Perec, Georges - La vita Istruzioni per l'uso

bouvard

Well-known member
Difficile scrivere un commento su questo libro, difficile persino definirlo con un aggettivo: inconsueto? originale? complesso? intelligente? cervellotico? Sicuramente è originale, cervellotico e complesso in quanto a struttura, complesso, intelligente ed inconsueto in quanto a stile e contenuto.
L'ambientazione e la trama non avrebbero, di per sé, niente di complicato, trattandosi, infatti, della storia degli inquilini, presenti e passati, di uno dei tanti palazzi di Parigi. La complessità e l'originalità del libro risiedono nel sistema scelto da Perec per raccontarci queste vicende. Il palazzo altro non è, infatti, che una scacchiera, in cui ci si muove con il movimento del cavallo, ogni volta che si entra in una stanza, ci viene raccontata o la storia dei proprietari, o ci viene fatta una descrizione minuziosa degli oggetti che contiene. E questo vale anche quando si finisce nelle scale di servizio, o nelle cantine. Ogni capitolo è una sorta di tessera che Perec fornisce al lettore, affinché questi possa, alla fine, ricostruire la trama del libro ridotta ad un puzzle.
La lettura, spesso, è rallentata dai numerosi e lunghi elenchi, o dalle descrizioni minuziose di quadri ed oggetti che si trovano nelle stanze, infatti per quanto possa sembrare paradossale, in questo libro gli oggetti inanimati hanno, dal punto di vista del narrare, lo stesso "peso" e la stessa importanza delle persone.
Inoltre la lettura già complessa di suo - non ultimo per gli indovinelli riportati - per quanto comunque affascinante, è ulteriormente complicata dai numerosi riferimenti che Perec fa ad altri autori, di cui a fine libro fornisce l'elenco. Io ad esser sincera ho riconosciuto solo quelli a Calvino :paura:

Per chi si volesse cimentare in qualcuno degli indovinelli presenti nel libro ne riporto due:

- Tre russi hanno un fratello. Questo fratello muore senza lasciare fratelli. Come mai?

- Qual è l'intruso nel seguente elenco: italiano, corto, polisillabico, scritto, visibile, stampato, maschile, parola, singolare, americano, intruso?
 
Ultima modifica:

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Se non bastasse il titolo a farci capire che siamo di fronte qualcosa di speciale, una breve occhiata all’appendice del romanzo ce ne darebbe la conferma.
In ordine troviamo:
1) una sezione dello stabile di rue Simon-Crubellier n. 11, con le disposizioni delle camere e i rispettivi inquilini (presenti e passati);
2) un indice che occupa circa 50 pagine e riporta tutti i nomi citati all’interno del romanzo (persone, luoghi, titoli, qualsiasi cosa) e per ognuno di essi le pagine nelle quali il suddetto nome è citato;
3) un elenco di riferimenti cronologici, utili se si coltivasse il folle desiderio di dare un “ordine” a tutti gli eventi raccontati nel libro, i quali coprono un arco temporale che va dal 1833 alla data presente: il ventitrè giugno millenovecentosettantacinque, qualche minuto prima delle otto di sera, l’esatto momento in cui è scattata l’istantanea dello stabile;
4) il mio elenco preferito: “Cenni sulle principali storie raccontate in quest’opera” (con riportato il numero di pagina in cui se ne parla per la prima volta); queste storie “principali” sono esattamente 107.

