all’arbitrio umano, qualcosa di sacro che rimane inattaccabile e che è sempre sottratto all’arbitrio, sottraendosi ad ogni dispotismo proprio o estraneo. Solo l’assolutezza della coscienza è l’opposto assoluto nei riguardi della tirannide; solo il riconoscimento della sua inviolabilità protegge l’uomo nei confronti dell’uomo e nei confronti di se stesso; solo la sua signoria garantisce la libertà.
La "coscienza" è una facoltà dell'intelletto che richiede continuo esercizio di critica. La critica a sua volta non è uno sfoggio di cultura o di architetture filosofiche, o politiche, o religiose bensì un lavoro di costante verifica tra quanto ci è proposto di fare, sentire, dire, assistere, partecipare, ecc. e la corrispondenza con l'anelito del cuore di bellezza, di giustizia, di amore. Ad ogni proposta di sorta che riceviamo, è nostro diritto e dovere, per tutela della nostra umanità chiederci: potrei fare davvero io una cosa del genere, e se lo facessi potrei sentirmi ancora "uomo", potrei sentirmi in pace e in armonia, sarei più felice?
Questa continua critica e autoverifica credo sia la "barriera" di cui andava parlando l'attuale Papa Benedetto XVI, e a cui altrettanto bruscamente richiama l'autrice.