Ecco, parto da qui per provare a spiegare questo che è indubbiamente il libro più assurdo che io abbia mai letto (non per nulla è dedicato a Queneau ed è commentato da Calvino). È evidente dal loro numero che le storie raccontate non si riferiscono solo agli inquilini dello stabile, nemmeno se aggiungiamo quelli dei tempi passati. Questo libro, infatti, molto più che Se una notte d’inverno un viaggiatore, è frutto di una bulimia narrativa: il pretesto per raccontare storie è ovunque!
Si raccontano le storie non solo dei personaggi principali (se questo termine ha un senso) ma anche di quelli secondari e delle comparse; si raccontano le storie di personaggi storici, veri o fittizi, dei protagonisti di una leggenda o di una semplice diceria; si raccontano le storie tratte da opere d’arte (ad esempio un testo teatrale) che per caso vengono citate da qualcuno. E se non sono storie, a essere raccontate sono le immagini: quadri, incisioni, fotografie, persino volantini pubblicitari. E se non sono immagini, infine, ecco interminabili elenchi di qualsiasi natura.
Perec sembra follemente innamorato degli elenchi, dei cataloghi, della pura giustapposizione di elementi, tanto più se inanimati. Questo è che sicuramente l’aspetto che rende più ostica la lettura di questo romanzo (in alcuni punti onestamente soporifero!), ma è anche ciò che ne rende perfetta la struttura: un sistema di scatole cinesi che non esclude nulla, nemmeno gli oggetti, i quali fanno parte integrante di questa strabiliante costruzione narrativa.

Perchè nulla può essere escluso? Perchè l’autore non ha selezionato ciò di cui valeva la pena parlare e ciò che poteva essere tralasciato? Perchè sarebbe stato come ignorare il pezzo di un puzzle, ritenendolo superfluo... Il puzzle è infatti il filo conduttore (l’unico) di questo romanzo. Non per nulla il capitolo che descrive la filosofia di questo gioco è estrapolato dal testo per essere presentato, in una sorta di doppione, come “Preambolo” al romanzo.

All'inizio, l'arte del puzzle sembra un'arte breve, di poco spessore, tutta contenuta in uno scarno insegnamento della Gestalttheorie: l'oggetto preso di mira (...) non è una somma di elementi che bisognerebbe dapprima isolare e analizzare, ma un insieme, una forma, cioè una struttura: l'elemento non preesiste all'insieme, non è più immediato né più antico, non sono gli elementi a determinare l'insieme, ma l'insieme a determinare gli elementi: la conoscenza del tutto e delle sue leggi, dell'insieme e della sua struttura, non è deducibile dalla conoscenza delle singole parti che lo compongono: la qual cosa significa che si può guardare il pezzo di un puzzle per tre giorni di seguito credendo di sapere tutto della sua configurazione e del suo colore, senza aver fatto il minimo passo avanti: conta solo la possibilità di collegare quel pezzo ad altri pezzi e in questo senso l'arte del puzzle e l'arte del go hanno qualcosa in comune; solo i pezzi ricomposti assumeranno un carattere leggibile, acquisteranno un senso

Eccoci allora anche noi, come il miliardario Bartlebooth, davanti a un puzzle, la sua grande passione. I pezzi dovrebbero essere i capitoli, quindi le stanze dello stabile parigino all’interno del quale ci muoviamo come all’interno di una scacchiera, con la mossa del cavallo, ma in realtà sono molto di più: sono appunto le centinaia di nomi, eventi, storie che troviamo riassunti a fine romanzo.
In quest’opera monumentale l’autore ha riversato tutta la propria incontenibile creatività: il romanzo conta ben 500 pagine, eppure queste sembrano insufficienti ad esaurire la capacità inventiva del suo autore. Ma c’è di più.
Perec, così come Queneau (che ne è stato anche uno dei padri fondatori) e Calvino facevano parte dell’Oulipo – “Opificio di letteratura potenziale” – il cui obiettivo era quello di indagare le potenzialità del linguaggio e della letteratura, imponendosi una serie di restrizioni formali (anche di natura matematica) capaci di generare nuove forme e strutture.
Insomma La vita: istruzioni per l’uso, il cui titolo bizzarro fa pensare a una sorta di manuale per la crescita personale, è tutt’altro che un manuale e molto più di un romanzo: è un progetto grandioso che il lettore è invitato a condividere. Non mi sento di consigliare questo libro a chiunque (anzi, mi sento onorata che Bouvard lo abbia proposto a me), perchè si tratta davvero di un’esperienza estrema, ma proprio per questo sono molto felice di averlo letto.
 
Ultima modifica:
Alto